domenica 5 luglio 2009

Bigino di storia italiota

Qui di seguito un rapido excursus su alcune vicende italiote dall'immediato dopoguerra ai giorni nostri.


Dal bandito al Cavaliere (passando per un "massone" ed un americano)
di H.S. - www.comedonchisciotte.org - 5 Luglio 2009

“C’era una volta…” si suole esordire per iniziare una bella storia da raccontare ai bambini, ma la storia o le storie che vogliamo raccontare non hanno nulla da spartire con la fiaba per cui converrebbe cambiare registro. Vediamo… Correva l’anno 1947, ad aprile per l’esattezza. Un giornalista americano si reca a Montelepre in Sicilia per “intervistare” un celebre bandito il cui nome sarà per sempre legato a quelli che possono essere definiti come i primi segreti della nostra Repubblica.

Quel bandito è Salvatore Giuliano e non è un semplice bandito, un fuorilegge come tanti. E’ stato uno dei comandanti militari dell’EVIS, il braccio armato del movimento separatista siciliano. Su quest’ultimo si sono incardinati gli interessi degli agrari, della mafia e anche degli americani. Da qualche tempo, ormai quasi pressoché accantonato il separatismo, Giuliano e la sua banda prendono di mira i sindacalisti e gli esponenti della sinistra comunista e socialista. Si è ormai convinto – o lo hanno convinto – che si deve combattere un’autentica crociata contro la “canea rossa” e sicuramente in molti sono pronti a cogliere il frutto delle sue azioni. Perché quell’americano… l’americano venuto ad immortalare le gesta del Robin Hood siciliano non è un semplice giornalista, ma un agente dell’OSS, il servizio segreto americano che aveva operato durante la guerra. Quel “giornalista sarebbe stato interessato alla fornitura di armi” come dirà Earl Brennan, uno dei dirigenti dell’OSS.

Non è un gran mistero, anzi è storia… I servizi segreti americani sono stati molto attivi nella preparazione dello sbarco in Sicilia attraverso una rete di agenti italoamericani – soprannominati il “cerchio della mafia” - che instaurarono fitti rapporti con i boss di Cosa Nostra italoamericana e di quella siciliana. Forse erano essi stessi dei mafiosi… I servizi segreti della Marina americana si giovarono dell’impegno del boss Lucky Luciano che in cambio potè essere poi scarcerato e spedito direttamente in Italia dove avviò lucrose attività. Gli americani fecero nominare un buon numero di mafiosi come sindaci ponendo sull’isola una seria ipoteca sul futuro. Secondo Brennan fu proprio il “cerchio della mafia”, la rete italoamericana ad avviare rapporti con il bandito Giuliano.

A Washington un altro italoamericano, anche lui agente dell’OSS, il reverendo Frank Gigliotti confidò al futuro Presidente della Repubblica, il socialdemocratico Saragat - che aveva promosso la scissione del partito socialista italiano con gli auspici della massoneria – che “condivideva perfettamente l’uso dell’illegalità e della violenza contro i comunisti da parte di Giuliano e della sua banda”. E’ allora abbastanza evidente l’interesse degli americani, oltre che dei mafiosi e dei massoni nell’utilizzo delle gesta del bandito di Montelepre. La massoneria – o settori significativi della stessa – ha certamente avuto un ruolo non secondario per quel che riguarda taluni avvenimenti e non si può trascurare la sua matrice sostanzialmente americana ed inglese. D’altronde gli Alleati avevano vinto la guerra e l’Italia – Sicilia in primis – ricadevano sotto quella sfera di influenza.

Non passò molto tempo dalla visita del giornalista americano che a Portella della Ginestra si consumò quella che per molti è la prima “strage della Repubblica”, il primo vero capitolo della “strategia della tensione”. Il 1° maggio, festa del Lavoro e dei lavoratori, la banda Giuliano sparò sui contadini comunisti e socialisti convenuti per festeggiare anche la vittoria del Blocco del Popolo che alle elezioni regionali aveva raggiunto la maggioranza relativa. Ovvio l’allarmismo che si insediò nelle stanze di Washington, Londra, Roma e Palermo. Occorreva una risposta immediata…

La banda Giuliano fu il braccio armato ed esecutivo e a quanto risulta da documenti che gli studiosi hanno potuto consultare negli USA, non agì da sola. A Portella avrebbero aperto il fuoco anche elementi della mafia e del corpo neofascista della X MAS. Poi fu facile scaricare le responsabilità su un bandito che, per quanto pericoloso, non era certo acculturato. Sognava di portare un’altra stella alla bandiera degli Stati Uniti d’America per cui nutriva una sincera ammirazione avendo parenti che ivi risiedevano, di liberare la Sicilia dal pericolo comunista… Gli furono fatte promesse, l’impegno di un’amnistia per i componenti della banda… Sicuramente furono personaggi importanti quelli che fecero opera di persuasione nei suoi confronti. Invece, arginata l’”onda rossa”, estromessi da De Gasperi i comunisti ed i socialisti dal governo rispondendo agli auspici del democratico Presidente USA Truman, il vento cambiò direzione per Giuliano.

Lo Stato si impegnò con maggiori risorse nella “guerra al banditismo”. Per il Ministro degli Interni, il democristiano siciliano Scelba, la strage di Portella non era altro che uno dei crimini del banditismo, un’azione non politica. Fare di Giuliano un comodo capro espiatorio etichettandolo come “bandito”. Ciò consentiva di allontanare l’attenzione proprio sul versante “politico” degli appoggi di cui potè godere Giuliano. Il quale era invece un guerrigliero, un terrorista che agiva proprio per perseguire degli obiettivi politici o, almeno, per permettere ad altri di conseguirli. Non deve stupire… Come Giuliano altri terroristi verranno sfruttati e spremuti come limoni per poi essere gettati e scaricati da poteri e potentati in grado di agire più nell’ombra. Uomini certo più acculturati di Giuliano e altri che certo non hanno esercitato la pericolosa e inusuale attività terroristica hanno conosciuto un eguale destino. Ma procediamo…

Trascorrono circa sessant’anni da quell’”intervista” e, nonostante il nostro “giornalista” americano sia ormai ultrassessantenne, lo vediamo assegnare il Premio della Libertà di una fondazione USA ad un ben noto Cavaliere. La cerimonia si celebra a New York presso una portaerei in disarmo a circa due mesi di distanza dalle elezioni politiche italiane che si sarebbero svolte nell’aprile del 2006 e che tanto avrebbero fatto discutere per le anomalie registrate e per la possibilità di brogli.

