martedì 28 luglio 2009

La Milano da evacuare...

Qui di seguito una serie di articoli su Milano: una città che ha perso identità e anima, chiusa a riccio nel suo piccolo recinto a vana difesa di quegli allori di città all'avanguardia in Italia e non solo, da tempo ormai irremediabilmente persi.

Una città che guarda al futuro con paura mista a rassegnazione, frutto soprattutto di 15 anni di giunte comunali che hanno puntato solo sulla famigerata sicurezza e su progetti partoriti da menti piccole e provinciali: come ad esempio, gli ultimi divieti sulla vendita di alcool e le multe ai punti di ristorazione aperti dopo una certa ora della notte, l'inondazione di inutili box e parcheggi sotterranei, le recinzioni di giardini pubblici un tempo luoghi di aggregazioni sociali, gli sgomberi dei luoghi di quella Milano underground, ormai estinta quasi del tutto.

Per non parlare poi dell'ufficiale "Milano by night" del XXI secolo invasa da locali in mano alla criminalità organizzata, centri di raccolta per la prostituzione di lusso e lo spaccio di droga.

Ma l'elenco di provvedimenti meschini e dannosi per la qualità della vita e le relazioni sociali, tipico di un villaggio medioevale amministrato da trogloditi benestanti, è lunghissimo.

Dalla Milano da bere si è ormai passati alla Milano da evacuare...


Milano senza sogni, una città amara
di Corrado Stajano - Il Corriere della Sera - 27 Luglio 2009

Indifferenza, razzismo, traffico, inquinamento: così la metropoli perde l'anima

Per raccontar Milano è bene partire dal basso, dai marciapiedi, più che dalle alte vette, il primato sociale e civile dato una volta per scontato o la capitale morale andata in frantumi come un vaso di terraglia. I marciapiedi, dunque, quasi tutti rotti, rappezzati, simili a mantelli di Arlecchino, tra crepe, buchi e strisce d'asfalto, coi cordoli di antica pietra gettati via, lo sporco della città che s'infiltra tra le fessure e i sassi malamente mescolati alla sterpaglia.

Nessuno controlla più quel che fanno i posatori. Questo non succede in periferia, a Baggio, a Cernusco sul Naviglio, a Cinisello, dove forse le cose vanno un po' meglio, ma nel centro colto della città, di fianco alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, per esempio, dove già di prima mattina i cinesi e i giapponesi si mettono in coda per vedere il Cenacolo di Leonardo e poi vanno a comprare i souvenir dal cartolaio di via Ruffini, davanti alla scuola che ha appena compiuto cent'anni di età.

Nessuno sembra scandalizzarsi dell'incuria, neppure i frati che si incontrano lì intorno, eredi dei terribili inquisitori del Seicento, con indosso il maestoso saio bianco. Le strisce pedonali, da anni, sono diventate invisibili o quasi, l'illuminazione sembra una burla da lunapark. In certe strade le lampade sono gialle, su due file, in altre bianche o azzurrognole, al neon, su una sola fila, chissà perché.

Se poi si alza la testa oltre i tetti si vede l'altra città cresciuta a dismisura, popolata dalle nuove «cappuccine», abbaini di basso rango, una volta, destinati alle domestiche fedeli, cui toccava però l'onore di venir seppellite nella cappella di famiglia, divenuti ora — dono di una compiacente legge regionale — simbolo delle squisitezze della postmodernità padronale. Che cosa è accaduto a Milano in questi decenni? Il degrado non riguarda soltanto i marciapiedi rappezzati, naturalmente, e neppure i tram che funzionano male, il traffico paralizzante, l'aria avvelenata. Riguarda l'intera comunità, indifferente, passiva.

Si è smarrito lo spirito solidale, simbolo della città, persino nelle sue canzoni. A Milano venivano a lavorare tutti, senza alcuna discriminazione. Non comparvero mai sui portoni, come a Torino negli anni Sessanta, quei cartelli oltraggiosi, «Non si affitta ai meridionali». Non è più così, il razzismo è diventato roba di casa, vengono proposte le carrozze separate sulla metropolitana — i bianchi e i neri, i locali e gli oriundi — mentre uomini politici della Lega intonano indecenti ritornelli che sbeffeggiano i napoletani. (In nome dell'idea di nazione). Sembra, e va detto con accoramento, con pena, che sia affiorato il peggio nascosto nelle viscere.

