lunedì 6 luglio 2009

Honduras: il golpe prolunga la sua agonia

Aggiornamenti sulla situazione in Honduras, dove un golpe fallimentare sta riuscendo a prolungare ancora un po' la sua agonia, mietendo però le prime vittime tra la popolazione honduregna.


Honduras, il golpista e il presidente
di Rocco Cotroneo - Il Corriere della Sera - 6 Luglio 2009

Isolato dal mondo, censura­to dall’intero continente americano a causa del­l’anacronistico golpe di una settimana fa, l’Hon­duras attende novità sul suo futuro aggrappato ai cancelli di un aeroporto, dietro cordoni di po­­liziotti, mentre gli elicotteri dell’esercito ronza­no minacciosi in cielo. A Toncontin, pochi chilo­metri dalla capitale Tegucigalpa, migliaia di so­stenitori continuano ad aspettare il ritorno del presidente Manuel Zelaya, espulso domenica scorsa dopo un colpo di Stato. Raro caso di pa­sticcio diplomatico con i contorni di una com­media latina: Zelaya ha tutto l’appoggio della co­munità internazionale, ma il governo golpista di Roberto Micheletti tiene duro e non lo lascia tornare.

Ieri mattina le autorità locali hanno chiuso l’aeroporto, occupato la pista con blindati per impedire l’atterraggio dell’aereo che ha sorvola­to la città prima di desistere. Durante la dimo­strazione ci sono stati scontri con l’esercito: due manifestanti, uno dei quali un ragazzino di 12 anni, sono rimasti uccisi. Il presidente deposto non si è fatto intimidire dalle minacce del gover­no golpista, che vuole arrestarlo appena doves­se rimettere piede nel Paese, per una serie di presunti reati commessi nella sua funzione. Chiuso nel suo palazzo, Micheletti riceve la stampa straniera anche due volte al giorno e ac­cusa la presunta disinformazione che circonda la vicenda: tutto quello che abbiamo fatto è le­gittimo, questo non è un golpe, continua a ripe­tere, e godiamo dell’appoggio di gran parte del Paese. Ha anche accusato il Nicaragua di Daniel Ortega di minacciare l’Honduras con truppe alla frontiera. Sabato a Washington un’assemblea di emer­genza dell’Osa, l’Organizzazione degli Stati ame­ricani, ha espresso un giudizio netto. Tutti i 33 Paesi del continente hanno riconosciuto Zelaya come presidente legittimo e deciso la sospensio­ne dell’Honduras dall’organizzazione.

Non acca­deva dal 1962, quando venne espulsa dall’Osa la Cuba castrista. Sul golpe in Centroamerica si so­no uniti Chávez e Obama, la destra e la sinistra del continente: il presidente espulso deve torna­re al suo posto, dicono. Il problema è come. Si erano proposti di accompagnarlo, salendo sullo stesso aereo, addirittura tre capi di Stato, Cristi­na Kirchner (Argentina), Rafael Correa (Ecua­dor) e Fernando Lugo (Paraguay). Poi ragioni di sicurezza hanno fatto cambiare i piani. I tre lea­der si sono spostati da Washington a El Salva­dor, poche ore di macchina da Tegucigalpa, mentre sull’aereo di Zelaya è salito il presi­dente dell’Assemblea generale dell’Onu, l'ex prete nicaraguense Miguel D’Esco­to. Il governo sta facendo il possibile per minimizzare, perché in Honduras non è stata versata una sola goccia di sangue, dice, e la vita del Paese prose­gue normalmente. Negli ultimi giorni, a ogni marcia di protesta si è sovrappo­sta una manifestazione a favore di Mi­cheletti. Tutti in maglietta bianca, a chiedere pace e democrazia contro lo spettro del comunismo chavista.

Molti dei manifestanti arrivano su autobus paga­ti dal governo e ricevono un compenso per partecipare. Ma l’Honduras resta un Paese a li­bertà limitata. Di notte vige il coprifuoco e la censura si sente. I canali tv ignorano le marce dell’opposizione e esaltano quelle filogovernati­ve, alcune emittenti sono chiuse dal giorno del golpe. La repressione è più forte lontano dalla capitale, dove i blackout elettrici sono frequenti per zittire le piccole emittenti locali e le strade sono presidiate dall’esercito. L’obiettivo è impe­dire che le marce nella capitale aumentino di proporzione con l’arrivo di camion e autobus ca­richi di campesinos favorevoli a Zelaya. Ha spaccato l’Honduras anche il deciso inter­vento della Chiesa sul golpe. Che le gerarchie cattoliche abbiano visto di buon occhio la cac­ciata di Zelaya non è un segreto. Ma il cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga si è spinto oltre, lan­ciando un appello affinché il presidente legitti­mo non torni nel Paese e ritenendolo responsa­bile di possibili spargimenti di sangue.