Il nostro vecchietto americano che risponde al nome di Mike Stern sarebbe stato intervistato l’anno dopo dal direttore del periodico di sinistra “Diario” l’ex di Lotta Continua Enrico Deaglio nell’ambito di un lavoro documentaristico intitolato “Gli imbroglioni” realizzato per portare alla luce i presunti brogli dell’elezioni politiche del 2006. Dal bandito al Cavaliere… Forse il passo non è poi così lungo nonostante gli anni… La guerra fredda è stata sepolta dalla Storia e dalle macerie dell’Impero sovietico, ma ora si sta combattendo un’altra dispendiosa guerra contro il “terrorismo” e i “nuovi nemici della civiltà”. Stern spiega candidamente a Deaglio che il cavallo vincente degli americani è proprio il premiato, il Cavalier Silvio Berlusconi perché nel centrosinistra sono presenti partiti e fazioni di sinistra troppo ostili agli americani e alla NATO.

Insomma gli interessi americani prima di tutto… Ciò taglierebbe la testa al toro e dovrebbe far riflettere coloro che ultimamente hanno mostrato qualche simpatia per il Cavaliere attribuendogli un sincero spirito nazionalistico, antiliberista e votato all’insegna dell’autonomia degli americani. Da questo punto di vista Berlusconi non è diverso dagli altri politici e politicanti italiani sempre alla ricerca degli appoggi da parte dei poteri che in Italia contano – a parte gli americani, anche la Confindustria. La grande finanza e il Vaticano -.

Evidentemente lo stesso Stern non può essere altro che un portavoce della volontà espressa da settori e lobbies industriali, finanziarie, politiche e militare americane ed italoamericane e quando risponde a Deaglio lo fa con cognizione di causa e sicuro raziocinio. Quel che accade poi nell’aprile del 2006 può avere qualche relazione con il premio assegnato da Stern a Berlusconi ? E cosa è realmente successo ? Quale è stato il vero esito delle elezioni ? Probabilmente i più non lo sapranno mai e l’ennesimo segreto della Repubblica monca rimarrà ben custodito nell’ennesimo cassetto.

Come mai la “forbice” fra centrosinistra e centrodestra si ridusse progressivamente ed inaspettatamente ? Perché la prevista netta sconfitta di Berlusconi si rovesciò quasi nel trionfo della compagine di centrodestra ? Quella risicata vittoria di Prodi molto simile ad una sconfitta è stata forse l’esito di un compromesso fra le due parti in gioco, accordo dettato dalla necessitò di non destabilizzare ulteriormente il paese ? Impressioni, qualche indizio, manciate di prove… Non dovrebbe sorprendere se un giorno dovessimo scoprire la natura fasulla dei risultati di quelle elezioni. Questo paese ci ha abituato a regolamenti di conti e colpi bassi, spietati e a volte assurdi giochi di potere, ai ricatti e alle falsificazioni fino al ricorso alla violenza che diventa merce quotidiana in un contesto in cui le mafie hanno voci assordanti in capitolo.

Berlusconi si è guadagnato la meritata fama di cavallo di battaglia di quella cordata internazionale composta anche dall’americano Bush jr., dall’inglese Blair e dallo spagnolo Aznar. L’alleanza internazionale della “guerra permanente” e della “clash of civilization” per dirla con le parole di Huntington. Chi ha ancora una discreta memoria si ricorderà come la gestione repressiva e disastrosa del G8 di Genova (secondo governo Berlusconi - luglio 2001) avesse ricevuto il plauso di Bush jr. e di Blair.

Inoltre l’Italia di Berlusconi ha combattuto la sua “guerra permanente” ancor prima che le truppe venissero inviate in Iraq ed in Afganistan. Personaggi legati ai nostri servizi segreti sono stati adoperati per dimostrare che Saddam Hussein aveva acquistato una partita di uranio sulla base di documenti contraffatti e fasulli per fornire il destro all’invasione americana dell’Iraq, mentre al contempo gli stessi servizi segreti militari sondavano il terreno irakeno in vista delle operazioni belliche.

Da allora, da quelle elezioni del 2006, sono mutate molte cose nel panorama internazionale ed italiano. Innanzitutto è stato messo a punto il Partito Democratico che, quasi rispondendo agli auspici del vecchio Stern, si è liberato della zavorra “comunista” correndo praticamente da solo. In effetti il partito è stato edificato più pensando a rispondere alle aspettative dei poteri forti di cui si è detto che all’elettorato. Si spiega infatti come una minoranza di matrice “vaticana” come quella rutelliana o binettiana abbia un peso sproporzionato nonostante la sua esiguità. Viene a cadere così quella sorta di conventio ad excludendum che penalizzava il centrosinistra.

Soprattutto alla guida degli USA non c’è più il grande comandante in campo della guerra contro il Male George W. Bush Junior, rampollo di una potente famiglia repubblicana di petrolieri in odore di CIA e bellicismo, ma il democratico Barack Obama che se vuole rilanciare l’imperialismo USA lo deve fare secondo un’altra strategia. In breve se Bush Jr. si stava quasi certamente preparando per l’intervento militare diretto in Iran, molto più semplicemente Obama opterebbe per azioni più discrete delegando a fazioni indigene il compito di influenzare l’Iran degli ayatollah in senso più filoamericano piuttosto che per il coinvolgimento diretto dell’esercito americano.

