martedì 8 giugno 2010

Afghanistan: la guerra da Guinness dei Primati per gli USA

In Afghanistan la guerra più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti nella loro storia continua senza sosta.

E mentre sta per cominciare l'ennesima fallimentare offensiva della Nato, nella provincia di Kandahar, i talebani hanno invece già iniziato la loro.
Sette americani, due australiani e un francese sono stati uccisi ieri, e oggi ci sono state altre tre vittime nel sud.

13 soldati Nato uccisi in due giorni che vanno ad allungare la lista dei caduti nella guerra che per gli USA è ormai da Guinness dei Primati...


Record di durata. La guerra a Kabul supera il Vietnam
di Paolo Salom - Il Corriere della Sera - 8 Giugno 2010

Dieci soldati morti in un solo giorno. Talebani all'offensiva contro la Nato

Ieri è stata una giornata nera per gli Stati Uniti e l’Alleanza che combatte in Afghanistan: dieci soldati (dei quali sette americani) morti in differenti episodi da un capo all’altro del Paese. E la notizia, rimbalzata dal sito dell’Huffington Post, che la guerra Usa contro i talebani ha ufficialmente superato quella in Vietnam.

Ieri, secondo i calcoli del deputato afro-americano John Conyers, presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Rappresentanti, sono stati toccati i 104 mesi di conflitto, contro i 103 in Indocina. «Questa guerra — fa presente Conyers, a capo del "Comitato Via dell’Afghanistan" — è ora la più lunga della Storia degli Stati Uniti ».

Lunga e sanguinosa. Il bollettino reso noto dall’Isaf parla di attentati con gli Ied, i temibili ordigni improvvisati ai lati delle strade, di conflitti a fuoco, di azioni kamikaze. A poche settimane dall’inizio della grande offensiva nella provincia di Kandahar, i talebani vogliono dimostrare che non si sentono messi alle strette. Anzi.

Cinque soldati sono così periti nell’esplosione di una mina nell’Est del Paese, un sesto è stato vittima di una sparatoria in una zona non lontana mentre un altro ancora è stato ucciso da un ordigno esplosivo nel Sud. A inizio pomeriggio, il comando dell’Isaf aveva annunciato il decesso di tre soldati della Nato, di cui uno americano, nel Sud dell’Afghanistan.

Al triste elenco dei militari uccisi bisogna aggiungere anche due contractor stranieri che lavoravano per una società americana ed erano impegnati nell’addestramento della polizia afghana. I due sono morti in un raid suicida talebano in un campo di addestramento a Kandahar.

Non più l’Iraq ma l’Afghanistan come nuovo Vietnam? Di certo c’è che la guerra ora è più lunga, anche se, dal punto di vista del costo umano, ancora molto distante dalle statistiche del disastro indocinese: 58 mila americani uccisi tra il 7 agosto 1964 (Risoluzione del Golfo del Tonchino) e il marzo 1973, quando le ultime truppe statunitensi lasciarono Saigon.

In Afghanistan, solo da poco è stato superato il limite di mille vittime militari. Ma questo conflitto, iniziato il 7 ottobre 2001, a meno di un mese dall’11 settembre, è entrato nei libri di Storia come il più lungo dalla fondazione degli Stati Uniti.

Qualche termine di paragone: La Seconda guerra mondiale durò infatti per gli americani 44 mesi, la Guerra di Secessione 48 mesi, la Rivoluzione americana 81 mesi. E l’Iraq? Il conflitto iniziato 86mesi fa è ancora in corso ma l’amministrazione Obama si è impegnata a concludere presto l’impegno delle truppe Usa. Così come dovrebbe accadere a Kabul. Il termine è l’estate del 2011. Ma pochi credono che questo impegno potrà essere rispettato.

Il deputato Conyers ricorda le parole del segretario alla Difesa (con Kennedy e Johnson) Robert McNamara: «Una delle cose che dovremmo imparare e che non si può combattere e vincere una guerra civile impegnando truppe straniere». Attualizzato, l’insegnamento di McNamara, suonerebbe così: il conflitto politico tra gli afghani può essere risolto solo dagli afghani stessi.


Afghanistan: la guerra più lunga degli USA
di Giampiero Gramaglia - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 8 Giugno 2010

Imminente offensiva a Kandahar, teatro ieri di un attentato talebano.

Gli strateghi della comunicazione dell’amministrazione Bush, che avevano inventato la formula della “guerra al terrorismo”, avevano anche parlato della “lunga guerra”. Barack Obama la guerra al terrorismo l’ha cancellata dai documenti strategici.