«Sono minacciato da gruppi finanziati da Chávez», ha aggiunto Maradiaga, che all’ultimo conclave venne considerato un «papabile» e raccolse al­cuni voti. Alla Chiesa si sono unite altre confes­sioni evangeliche, che in Honduras sono altret­tanto forti. Ma nelle province lontane e tra i più poveri, il sentimento dei sacerdoti e dei pastori è opposto: hanno apprezzato gli anni di gover­no di Zelaya e soprattutto vedono il golpe come la lunga mano delle oligarchie storiche del Pae­se. Nelle ultime ore decine di radio religiose, l’unica voce di informazione per intere provin­ce, sono state prese d’assalto da ascoltatori indi­gnati per la posizione della Chiesa. Probabile che la linea dura di Micheletti ab­bia le ore contate. Gli imprenditori temono un possibile embargo, i politici guardano alle pros­sime elezioni. Si parla di una trattativa segreta, che nelle prossime ore potrebbe portare a im­molare il duro Micheletti, figlio di bergamaschi.


Dall'aeroporto di Tegugicalpa

di Rocco Cotroneo - http://americas.corriere.it/ - 6 Luglio 2009

Di ritorno dall'aeroporto di Tegucigalpa, dove abbiamo atteso per ore il ritorno del presidente Manuel Zelaya, deposto dal colpo di Stato. Attesa inutile, ma sono state ore di rara intensità. La polizia lascia entrare i giornalisti nel piazzale dello scalo, oltre i cordoni per fermare i manifestanti, i cameramen si piazzano al secondo piano, dove possono inquadrare la pista. La grande manifestazione è tranquilla e disarmata, poi da lontano si sentono i colpi e si vede il fumo dei lacrimogeni. Fuggi fuggi generale. Un cameraman di Al Jazeera è l'unico ad aver ripreso la scena, un poliziotto ha sparato in fronte a un ragazzino. Ci fa rivedere la registrazione, è nitida e terribile e non la manderanno in onda. Arriva un graduato dell'esercito, giura che il poliziotto ha perso la testa, non c'era l'ordine di sparare. Sarà, ma tutti i ragazzi erano disarmati, l'arma più terribile che ho visto era un bastone di legno di mezzo metro di lunghezza.

Si cerca di capire dov'è l'aereo di Zelaya, se è atterrato da qualche parte, ma il governo ha messo radio e tv in "cadena nacional", la censura dei giorni nostri, per non far sapere nulla del ragazzo ucciso. Dalle radioline arriva solo il discorso del golpista Micheletti, registrato ore prima. La folla sta per perdere ogni speranza, ma all'improvviso un piccolo jet comincia a girare sopra l'aeroporto. La gente inizia a gridare e applaudire, e l'esercito mette camionette di traverso sulla pista. Sì, è l'aereo di Zelaya, lo conferma l'altoparlante della manifestazione collegato con l'unica radio libera di Tegucigalpa, Globo FM.

La scena diventa surreale quando l'emittente chiama il presidente deposto al cellulare e lo mette in onda. "Non possiamo atterrare, ma voi tenete duro", dice dal cielo il leader deposto ai manifestanti. Il jet infine se ne va, atterrerà a Managua, in Nicaragua e poi proseguirà per El Salvador. La manifestazione si scoglie, ma non prima di aver cantato l'inno nazionale e gridato "Assassini, assassini!" ai poliziotti. Si corre verso casa perchè inizia il coprifuoco. Domani si ricomincia.