Dei Quattro Cavalieri della Guerra Permanente – Bush jr., Blair, Aznar, Berlusconi – quest’ultimo è l’unico sopravvissuto politico. Certamente il Nostro sta raccogliendo tutte le sue forze e la sua volontà per mantenersi in carreggiata anche adeguandosi alla “svolta” impressa dal nuovo Presidente, ma è altrettanto chiaro che l’idillio di un tempo non può essere ripetuto. Sono finiti i tempi d’oro, gli anni in cui sulla testa del Cavaliere piovevano riconoscimenti internazionali. Ai consessi è sempre più mal sopportato e non si è persa l’occasione di tirargli anche qualche sonoro schiaffo. Si pensi alla dichiarazione di voto per il Presidente del Parlamento Europeo da parte di quello che doveva essere il suo principale alleato, il Presidente francese Sarkozy…

Non c’è bisogno di essere complottisti o cospirazionisti incalliti per capire che sono in atto trame miranti a scalzare il Cavaliere. Più di una voce e un indizio si sono palesati rispetto all’ipotesi del solito governo tecnico di transizione. Dovrebbe ormai essere chiaro ai più che nei dintorni dei Palazzi la trama, la cospirazione e il gioco di potere sono pane quotidiano senza scandalizzarsi. Dovrebbe stupire invece il contrario cioè l’assoluta libertà di manovra del Cavaliere il quale, da par sua, singhiozza come un caimano, strepita ed evoca azioni eversive a suo danno.

Ma è mai possibile che uno che sta tramando quotidianamente innanzitutto contro sé stesso non comprenda quanto possa fare gli altri alle sue spalle. Qui siamo al delirio di onnipotenza ! Il Cavaliere sta misurando il mondo con i suoi propri ed esclusivi passi e quel che ci offre è qualcosa di simile ad un folle parco a tema in cui convivono una Disneyland allucinata, uno stucchevole Paese dei Balocchi, una Las Vegas senza confine, la Hollywood dei “poveri” e un gigantesco bordello neanche tanto di lusso in un turbine virtuale che esclude necessariamente il mondo ed il paese reale. Come spiegare le candidature delle veline, delle letterine, per non parlare delle escort ? Come descrivere con le parole della ragione i bagordi e i festini a base di donnine, ragazze e ragazzetti ?

Per di più il Nostro – che si circonda beatamente di un esercito di bodyguard anche private – espone le sue incursioni goderecce all’assalto di paparazzi e fotografi. Siamo all’adolescenza e all’infantilismo “di ritorno”! Il Cavaliere è adulto e vaccinato e dovrebbe sapere che tutti i capi di stato e di governo vengono monitorati dai servizi segreti di tutto il mondo scibile. Da dove viene quella che sembra una disarmante ingenuità? Soprattutto come fidarsi di un personaggio che dovrebbe innanzitutto diffidare di sé stesso? In aggiunta è sempre più arduo convincersi che Berlusconi governa alcunché quando nessuno può più ormai negare che nei giorni caldi della crisi georgiana il Nostro si dedicava a ben altre occupazioni. La compagine governative ormai è sempre più nelle mani di Letta e di Maroni… Allora perché l’uomo di Arcore fa tanta paura? Si teme la sua determinazione o la sua progressiva inaffidabilità?

Per quel che riguarda i possibili complotti e le manovre per scalzare il Cavaliere non posso far altro che rimandare a quanto avevo già scritto in precedenza. Posso invece puntualizzare quel che a livello internazionale (ma anche interno) si teme di Berlusconi e del suo “modello di governo”.

Anche se finora l’”anomalia” berlusconiana costituisce un caso unico in Europa con il Cavaliere si è imposta all’attenzione internazionale una forma di amministrazione della cosa pubblica pressoché sconosciuta ai paesi occidentali. Per comodità potremmo chiamarlo “autoritarismo democratico” o “democrazia autoritaria”. Berlusconi tende a dissolvere la mediazione istituzionale fra il premier e il popolo presentandosi come unico interprete della “volontà popolare”. Istituzioni, partiti, organismi di controllo, leggi e regolamenti vengono liquidati come inutili intralci all’azione del capo di governo a cui dovrebbe essere garantita la libertà assoluta di governare (o “sgovernare” nel suo caso).

Non c’è solo lo sfrenato edonismo a caratterizzare l’indole del Nostro ma anche una bella dose di populismo peraltro sempre più orientato a destra. Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le dichiarazioni che lasciavano intendere un modo di procedere certamente gradito alla Lega e alle destre radicali. Nazionalismo, sciovinismo, xenofobia, ecc… Un nazionalismo – mi si passi il termine – piuttosto “scorreggione” guardando soprattutto alla manovra elettoralistica compiuta con Alitalia per impedire al governo Prodi di portare a termine la trattativa con Air France. La bella notizia è che dopo aver fatto qualche favore alla cordata di imprenditori amici a spese del contribuente, Alitalia andrà comunque fra qualche anno nelle salde mani francesi alla faccia delle dichiarazioni e degli intenti “patriottardi”!

Inforcando tuttavia gli occhiali degli ammiratori di Berlusconi questo non conta. Piuttosto piace il deciso piglio all’apparenza autoritario del Nostro che, d’altronde, è sicuro ammiratore di Bush jr., di Putin e del colonnello Gheddafi, personalità che hanno dato mostra di un rispetto del tutto relativo per i diritti. Non è certo un caso d’altronde che proprio Berlusconi e i suoi uomini più fidi – in primis il picciotto Dell’Utri – abbiano cercato di rivalutare la figura storica di Mussolini.

Eppure il populismo, il plebiscitarismo e lo sgangherato ma tuttaltro che innocuo “mussolinismo” non rappresentano autentiche novità. Quel che soprattutto colpisce in Berlusconi e nel berlusconismo è il fatto che questa ondata populista provenga da un personaggio che innanzitutto è un uomo di affari, un imprenditore dello spettacolo, un tycoon e un padrone di mass media. La sua gestione e la sua visione del settore pubblico sono impregnati di concezioni “privatistiche” e di paradigmi “imprenditoriali”. Anche da ciò, oltre che dal consueto richiamo qualunquistico, discende il disprezzo per i politici ed i politicanti i quali dal canto loro non hanno che un’idea vaga del bene pubblico e della collettività.

Insomma la confusione e la irruzione del privato nel pubblico trovano nel Cavaliere la massima espressione. La stessa fonte primaria di consenso di Berlusconi è genuinamente antipolitica o apolitica perché deriva dalla sua attività di imprenditore principe dell’industria dello spettacolo, dell’intrattenimento e del divertimento. Quanti abbonati del Milan votano per la PDL ? Per quante sono state le sue recenti defaillance non si può scordare che il Cavaliere ha creato una imponente “macchina da guerra” controllando a lungo e in maniera apparentemente sapiente mass media ed informazione improntandole sulla sua personale immagine del mondo.