L'unica voce di umano buonsenso pare quella dell'arcivescovo Dionigi Tettamanzi. Nel Novecento, orribile secolo di conflitti e di violenza, tra la Shoah e la bomba atomica, è successo di tutto e il primo decennio del nuovo secolo non sembra portatore di giustizia e libertà. A Milano i momenti di fervore, dopo la Seconda guerra mondiale, furono probabilmente tre: la ricostruzione, anche se già segnata dagli interessi speculativi; gli anni del centrosinistra quando Milano fu motore di proposta e di ricerca; subito dopo la strage di piazza Fontana, nel 1969, che vide la città affratellata nella tragedia.

Nel tempo del terrorismo punteggiato dai funerali delle povere vittime, Alessandrini, Calabresi, Galli, Tobagi, tra gli altri, Milano tiene. Poi tutto si sfalda. Dalla «Milano da bere» degli anni craxiani, gran finzione di un lucente mondo corrotto, al ciclone di «Mani pulite». La città, nel 1992, si sente vendicata. L'immagine dei rappresentanti di tutti i partiti politici seduti intorno allo stesso tavolo a dividersi le mazzette della corruzione secondo il proprio peso politico resta negli occhi e nella mente. L'indignazione, però, dura poco. I sodali dei corrotti hanno la meglio malgrado la grande ruberia scoperchiata.

Vengono dimenticati alla svelta gli imprenditori, i politici, gli amministratori, gli affaristi in gran quantità, in fila per confessare i loro peccati e avere qualche sconto di pena, davanti alle porte degli uffici della Procura della Repubblica. I magistrati, applauditi fino a poco prima, diventano i carnefici, giustizialisti senza cuore e senza cervello. Quel che accadde allora pesa ancora oggi. Ci fu infatti, da parte della comunità, il rifiuto di discutere e di discutersi per tentar di capire le ragioni di quel che era successo. Il problema non era soltanto giudiziario, riguardava la struttura dell'intera società, la cultura diffusa, i comportamenti, il merito e il demerito, i criteri di selezione della classe dirigente, questioni irrisolte ed essenziali.

Tutto era accaduto in una città dove la morale collettiva aveva profonde radici, dove, fin dai tempi dell'imperatrice Maria Teresa, fiorì una buona amministrazione, dove il socialismo primonovecentesco aveva dato vita a modelli comunitari d'avanguardia, le scuole d'arti e di mestieri, la società Umanitaria, le case popolari nel centro della città, i quartieri operai ben costruiti — il villaggio Falck — le associazioni di mutuo soccorso, tutto quanto poteva rendere meno greve la vita degli umili manzoniani.

E oggi? È mutato l'assetto sociale, in pochi anni si è passati dalla durezza del mondo contadino alle costrizioni dell'industria manifatturiera al terziario fino alla generazione di Google, quella che scrive x invece di per e 6 invece di sei. In un tempo non lontano l'incontro politico, civile, soprattutto umano, tra una classe imprenditrice capace, che ha avuto fede in se stessa, senza dimenticare del tutto il prossimo, e una classe operaia di alto livello professionale ha impedito, mescolando culture e esperienze, che nascessero fascismi e razzismi. Ora gli imprenditori si sono assottigliati trasformandosi in finanzieri e in immobiliaristi, gli operai sono calati di molto, le grandi fabbriche non esistono quasi più così com'erano fino agli anni Ottanta. E, quel che forse più conta, sono scomparsi anche i luoghi di aggregazione, le sezioni sindacali e quelle dei partiti di massa, dentro e fuori le aziende, e anche gli oratori delle parrocchie hanno una minore forza di attrazione. Un buco nero. La società si è impoverita, gli uomini e le donne sono più soli, la tv, così manchevole, ha la funzione di una specie di scuola dell'obbligo.