I militari reprimono la folla: 2 morti. Zelaya costretto a far marcia indietro

di Stella Spinelli - Peacereporter - 6 Luglio 2009

Alle 17.24 ora locale, 1.24 di lunedì in Italia, l'aereo arriva sopra l'aereoporto, cercando di atterrare. Ad accoglierlo una folla urlante e tanti camion militari che vanno occupando la pista d'atterraggio. Due di questi si sistemano in mezzo rendendo impossibile la manovra di atterraggio. "E' totalmente impossibile", precisa il pilota dell'aereo di Zelaya in diretta con TeleSur. "Ci minacciano. Dicono che ci mandano contro un aereo militare - spiega il presidente legittimo dall'aereo - Ci stanno ostacolando. Ora ci riuniremo con l'Osa per vedere come comportarci". "Se potessi mi butterei dall'aereo. Non possiamo davvero atterrare", ribatte Zelaya. "E' una barbarie quello che è successo contro la mia gente. Un gruppo armato che assalta il paese. Onu o altri devono intervenire. E' un movimento golpista senza componente sociale. E' un elite che persegue il suo interesse con le armi. Va repressa". "Il governo più forte, ossia gli Usa, potranno convivere con un golpista? Obama non può permetterlo. Sono un gruppo di mafiosi. Vogliono appropriarsi della ricchezza nazionale. Mi appello agli Usa che prendano misure immediate contro questo governo. Barbarie e terrore, ecco cosa sta accadendo. Dobbiamo pianificare nei giorni che vengono il mio ritorno in Honduras. Il popolo honduregno è capace di giudicare e si ribellerà contro un governo golpista, come sta già facendo. Questi golpisti lo manterranno nella miseria, senza permettergli partecipazione cittadina. Mi appello all'Oea". Questo il discorso di Zelaya, mentre il suo aereo fa marcia indietro verso El Salvador.

Poche ore prima, intanto, dopo aver lasciato passare la massa di decine di migliaia di manifestanti in attesa dell'atterraggio dell'aereo venezuelano che riportava a casa il presidente legittimo Manuel Zelaya, i militari reprimono violentemente con lancio di gas lacrimogeni e manganelli. Non solo, iniziano a sparare all'impazzata sulla folla. TeleSur denuncia due morti. Sono le 16.30 circa di domenica, mezzanotte e mezza in Italia.

"Hanno ingannato tutto l'Honduras. Ci hanno lasciati passare per poi reprimerci con gas, bombe e spari. Ci sono due morti e molti feriti. E' stata un'imboscata", denunciano in diretta i manifestanti ai microfoni di TeleSur. La sitauzione è tesissima. La gente urla e cerca di scappare. Sparano anche contro i giornalisti che sono costretti a fuggire mentre sono in collegamento in diretta con la Tv sudamericana. Tutto sembra pianificato. La violenza è iniziata mentre l'aereo sta entrando nello spazio aereo honduregno.

Zelaya, avvertito mentre ancora si trova in volo su Tegucigalpa denuncia che si tratta di una tremenda ingiustizia: "E' un'ingratitudine penosa quella dell'esercito di reprimere una manifestazione pacifica. Le forze armate non devono reprimere nessuno e devono obbedire solo a me. Sento ogni momento di più la necessità di arrivare per stare al fianco del popolo per fermare questo abuso terribile. Voglio arrivare per fermare la repressione in nome di dio, del popolo e dei cambiamenti che l'Honduras necessita per fermare le diseguaglianze storiche del paese. A me nessuno mi minaccia perché vado pacificamente a dialogare come presidente degli honduregni". E ancora: Che il generale Vasquez ritiri le sue truppe in nome di dio non massacri il popolo. Non rovini il paese e non rovini la sua vita. Il popolo è in strada e nessun paese al mondo vi riconosce".

Ai microfoni di TeleSur la gente urla, racconta, ancora concitata. Un giovane uomo, ansimante, grida: "L'esercito ha massacrato un ragazzo di sedici anni. Lo ha massacrato, sparandogli in testa". E ancora frasi sconnesse, e una voce su tutti: "Ambulanza, ambulanza". E ancora: "Assassini. Dittatore", riferendosi ai golpisti e al presidente di fatto Micheletti.

La pista su cui deve atterrare l'aereo che riporta Manuel Zelaya in patria non è delle migliori. La suspance è pregna di tensione. Continua la diretta di TeleSur. La corrispondente fa una telecronaca precisa. Sull'aereo venezuelano che trasporta il presidente legittimo c'è una squadra di diplomatici, e solo un addetto alla sicurezza, perché Zelaya ha ribadito andare in pace e in missione di dialogo. Ma intanto all'aereoporto è schierato un contingente notevole, che reprime la folla e che aspetta l'aereo con i fucili puntati, corpi a terra.

Da un lato decine di migliaia di persone disarmate che aspettano, resistendo alla repressione, e dall'altro agenti delle forze di sicurezza armati fino ai denti.
E mentre accade tutto questo, il resto del Paese viene tenuto all'oscuro. Su radio e televisioni sono in programma tutt'altro tipo di programmi e di informazioni. Il presidente di fatto ha provveduto da subito a oscurare l'informazione, cercando di tenere all'oscuro la gente sulla reale natura del suo ruolo e di chi lo manovra.