Berlusconi ha appreso e imparato bene la lezione del celebre sociologo francese Gustav Le Bon che a fine Ottocento raggiunse un grande successo con un’opera che svelava la natura sostanzialmente irrazionale delle masse. Hitler e Mussolini sono stati attenti lettori del sociologo francese e hanno saputo parlare alla pelle, alla carne e alla pancia del popolo. Da allora i mezzi di comunicazione di massa si sono sviluppati e anche il “fascismo” si è aggiornato e si è fatto più “pragmatico”. Via le divise, i gagliardetti, le grandi parate… L’abbinamento con una visione nuove, inedita, postmoderna e meno lugubre è sicuramente più appagante.

Certo, in un paese come l’Italia, una Repubblica e una democrazia monca ed incompiuta caratterizzata dalla fragilità delle istituzioni, un Berlusconi con i suoi numerosi mezzi per solleticare la pelle del popolo e per determinare un diffuso “rincoglionimento” hanno più possibilità di mettere piede e di installarsi per anni, ma ciò non cancella l’allarme per quello che può essere un esempio per il domani.

A mio parere tale pericolo è avvertito più nelle cancellerie europee che nelle stanze di Washington ove tutto sommato il consueto pragmatismo può consigliare di scendere a patti anche con Berlusconi se si dimostra ossequiente rispetto alla linea di politica internazionale americana. Ugualmente và detto che nessuno a Washington si permetterebbe di sacrificare i buoni rapporti con le cancellerie europee solo per Berlusconi ed è altrettanto certo che oggi - dalla Merkel a Sarkozy – nessuno dei grandi capi di Stato e di governo europei gradisce Berlusconi, il berlusconismo e tutto quello che comportano.

Come legare il destino di una nazione ai capricci e ai vizi di un premier che giorno dopo giorno manifesta sempre nuovi sintomi di instabilità e che è comunque detestato neanche tanto cordialmente dalla metà della nazione che governa? Il “presidenzialismo” e il “cesarismo” berlusconiani sospesi fra deregulation non solo economica e populismo destrorso non possono rappresentare un valido modello europeo e questo rapporto anti istituzionale fra premier e “cittadinanza” – rapporto certo non paritario – ha un che di destabilizzante. Fra le tante ragioni di ostilità nei confronti di Berlusconi anche queste gravano come una spada di Damocle sulla testa politica del Cavaliere.

Non possono quindi esservi dubbi… I vari Sarkozy, Merkel, Brown, ecc… ma anche Barack Obama preferirebbero confrontarsi con altri interlocutori piuttosto che con il Cavaliere il quale, dal canto suo, ha riservato ai Grandi della Terra un’accoglienza sismica! Preferirebbero interloquire e ascoltare qualcuno che non avrebbe per la testa grilli populisti e demagogici.

Se guardiamo al nostro panorama politico non è eccessivamente arduo identificare quali possono essere gli uomini del futuro. A mio avviso la risposta dovrebbe essere immediata: Gianfranco Fini sul versante PDL e centrodestra; Massimo D’Alema su quello del PD e centrosinistra. Fini e D’Alema… Il postfascista che “studia” lo stile neoconservatore e il postcomunista che si dà le arie da neoliberale. In effetti sono le due personalità che ultimamente più si sono agitate nel contesto dell’attuale crisi berlusconiana. Non solo…

Molto accomuna i due che negli ultimi tempi sono apparsi in sincera sintonia. Caratterialmente molto simili e certo non sospetti di modestia, Fini e D’Alema hanno dedicato le loro carriere politiche alla cancellazione di un passato ingombrante e fallimentare. Entrambi “ragazzi prodigio della politica”, sono stati i pupilli di due leader di partito, Almirante (MSI) e Berlinguer (PCI) che pur tra mille contraddizioni e qualche ambiguità hanno avviato il rinnovamento delle loro organizzazioni. Peraltro gli eredi hanno cercato anche di distinguersi e distanziarsi dai loro “padri politici”.

Si pensi a Massimo D’Alema che ha contribuito alla rivalutazione politica di Bettino Craxi certo a scapito proprio di Berlinguer, fiero avversario del segretario socialista e del craxismo. Poi sia Fini che D’Alema stanno attraversando un periodo tutt'altro che felice e sono costretti al “purgatorio” per i propri errori e per le scelte sbagliate. Se il primo è stato confinato in un ruolo istituzionale prestigioso ma che poco incide sull’attuale situazione politica italiana a causa dell’insofferenza nei confronti del Cavaliere, il secondo paga la sua tendenza all’”inciucismo” e all’accordo sottobanco con gli avversari politici.

I due, però, sono anche fieri, ambiziosi e volitivi, inoltre nel contesto politico italiano sanno muoversi meglio degli altri potendo manovrare in maniera discreta all’occorrenza. Si sa… I movimenti all’interno dei Palazzi del Potere sono impercettibili e quasi silenziosi. Possono essere uditi solo con l’orecchio dell’intelligenza e del ragionamento. Sono abbastanza sicuro che in questi mesi Gianfranco e Massimo, la coppia apparentemente strana, si sono rincorsi e sentiti più volte. E hanno discusso e discettato soprattutto su un argomento: il Cavaliere. Nell’eterna contesa sulla riforma istituzionale e costituzionale per raddrizzare la Repubblica sia Fini che D’Alema oppongono allo sguaiato “cesarismo” mediatico di Berlusconi un modello fondato sul rafforzamento delle prerogative del premier ma al contempo sul consolidamento del bipartitismo.

A differenza di Berlusconi i due non vogliono certo ridimensionare, anzi annullare il ruolo dei partiti e, anzi, si affidano all’estrema semplificazione del sistema partitico da ridurre al dualismo PDL/PD. E’ fondamentalmente questa la contesa che sta macerando attualmente il paese, lo scontro neanche troppo sotterraneo fra Berlusconi “uomo fondamentalmente contro i partiti (come contro le istituzioni)” e l’accoppiata Fini/D’Alema personalità nate e cresciute nei partiti e votate alla missione di accentuarne il ruolo nella politica italiana.