Ma il conflitto in Afghanistan è divenuto il più lungo mai combattuto dagli Stati Uniti: 104 mesi dopo l’attacco ai talebani nel novembre 2001, la guerra afghana ha superato i 103 mesi di quella nel Vietnam.

Diverso però il numero dei caduti Usa: furono oltre 58 mila allora, sono appena più di mille ora. Alle stelle, invece, i costi economici: in Afghanistan e in Iraq, per fare la guerra, Washington ha già speso più di mille miliardi di dollari, secondo i calcoli di una democratica dell’Illinois, Jan Scharowsky.

I conflitti mondiali del XX Secolo – la Seconda guerra mondiale durò 44 mesi per gli americani, che vi entrarono dopo l’attacco a Pearl Harbour; la Grande Guerra neppure due anni – e i conflitti storici – la Guerra Civile 48 mesi, la rivoluzione contro i britannici 81 mesi – furono nettamente più brevi.

L’Iraq dura da 86 mesi ma s’avvia alla conclusione con il disimpegno dell’estate prossima; il Vietnam si trascinò dal 7 agosto 1964, quando il Congresso diede al presidente Johnson i poteri di guerra, al marzo del 1973, quando il presidente Nixon ordinò il ritiro di tutti i combattenti. In Afghanistan, il presidente Obama prevede che il ritiro delle truppe Usa cominci nel luglio 2011. Sul terreno, si prepara un’offensiva contro i talebani, imminente nel centro e nel sud del Paese.

Le cronache fanno però pensare che all’offensiva, per ora, ci siano loro, i talebani: ieri hanno attaccato con tre kamikaze (rimasti sul terreno) un centro di addestramento della polizia a Kandahar, facendo due vittime, tra cui un americano; e nella provincia di Farah hanno intercettato, catturato e ucciso un mullah che – secondo un loro portavoce – “cooperava con il governo”.

Gli episodi di ieri seguono la decisione del presidente afghano Hamid Karzai, che è in Turchia per un vertice asiatico e un incontro trilaterale Turchia/Afghanistan/Pakistan, di sostituire di colpo i vertici dei servizi di sicurezza.

I capi “dimessi” hanno così pagato un’incursione dei talebani – tre uomini vestiti da donna, con il burqa – che il 2 giugno erano riusciti ad avvicinarsi alla tenda della Jirga, l’Assemblea degli Anziani, dove c’erano 1600 delegati.

Karzai cerca di voltare pagina e, intanto, prova ad attuare i consigli della Jirga incoraggiando il dialogo con i talebani moderati (ad esempio, accelerando la liberazione dal carcere di quanti sono imprigionati senza prove certe). L’offensiva americana imminente vorrebbe sottrarre ai talebani il controllo del territorio intorno a Kandahar.

Ma la situazione sul terreno continua a deteriorarsi: con i dieci caduti di ieri – un giorno nero – dopo i cinque di domenica, i militari stranieri morti in Afghanistan a giugno sono già almeno 21.

A maggio, furono 50: uno dei mesi più cruenti fra i 104 del conflitto. Il comandante delle forze internazionali, il generale Usa Stanley McChrystal, progetta un’azione più lenta e metodica delle precedenti offensive: vuole man mano conquistare la fiducia della gente.

Ma il progetto cozza contro episodi come quello del 21 febbraio: 23 civili furono uccisi per “gravi errori di valutazione”; e ammettere la colpa tre mesi dopo non restituisce le vittime alle loro famiglie. Sotto accusa, l’imperizia e l’approssimazione d’una squadra di operatori di droni Predator, di stanza in Nevada.

Un rapporto dell’Onu afferma che i droni violano le leggi di guerra: i loro attacchi diretti dalla Cia hanno causato la morte “di centinaia di civili”. Riuniti a Madrid i delegati per Afghanistan e Pakistan di 30 Paesi preparano le prossime scadenze.

A Bruxelles, la Nato ammette che servono almeno altri 450 addestratori (il 20% dei 2.300 previsti): devono mettere in grado le forze afgane di garantire gradualmente, dalla fine del 2010, la sicurezza nel loro Paese.


Karzai silura gli "americani"
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 8 Giugno 2010

Il presidente afgano ha rimosso il capo dei servizi segreti e il ministro degli Interni: i due uomini-chiave di Washington a Kabul, contrari alla riconciliazione con i talebani e alla corruzione. Una sfida gli Usa o una mossa concordata?

A che gioco sta giocando il presidente Karzai? Se lo chiedono in molti a Washington e alla Nato, dopo la sua clamorosa decisione di silurare il capo dei servizi segreti afgani, Amrullah Saleh, e il ministro degli Interni, Hanif Atmar: i più fidi alleati degli Stati Uniti a Kabul.