Mentre si attende l'arrivo da un momento all'altro del presidente democraticamente eletto, l'esercito che ha militarizzato l'aereoporto internazionale dell'Honduras spedisce in volo elicotteri che sorvolano la zona. L'intento è impedire all'aereo di atterrare "Venga chi venga" ha ribadito il governo golpista. E così è stato.


Honduras, testimonianza:"Sembrava di essere a Genova. Prima festa poi ho visto uccidere il ragazzo"
di Gennaro Carotenuto - www.gennarocarotenuto.it - 6 Luglio 2009

A notte fonda (l’alba in Italia) finalmente risentiamo P.T. la cooperante di un paese europeo con la quale da tre giorni non riuscivamo a comunicare. E’ ancora in clandestinità e ha cambiato ricovero ogni due notti ma sta bene e torna dall’aeroporto. “Ero dove hanno sparato, ho visto portar via il ragazzo. Prima era stata una marcia incredibile, una festa. mi ricordava un po’ Genova [il G8 del 2001] e mi pento di averlo pensato. Non c’era nessun tipo di tensione perché la polizia (e non l’esercito!) aveva dichiarato che non avrebbe mosso un dito”.

La sensazione era di sicurezza? “Molta sicurezza e inoltre c’era un buon servizio d’ordine formato da giovani studenti universitari e da attivisti dei movimenti. Poi alla fine, eravamo già arrivati circondando l’aeroporto pacificamente sono saltati i telefoni cellulari e ho visto in azione molti provocatori che invitavano soprattutto ragazzi ad invadere l’aeroporto, cosa che era stata esclusa dal primo momento. Avevano aperto vari passaggi nella rete di recinzione. Io ho iniziato a cercare la gente per portarla via. Ed è lì che c’è stata la carica più dura”.

Come avevate vissuto i giorni precedenti? “tutti con sacrifici incredibili, ma sempre con un animo e allegria coinvolgenti nonostante lo stato di assedio, la clandestinità, la campagna di terrore. Stamane ci siamo ritrovati tutti spontaneamente ad andare verso l’aeroporto, gente del partito [liberale ndr, la base è con Zelaya, i quadri appoggiano il golpe], gente dei movimenti sociali, gente dei quartieri marginali della capitale”.

Come sono i rapporti di forza nel “Frente contra el golpe de estado”? “Alle riunioni del direttivo si capisce che i melisti [seguaci di Zelaya, ndr] sono soprattutto quelli del partito liberale che continua ad avere una base sociale ma che la maggioranza è dei movimenti popolari, sociali, sindacali, indigeni. E’ quella stessa forza che in questi anni ha convinto Zelaya a dialogare con i movimenti e che ha fatto maturare la candidatura indipendente del sindacalista Carlos H. Reyes per le elezioni di novembre. Ma di tutto si parlerà quando avremo sconfitto il golpe. Domattina [lunedì, pomeriggio in Italia ndr] è convocata un’altra manifestazione. Speriamo che l’indignazione prevalga sulla paura e la stanchezza”.


Colpo di Stato in Honduras, e Studio Aperto appoggia

di Antonio Pagliula - www.verosudamerica.com - 2 Luglio 2009

Vergognoso servizio di Studio Aperto. Il telegiornale Mediaset affronta da un’ottica decisamente particolare il tema del colpo di Stato in atto in Honduras. (segue il video)

Intervistando il presidente Enti Bergamaschi nel Mondo, Studio Aperto augura tanta fortuna a Roberto Micheletti, responsabile principale del colpo di Stato, per le sue origini di Bergamo Alta. Nulla da dire sulla condanna ricevuta dalle Nazioni Unite al golpe o sulla repressione militare in atto nelle città del paese centroamericano. Silenzio anche sul controllo dei media del governo golpista.

Quello che importa è la volontà di ricostruire l’albero genealogico o che sia bergamasco ed accesso tifoso atalantino. “Auguri di tanta fortuna al nuovo leader dell’Honduras”, si può ascoltare nel servizio di Filippone e Macchiavello.

Qualcuno per favore faccia presente a Studio Aperto che Micheletti non è il nuovo “leader dell’Honduras” ma occupa la posizione di presidente solo grazie ad un colpo di stato militare ai danni del presidente legittimo, Mel Zelaya, che l’ONU ha severamente condannato il golpe e che l’OEA (Organizzazione Stati Americani) ha dato un ultimatum di 72 ore di tempo al presidente bergamasco Micheletti per lasciare la carica e permettere il ritorno dell’unico presidente riconosciuto in Honduras, Zelaya.