Insomma quel che stiamo assistendo è l’aspro confronto fra Berlusconi e il suo esclusivo entourage – in sostanza i suoi soci, i suoi dipendenti ed i suoi avvocati – da una parte e gli apparati dei due maggiori partiti dall’altra forti dell’esperienza di politici di professione formati ed educati alla disciplina e al rispetto della tradizione di partito (ora democristiana, ora comunista, ora fascista, ecc…).

Se Berlusconi ritiene che i partiti siano un inutile intralcio per la (s)governabilità del paese, Fini, D’Alema e i loro discepoli concepiscono un premier che sia comunque emanazione delle scelte del partito di maggioranza. Tuttavia ciò non significa certo riabbracciare il parlamentarismo della Costituzione, anzi… La semplificazione prevede che ci si debba sbarazzare in qualche modo dei partiti e dei gruppi minori espellendoli dalle istituzioni o emarginandoli politicamente. Se il postcomunista e neoliberale Massimo D’Alema assieme allo stato maggiore piddino ha decretato la fine sostanziale del centrosinistra rompendo con gli alleati neocomunisti e di estrema sinistra, il postfascista e neoconservatore Gianfranco Fini ha iniziato a fare qualcosa di simile sull’altro versante proponendosi di eliminare le scorie della destra radicale fino allo stesso berlusconismo di cui tutto può esser detto tranne che sulla presunta moderazione e misura del suo artefice e dei suoi accoliti. Non importa se qualche tempo fa D’Alema manifestò propositi di riavvicinamento nei confronti delle sinistre, perché si tratta sempre di manovre e manovrine di breve periodo finalizzate a dare ossigeno al PD che peraltro non gode di ottima salute.

L’introduzione del bipartitismo prevede una legge elettorale che favorisca la semplificazione del sistema dei partiti, ma la strada dei Nostri non sarà agevole… A rompere le uova nel paniere del bipartitismo PDL/PD almeno tre rumorosi soggetti: una Lega che riscuote sempre maggiori consensi, il movimento “dipietrista” a cui il richiamo alla legalità ha portato in dote il raddoppio dei voti e l’UDC che sul prevedibile calo di popolarità di Berlusconi fra i cattolici potrebbe aprire inaspettatamente qualche nuovo orizzonte inaspettato. Se c’è qualcosa che, invece, avvicina Berlusconi a Fini e a D’Alema è proprio il tentativo di dissolvere il multipartitismo. Non è certo un caso che solo gli uomini del PDL e del PD si siano espressi favorevolmente sui quesiti referendari elettorali. Berlusconi, Fini e D’Alema per una volta ancora insieme…

L’inchiostro non è innocuo ma, al contrario, ben più letale del piombo. Come si dice d’altronde: “Ne ammazza più la penna che la spada”. Molto inchiostro è stato versato in questi ultimi mesi sulle disavventure “private” di un premier che governa poco e male e si è scatenata una battaglia condotta soprattutto dalle colonne dei giornali e dagli schermi televisivi. Beh! A dire il vero ormai il fuoco di fila è a senso unico perché è evidente che il Cavaliere non riesce o non vuole rispondere per motivi intuibili. Difficile identificare dei mandanti nei tentativi di disarcionare il nostro piccolo e infimo Imperatore.

Certo se Gianfranco Fini e Massimo D’Alema non sono gli ispiratori o i mandanti si preparano a cogliere i frutti di questa operazione mediatica. In effetti c’è tutto un ambiente che funziona quasi da cerniera fra il neoconservatorismo di Fini e il neoliberalismo di D’Alema e attualmente risponde agli auspici dei due leader. Mi riferisco certo all’inossidabile duo Ferrara/Sofri che non hanno certo bisogno di lunghe presentazioni. Il primo da reduce del Sessantotto, ex militante del PCI, ex craxiano convinto, ex collaboratore della CIA, ex neo e teocon, si prepara anche a diventare ex berlusconiano.

Il secondo, anche lui già sessantottino e leader di quello che è stato il più importante movimento dell’epoca ossia Lotta Continua, il curioso agglomerato di tante suggestioni ribelliste dell’epoca (operaismo, maoismo, libertarismo, marxismo leninismo, controcultura, ecc…) con il delizioso contorno di qualche irrisolta ambiguità, si è calato come i migliori talenti della sua generazione nel ruolo di dispensatore di perle di saggezza. I due giocano e non ci vanno certo con il guanto di velluto e in ogni gioco che si rispetti ad ognuno viene assegnata una parte precisa.

Così se Adriano Sofri sul quotidiano antiberlusconiano e di centrosinistra “Repubblica” – tra i più comprensibilmente attivi nell’attuale campagna contro il Cavaliere – rincara la dose e si azzarda a pronosticare per Berlusconi l’imminente fine politica con toni aspri, Giuliano Ferrara dalle colonne del suo “Foglio” – il quale non è solo “berlusconiano” ma appartiene proprio alla famiglia Berlusconi – cerca di convincere il suo “principale” a recedere dalle sue posizioni in nome della loro amicizia. Tradotto con le parole più scarne sia Sofri che Ferrara vorrebbero che il premier si dimettesse!

Il nostro omino di burro è ormai solo un Pinocchio e non nel senso che come l’impagabile burattino è avvezzo alla bugia, ma perché anche lui ha trovato sulla sua strada un Gatto e una Volpe molto navigati… A differenza di Pinocchio però Berlusconi è adulto e vaccinato per non capire che le monete non crescono sugli alberi e i due compari lo sanno benissimo… Sicuramente l’operato dei due amiconi ha ricevuto la benedizione della consorte di Berlusconi da tempo immemore ormai in rotta con il marito.