La decisione di Karzai, secondo il New York Times, ha provocato ''shock e preoccupazione'' negli ambienti politici e militari occidentali, che perdono i loro principali referenti nel governo afgano proprio alla vigilia della decisiva offensiva di Kandahar.

''Tutto questo di certo non aiuta quello che stiamo cercando di fare'', ha confidato al quotidiano americano uno stretto collaboratore del generale McChrystal, comandante in capo delle truppe alleate in Afghanistan.

Secondo un altro ufficiale occidentale di stanza a Kabul, citato dal Guardian, la rimozione dei due responsabili afgani è ''un disastro'' per i piani occidentali in Afghanistan. ''E' il definitivo schiaffo in faccia alla comunità internazionale da parte di Karzai'', ha dichiarato allo stesso quotidiano un ex diplomatico afgano a Londra.

Ufficialmente, Saleh e Atmar sono stati rimossi dal presidente afgano in quanto ritenuti responsabili per la grave falla nella sicurezza che la scorsa settimana ha consentito ai talebani di attaccare la grande tenda della Jirga dove Karzai aveva chiamato a raccolta 1.600 notabili da tutto il paese per discutere di riconciliazione.

Dodicimila agenti dei servizi e della polizia non erano bastati a impedire ai ribelli di introdursi nella 'zona rossa' armati fino ai denti nascosti da un semplice burqa (con un lanciagranate 'in fasce' tenuto in braccio a mo di neonato) e di piazzare in tutta tranquillità i loro lanciarazzi sul tetto di un edificio a due passi dall'assemblea.

In realtà i due personaggi rappresentavano per Karzai il principale ostacolo interno al suo progetto politico di riconciliazione con i talebani. Il presidente afgano sa bene che la Nato non riuscirà a sconfiggere i talebani e che al ritiro degli Stati Uniti e dei loro alleati farà seguito ritorno al potere dei talebani.

Un ritorno violento se a Kabul ci sarà ancora un governo filoamericano, negoziato se invece la transizione sarà già iniziata prima. Per questo Karzai vuole avviare subito la riconciliazione, come un'ipoteca sulla propria sopravvivenza, non solo politica.

Obiettivi impossibili da perseguire per Karzai se i suoi servizi segreti e i suoi responsabili della sicurezza continuano a contrastare i talebani seguendo gli ordini di Washington.

Saleh, il potente capo dei servizi afgani, da sempre in strettissimi e ottimi rapporti con la Cia, era contrario alla linea morbida di Karzai con i talebani, in particolare alla sua ultima decisione (approvata proprio alla Jirga della Pace) di amnistiare e scarcerare tutti i prigionieri talebani finora detenuti senza accuse specifiche a loro carico. Saleh era un 'duro', uno di quelli per cui con i nemici non si tratta.

Il capo dell'Nsd non ha masi smesso di accusare pubblicamente Islamabad di sostenere il terrorismo in Afghanistan, creando grosso imbarazzo a un Karzai che, ultimamente, è tutto preso a migliorare i suoi rapporti con i pachistani, senza i quali nessuna trattativa con i talebani è possibile.

Per quanto riguarda poi il ministro Atmar, molto apprezzato a Washington (al punto che Obama lo aveva individuato come possibile sostituto di Karzai), recentemente si era duramente scontrato con il presidente sulle nomine dei nuovi capi della polizia e dei maggiori responsabili della sicurezza nazionale: Karzai ha imposto ovunque i suoi fedelissimi per essere certo che fossero pronti a seguire i suoi ordini, infischiandosene dei criteri di professionalità e di onestà che Washington ha preteso da Kazrai dopo le ultime fraudolente elezioni.

La cacciata di Amrullah Saleh e Hanif Atmar è per Karzai una clamorosa affermazione di autonomia rispetto a Washington e alla Nato, una gesto di sfida contro coloro i quali nel 2002 lo avevano messo al potere e che da allora ce lo hanno tenuto.

Follia di un uomo in preda a un delirio di onnipotenza o agli effetti di droghe? Spregiudicato calcolo basato sulla certezza che i suoi ex padroni non lo puniranno perché, nonostante tutto, non possono fare a meno di lui?

O forse, semplicemente, una decisione presa con il benestare di un Occidente che, al di là della propaganda, è pronta a qualsiasi compromesso pur di potersene venire via dal pantano afgano?


Saleh il duro

di Enrico Piovesana - Peacereporter - 8 Giugno 2010

Chi era il capo dei servizi segreti afgani (Nsd) rimosso da Karzai?