La signora Veronica ha dato il là e ha aperto le danze facendosi intervistare proprio da “Repubblica” dimostrando prontezza, presenza di spirito e una certa astuzia sapendo ben valutare l’opportunità di esporsi personalmente. Non dimentichiamo che proprio lei è la proprietaria del piccolo quotidiano di Giuliano Ferrara ed evidentemente non è solo una prestanome avendo una certa voce in capitolo. Saremo quasi portati a pensare che la fissazione del Cavaliere per il sesso lo ha portato a sottovalutare le altre indubbie doti di sua moglie. A sue spese naturalmente… Dal canto suo la signora Veronica deve risolvere un rebus difficile anche per i più incalliti cultori di enigmi. Come sbarazzarsi del marito salvaguardandone portafogli e patrimonio? Se la sarà pur posta questa domanda…

Lasciando da parte Veronica che, d’altronde, come donna non potrà rivendicare eccessivi meriti dalla eventuale capitolazione del marito si ha come l’impressione di assistere ad una guerra paradossale. Un postfascista ed un postcomunista si affidano a due noti postsessantottini per silurare il Cavaliere già provato dalle sue disavventure. In poche parole la guerra dei “post”, di coloro che mutano continuamente pelle e non si fermano mai… D’altronde, invece, il Cavaliere è sempre rimasto uguale e fedele a sé stesso. Immutabile come una statua che attraversa le intemperie del tempo. Una guerra che saprebbe di grottesco se non fosse per i destini di un popolo ormai abituato a sopportare tutto, mentre fuor dai confini c’è chi osserva e valuta attentamente…

Ed è ora di introdurre l’ultimo della banda dei quattro… In una quaterna così prestigiosa dopo il Bandito, l’Americano e il Cavaliere, non può mancare il Massone, anzi il “Massone” perché della sua sventolata propensione all’esoterismo e all’occulto c’è da dubitare fortemente. Avrete facilmente indovinato che si tratta sempre di lui, l’immarcescibile, l’immancabile, l’ineffabile e l’invalicabile “Mister P2”, Licio Gelli che, come il sempiterno Mike Stern, dimostra una volta di più come siano svegli e attivi certi ultranovantenni. Agire e muoversi nell’ombra aguzza occhi, orecchie ed ingegno. Mi sono sempre chiesto quale senso avesse l’intervento televisivo autunnale di “Mister P2”.

Apparentemente le parole di Gelli non si prestavano ad equivoche interpretazioni, ma, a ben pensarci ed essendo nota la mania del Venerabile di dispensare messaggi occulti e trasversali accompagnati da ricatti e di propalare dati e informazioni e proprio beneficio, occorre essere cauti dal trarre affrettate conclusioni. Innanzitutto egli ha ribadito che Berlusconi rimane il vero erede del Piano di Rinascita Democratica piduista, l’unico in grado di realizzare il programma della loggia coperta. Tuttavia se è vero che Berlusconi è stato un iscritto della P2 e che ha fatto proprie molte sollecitazioni provenienti dal Venerabile basta dare una scorsa e leggersi il Piano per capire come il modello “presidenzialista o di premierato bipartitico” coltivato da Fini e D’Alema – due politici che non hanno mai amato la loggia P2 o coltivato pericolosi rapporti con suoi esponenti in passato – si adatta molto di più e meglio ai punti di quel programma che non l’”autoritarismo democratico” di Berlusconi. In secondo luogo pur confermando la propria ammirazione per Mussolini e la sua adesione al fascismo, quasi tutta la biografia di Gelli racconta le gesta di un uomo complicato, dalla mentalità molto più “flessibile” di un qualsivoglia elemento fanatizzato. Più che di fascismo oserei parlare di “fascismo pragmatico”.

Dai documenti raccolti dalla Commissione P2 Gelli ha lavorato per i servizi segreti americani dell’Esercito, i CIC, durante il conflitto mondiale e ha svolto una sottile attività di doppiogiochista fra i partigiani comunisti e i nazifascisti che avevano aderito alla Repubblica di Salò. Un’abile e spregiudicata spia, insomma… La sua indubbia capacità di raccogliere, conservare e catalogare dossier, informazioni e dati riservati e segreti gli ha permesso di evitare di fare la fine di certi suoi confratelli come i finanzieri Calvi e Sindona e come il giornalista Mino Pecorelli i quali non sono certo deceduti in seguito ad incidenti o disgrazie. Informazione è ricatto e il ricatto è potere, questa è la lezione gelliana.

Un dato estremamente interessante inerente l’inizio della “carriera massonica”del Venerabile riguarda la curiosa coincidenza fra la scomparsa di Frank Gigliotti dall’Italia e l’entrata di Gelli nella Comunione massonica di Palazzo Giustiniani. Ricordate Gigliotti ? Il massone italoamericano che affermava di condividere con il bandito Giuliano i mezzi per combattere il comunismo ? Fra l’altro questo strano personaggio italoamericano, agente dell’OSS e poi della CIA, fece pressione sulla massoneria di Palazzo Giustiniani perché riconoscesse la loggia degli Alam del principe Giovanni Alliata di Monreale.

Siciliano, massone, monarchico, amico di americani, inglesi, mafiosi oltre che del principe Borghese, il comandante della X MAS, il principe verrà coinvolto nelle inchieste sui tentati golpes Borghese e della Rosa dei Venti. Il luogotenente del bandito Giuliano, Gaspare Pisciotta, un’altra vittima delle epidemie di “disgrazie e suicidi” lo additerà come uno dei mandanti della strage di Portella. In cambio dell’unificazione con la loggia degli Alam del principe Alliata, la massoneria di Palazzo Giustiniani avrebbe ricevuto il prestigioso riconoscimento americano ed inglese.

L’operazione era mirata a rafforzare la presenza di personaggi e di elementi di destra e visceralmente anticomunisti nella massoneria italiana. Questo era Frank Gigliotti, l’ufficiale di collegamento fra la CIA e la massoneria italiana… Quando Gelli entra nella massoneria nonostante il passato fascista, è già un personaggio piuttosto potente anche se oscuro. Il suo destino sarà indissolubilmente legato alla più famosa delle logge coperte.

Ma poi cosa era realmente questa loggia P2? La complessità del fenomeno non consente una risposta univoca. Sicuramente la P2 si collocava al crocevia fra settori e frange dei servizi segreti americani, inglesi, israeliani e NATO, il Vaticano, organizzazioni criminali come Cosa Nostra italoamericana e quella siciliana, fazioni della massoneria internazionale, grandi gruppi economici, bancari, finanziari ed industriali e potenti lobbies soprattutto italoamericane.
Con più precisione il “gladiatore” ed ex Presidente della Repubblica Cossiga qualche tempo fa riprese una confidenza ricevuta in ambito militare. La loggia Propaganda 2 sarebbe stata concepita nella base militare NATO di Napoli dagli stessi americani. “Massoneria militare”, dunque, composta oltre che da militi anche da civil servants per onorare la bandiera a stelle e strisce.

Sicuramente la P2 ha rappresentato un punto di coagulo per le diverse forze dell’anticomunismo – la vera matrice culturale della loggia secondo Gelli -, un tentativo di unire il diavolo e l’acqua santa contro il comune e mortale nemico. Anticomunismo insomma, ma anche parecchio filoamericanismo ed atlantismo. Ciò aiuterebbe soprattutto a dare conto della compresenza di due elementi apparentemente inconciliabili nella consorteria. Da un lato il “presidenzialismo bipartitico” tecnocratico ed elitario caro a Fini e a D’Alema, dall’altro l’”autoritarismo democratico” populista e un po’ fascisteggiante di Berlusconi… Quelle che per comodità possiamo nominare come le “due destre” anche se non hanno più nulla da spartire con l’ormai logora tradizione controrivoluzionaria e retriva dei De Maistre e Bonald.

Di queste due anime il Piano e relativi aggiornamenti rappresentano il punto di mediazione e contemperamento. Lo stesso Gelli ha personificato queste due tendenze: presente alle cerimonie di insediamento di due Presidenti USA molto diversi come il democratico Carter e l’ex attore repubblicano Reagan e con ampie frequentazioni americane, egli ha anche consolidato un’ampia rete di rapporti con regimi dittatoriali come quello argentino del “fascista” e “populista” Peron, quello rumeno del “comunista” Ceausescu e quello del “nazionalista arabo” Gheddafi.

Particolarmente stretti sono stati i collegamenti con i regimi dittatoriali e militari latinoamericani come quello uruguaiano, quello brasiliano e, soprattutto, quello argentino. Per quel che riguarda quest’ultimo molti esponenti della giunta militare al potere sono risultati iscritti alla P2. L’affiliazione forse più clamorosa alla loggia gelliana è stata quella di Lopez Rega, il capo degli squadroni della morte anticomunisti cultore di dottrine esoteriche protetto da Isabelita Peron, la consorte di Juan Domingo. Questo per rendere l’idea dell’estrazione politico culturale della congrega raccolta intorno a Gelli…

L’anima “angloamericana” e quella “latinoamericana” – si noti l’assenza dello spirito europeo continentale – insomma… Anime che decidono di allearsi e condividere, ma può accadere e non di rado che esse entrino in conflitto… Come accadde nell’ormai lontano 1982 quando i militari argentini dichiararono guerra alla Corona britannica per le isole Falkland. L’estremo tentativo di giocare la carte “nazionalista” e “patriottica” per guadagnare maggiori consensi ad un regime ormai esangue. Una crepa nella rete di alleanze anticomuniste internazionali… La Gran Bretagna di Margaret Thatcher ricevette l’appoggio degli Stati Uniti d’America retti da Ronald Reagan in nome di un’inossidabile partnership, mentre Gelli si attivò per finanziare l’acquisto di armamenti da parte argentina.

Non era solo in ballo la fratellanza massonica italoargentina perché l’anno prima Gelli era stato scaricato dagli antichi protettori americani e non quando la Guardia di Finanza effettuò le perquisizioni che portarono alla luce una parte degli affiliati della sua loggia. Da tempo gli americani con i falchi repubblicani e i neoconservatori come Michael Ledeen gli avevano preferito il faccendiere di talento Francesco Pazienza ben inserito nei ranghi del SuperSISMI egemonizzato da iscritti alla solita loggia. Un tentativo di rivalsa?

Comunque ne è passata molta di acqua sotto i ponti e la mia impressione è che oggi Licio Gelli si sia prestato a fare da portavoce di determinati ambienti italiani ed internazionali proprio come il coetaneo Mike Stern. D’altronde, nonostante l’indubbia astuzia, è difficile pensare a Gelli come al vero “capo della P2”. Più ragionevole ritenere che Gelli sia una sorta di efficiente segretario o quantomeno concludere che la stessa loggia Propaganda 2 sia stata o sia il ramo di qualche altra organizzazione ben più potente o la mandataria del perseguimento di vari interessi inconfessabili.

A mio avviso se Stern ha posto l’enfasi sull’appoggio dato da settori, fazioni e frange dei potentati americani (ma non solo), dopo due anni e mezzo Gelli ha ricordato a Berlusconi il credito “politico” che gli è stato affidato rammentandogli che non è illimitato e, anzi, può essere revocato. In tal senso Gelli si pone questa volta come sorta di garante e punto di equilibrio fra le due tendenze di cui si è detto. Berlusconi, forse senza rendersene realmente conto data l’estrema considerazione di sé, deve essere andato troppo “oltre” nel suo sogno (o incubo?) di “autoritarismo democratico”. Il clima internazionale è indubbiamente mutato con l’elezione di Barack Obama e oggi un Fini o un D’Alema riscuotono molto più credito che non Berlusconi.
Gli sviluppi attuali sono sotto gli occhi di tutti…

Siamo forse all’epilogo dell’avventura “politica” di Berlusconi o comunque all’inizio della fase discendente della sua parabola? Sta per cominciare l’inizio della fine di Berlusconi, per non parlare del berlusconismo? Troppi indizi lo lasciano supporre… Il Nostro è isolato dal punto di vista internazionale. Si è spinto oltre sulla china demagogica, populista e autoritaria e, in aggiunta, ha messo in mostra tutta la sua inaffidabilità rispetto a sé stesso e agli altri. Festini a base di donnine e forse anche di stupefacenti con la partecipazione di capi di stato, ministri, imprenditori ed altre personalità sotto gli obiettivi fotografici di un paparazzo sardo. Migliaia di fotografie… Chissà quanti hanno potuto osservare, spiare, fotografare e filmare in questi anni! E ciò sicuramente non ha fatto piacere agli illustri ospiti. Un leader debole, ricattabile, screditato e immerso nel ridicolo…
Il declino personale lo sta indubbiamente portando anche a far enorme danno a sé stesso…

Soprattutto il Cavaliere trasmette l’impressione di essere giunto al capolinea quando non risponde o risponde in maniera goffa, scomposta e inutilmente piccata a chi gli muove obiezioni. Sembra di essere tornati ai tempi di Tangentopoli quando Bettino Craxi aveva promesso di calare il poker di denari sul Pubblico Ministero Antonio Di Pietro, ma le carte minacciate non arrivarono mai. Ormai i giudici di Mani Pulite godevano del favore della popolazione e dell’appoggio quasi generale della stampa italiana. Circostanza veramente determinante quest’ultima.