A cavallo tra gli anno '80 e '90, il tagico Saleh ha vissuto negli Stati Uniti, acquisendo la cittadinanza statunitense, oltre a un'ottima conoscenza della lingua inglese. Risale probabilmente a quegli anni l'inizio della sua collaborazione con la Cia.

Tornato in Afghanistan nel 1992, in piena guerra civile, è subito diventato vice del maresciallo Mohammed Fahim, all'epoca comandante dell'intelligence dei mujaheddin comandati da Ahmad Sahah Massoud, il 'Leone del Panjsheer'.

Nella seconda metà degli anno '90, quando i nemici dei tagichi divennero i talebani che avevano conquistato Kabul, Saleh divenne l'ufficiale di collegamento tra i mujaheddin e la Cia, sempre più impegnata a sostenere Massoud in missioni speciali (come loperazione 'Jawbreaker') volte all'eliminazione di un uomo solo: Osama bin Laden.

Era Saleh, dalla capitale del Tagikistan, Dushanbé, a tenere costantemente i contatti con il Centro Antiterrorismo della Cia a Langley e con Richard Clarke, il consigliere antiterrorismo della Casa Bianca.

Una collaborazione, questa con la Cia, che il ‘Leone del Panjsheer' non gradiva un granché, ma che accettava per i soldi e le armi che essa fruttava alla sua causa: la liberazione dell'Afghanistan dai talebani - che lui sapeva bene essere sostenuti dalla stessa Cia attraverso i servizi segreti pachistani.

Pare che anche i rapporti tra lui e Saleh fossero abbastanza freddi. "Anche se Amrullah ricopriva una posizione importante, non li ho mai visti abbracciarsi o trattarsi come amici", racconta oggi un vecchio compagno d'armi di Massoud, che preferisce rimanere anonimo.

"Il comandante Masssoud non si fidava di lui fino in fondo, lo considerava troppo ‘americano'. Molti sostengono addirittura che ci sia stato Saleh, assieme al maresciallo Fahim, dietro l'assassinio di Massoud alla vigilia dell'11 settembre 2001".

Uscito di scena Massoud, Fahim prese il suo posto al vertice dei mujaheddin tagichi e divenne comandante militare di tutta l'Alleanza del Nord, che di lì a poco avrebbe combattuto i talebani e le milizie di al Qaeda nell'ambito dell'operazione "Enduring Freedom". A tenere i contatti tra l'Alleanza del Nord e la Cia non poteva esserci che lui, Amrullah l'americano.

Alla fine della guerra, caduti i talebani e istallato al potere Hamid Karzai, Washington decise di fare di Saleh il suo uomo di fiducia a Kabul, la sua ‘longa manus' poliziesca e spionistica in Afghanistan. Ad Amrullah fu nominato subito alto ufficiale dei nuovi servizi segreti afgani, la Direzione Sicurezza Nazionale (Nsd), e nel febbraio 2004 ne divenne di direttore.

Come capo dell'Nsd, Amrullah Saleh si è subito guadagnato la fama di un personaggio temibile, violento e sanguinario. Le voci riguardanti le torture inflitte ai prigionieri nei sotterranei della sede dell'Nsd di Kabul si sono fatte sempre più insistenti, fino al caso delle presunte torture subite da Jonathan Idema e dai suoi mercenari, arrestati da Saleh alla fine del 2004.

Secondo le testimonianze raccolte da alcuni siti Usa che chiedono la liberazione di Idema e soci (caosblog.com, superpatriots.us, afghaninjustice.com e altri*), pestaggi con bastoni e torture con cavi elettrici, acqua bollente e sigarette verrebbero condotte sistematicamente nel corso degli interrogatori, su ordine di Saleh e spesso eseguiti da lui in prima persona.

Nessuna denuncia è stata sporta contro questi metodi perché i prigionieri - dicono questi siti - vengono minacciati di condanna a morte se osano raccontare qualcosa durante le udienze processuali o alle delegazioni della Corce Rossa Internazionale che ogni tanto fanno visita ai detenuti nelle segrete di Saleh.

L'altra passione di Amrullah Saleh, oltre alla tortura, è la censura. E' stato lui, il 12 giugno 2006, a convocare i maggiori rappresentanti della stampa afgana, consegnando loro un documento di tre pagine che portava la sua firma e che conteneva 24 regole che, da allora in poi, i giornalisti afgani avrebbero dovuto rigorosamente rispettare: tra queste, divieto assoluto di riportare e diffondere notizie che mettano in cattiva luce l'autorità del governo Karzai e l'esercito nazionale afgano, che evidenzino le azioni della guerriglia o le proteste antigovernative, che siano critiche verso la presenza e la condotta delle forze militari straniere.