E’ chiaro che il Cavaliere non riesce più a gestire tutta l’ondata di quotidiane rivelazioni sui festini, le escort, le letterine, le minorenni, ecc… Essersi ridotto a farsi intervistare sul giornale vipparo e gossipparo “Chi”- fra l’altro di sua proprietà – conferisce al tutto un sapore estremamente patetico. Come Craxi è ormai un pugile suonato, alle corde… E allora ? Allora quando matureranno i tempi e il consenso instabile da cui Berlusconi ha tratto ossigeno e giovamento sarà solo un miraggio, dovrebbe essere allestita una grande Commissione d’Inchiesta indipendente oppure organizzato un Processo sulle molteplici attività politiche, finanziarie ed imprenditoriali del Cavaliere. Non si tratta di passare in rassegna gli ultimi quindici anni della nostra storia, ma tornare indietro di almeno quarant’anni per aprire le segrete porte della fortuna berlusconiana. Innanzitutto come ha fatto ad edificare Milano 2 e con quali capitali?

Il Nostro ha dimostrato senza dubbio di essere un imprenditore spregiudicato con il talento di piazzista, imbonitore, showman, uomo di spettacolo, istrione esibizionista, sapiente comunicatore e capace public relation man, ma i soldi sono soldi. Contò l’impiego del padre alla Banca Rasini? In un periodo in cui quasi la totalità dei ricconi italiani esportava illecitamente valuta in Svizzera, attraverso, misteriose finanziarie elvetiche il Nostro trasferiva capitali dalla Svizzera all’Italia. Esattamente il percorso opposto!

Chi erano i misteriosi finanziatori di Berlusconi? Il Cavaliere ha fatto lui stesso anche da “prestanome”? C’è qualche rapporto fra i due sensi nei flussi di denaro fra l’Italia e la Svizzera. Si tenga poi conto che in quegli anni la Svizzera era molte cose. Oltre ad essere meta per l’esportazione di valuta e la conseguente evasione delle tasse, vi si riciclavano i proventi di traffici vari e soprattutto di droga, dei sequestri di persona, rapine, ecc… messi in atto dalle mafie, dalla criminalità organizzata e della nuova ed aggressiva delinquenza comune metropolitana.

Inoltre dal paese elvetico si diramavano i canali dei traffici di armi che, oltre ad alimentare la criminalità organizzata, rifornivano le numerose bande armate estremiste del nostro Belpaese. Le fortune di Berlusconi iniziano nel periodo a ridosso della “strategia della tensione”. E le pericolose relazioni con personaggi riconducibili a Cosa Nostra siciliana? E l’iscrizione alla loggia P2? E gli accennati rapporti finanziari con il potente Eugenio Cefis prima successore di Mattei all’ENI e poi Presidente della Montedison? E il “sistema Sindona” (Mario Guarino “L’orgia del potere” edizioni Dedalo)? E i rapporti privilegiati con la BNL socialista e piduista? E gli altri crediti agevolati? E le amicizie vaticane? E le relazioni pericolose con Craxi e anche Andreotti? E i generosi finanziamenti di tutto l’arco costituzionale e oltre (dal PSI craxiano alla DC e poi PSDI, PLI, PRI, PCI, MSI fino alla Lega e ai Radicali…)?

Per tacere poi delle responsabilità nella deculturazione del popolo italiano che, seppure non personalmente avviata dal Cavaliere, egli ne è stato un agente attivo e determinante… Tutti aspetti che andrebbero ugualmente chiariti attraverso il Processo – con veri e propri capi di imputazione – di cui sto parlando. Invece siamo nel campo del platonismo, di ciò che dovrebbe, ma non è, perché tale dibattimento non potrà mai essere celebrato…

Balza immediatamente all’occhio e alla mente che un Processo a Berlusconi non sarà mai il Processo a Berlusconi, ma qualcosa che investe cuore e polmoni del nostro paese. L’innesco di una serie di bombe le cui onde d’urto delle rispettive deflagrazioni colpirebbero il fragile impianto repubblicano fino a varcare ampiamente i nostri confini… Anche coloro che oggi hanno voltato le spalle al Cavaliere verrebbero chiamati sul banco degli imputati e ciò non è auspicato…

Tramontato Berlusconi la Repubblica muterà pelle consentendo al berlusconismo di sopravvivere e prosperare… Ecco perché tutto si riduce allo scandalo dei festini e dei party a base di donnine, letterine, escort, attricette, ecc… Ecco perché l’attenzione è esclusivamente concentrata sulla “moralità” – ma per favore! – del premier… Ecco perché il sipario deve calare su un finale dettato dai tempi e dai toni della farsa tragica e grottesca… I Palazzi del Potere serrano le loro porte a doppia, tripla, quadrupla mandata le strette stanze in cui vengono rinchiuse le Verità – quelle piccole e quelle grosse – perché non possano essere contemplate dal popolino. In effetti è molto arduo essere risparmiati dallo sguardo della Medusa. Che i potenti siano solo dei monumenti di pietra?

Il Cavaliere come il bandito Giuliano?

Un paragone blasfemo e irriverente… Il secondo era solo un piccolo terrorista vanitoso ed ignorante pronto per l’uso giudicato più consono da personaggi molto più scaltri e avveduti. Certamente è molto riduttivo dipingere Berlusconi come un burattino perché è stato uno degli attori protagonisti di questo ventennio italiano. Anzi l’Attore Protagonista… E, tuttavia, nel ricordo della fragranza dei frutti siciliani, in una certa misura il Nostro è come un limone. Una volta spremuto tutto il succo si deve gettare via. Certo il bandito Giuliano ha fatto la parte del “limone” quando quei potenti personaggi che in precedenza lo avevano protetto hanno poi deciso di fargli la guerra. E pure Berlusconi, da grande e consumato attore quale egli è, dovrà adattarsi a recitare quella parte bizzarra… Chi poi può sfuggire veramente al destino del “limone” nei Palazzi del Potere?

Intanto pare che chi è creditore nei confronti del Cavaliere (ma chi?) cominci a reclamare…

Intanto i giorni per il disastrato G8 aquilano sono contati…

Meno tre… due… uno…