L'Expo 2015 è diventato a Milano quasi un miraggio, la soluzione per tutti i mali, la panacea. Ma i più dei cittadini sanno vagamente di che cosa si tratta — l'alimentazione — anche se hanno seguito le penose polemiche per la conquista delle poltrone, durate un anno, che fanno persino rimpiangere la Prima Repubblica e il famoso manuale Cencelli. Si è capito anche che l'imperativo categorico, quasi un'ossessione, è costruire, la manna moltiplicatrice di soldi. Per chi non si sa, visto che i portoni delle case sono pieni di cartelli, «vendesi», «affittasi», e non pochi, soprattutto giovani, in questi anni se ne sono andati a vivere fuori città dove i prezzi sono più clementi.

Un editto li obbligherà a tornare? E a nessuno viene in mente di consultare i magistrati della Direzione antimafia, profondi conoscitori della 'ndrangheta calabrese, una tra le aziende leader della città, in attesa di saltare su appalti e subappalti dell'edilizia, vista la sua liquidità senza fondo? (I nuovi capi sono i figli acculturati dei mafiosi di Africo, di Platì, di San Luca di trent'anni fa). È mancato, da parte dell'amministrazione comunale, infinitamente distante non solo per quanto riguarda l'Expo, un coinvolgimento con l'intera comunità, una gestione più aperta, più democratica, più disponibile, meno gelida e più umana di una città una volta ironica, affettuosa e ora incattivita, nevrotizzata. È inutile l'ottimismo di maniera. Non è preferibile dir le cose come stanno cercando di far funzionare meglio quel meccano complesso che è oggi una grande città?


Traffico e smog, l'Ecopass sotto accusa

di Elisabetta Soglio - Il Corriere della Sera - 28 Luglio 2009


I milanesi bocciano l'Ecopass e Letizia Moratti ripete: «Faremo un sondaggio tra i cittadini, come avevamo promesso». Ma la maggioranza incalza il sindaco e la invita a organizzare «presto» la consultazione. Magari, come vorrebbe la Lega, «con un referendum vero e proprio». Comunque, «con un coinvolgimento il più allargato possibile».

Letizia Moratti commenta i risultati del sondaggio curato da Ipso e pubblicato sul Corriere della Sera, nel quale un campione di cittadini giudica il suo operato (voto medio al sindaco è 5,5) e le politiche per la città (Ecopass non va oltre il 4,8): «Credo che il sondaggio — riassume —, che promuove il Comune per molti aspetti e mostra criticità per altri, sia importante da verificare per migliorare il nostro lavoro che vorremmo fare anche attraverso vari strumenti di controllo e di monitoraggio. Così capiremo obiettivi e priorità dei cittadini».

Ma il responso su Ecopass è senza appello. Il capogruppo leghista Matteo Salvini torna a chiedere le dimissioni dell'assessore alla Mobilità, Edoardo Croci, e aggiunge: «Attendiamo al più tardi entro l'autunno il referendum con cui i milanesi possano esprimersi, in maniera vincolante per l'amministrazione comunale, sulle politiche del traffico degli ultimi tre anni». La Lega vuole inoltre un giudizio collettivo «su alcune controproposte da noi già da tempo avanzate, come la chiusura del centro storico alle auto e le targhe alterne nei mesi invernali». Anche il capogruppo del Pdl, Giulio Gallera, sollecita «una consultazione più allargata possibile, «evitando però sprechi di denaro e di risorse che un referendum vero e proprio comporterebbe».

Che il centrodestra abbia digerito a fatica l'Ecopass è un dato di fatto: «Non deve comunque essere una tassa. Per questo — insiste Gallera — va valutato sia alla luce di dati oggettivi, sia tenendo presente sentenze come quella del Tar che dal 2010 imporrebbe il pagamento anche a chi ha un diesel euro4». Moltissimi i dubbi sugli effetti prodotti dal provvedimento su smog e traffico. L'Associazione Consumatori contesta i mancati risultati dell'Ecopass e il mancato referendum, sollecitando invece una consultazione sulla chiusura al traffico dell'area interna ai Navigli.

Ma l'assessore Edoardo Croci, come ovvio, difende il provvedimento: «Meno male che c'è, perché mantiene un effetto importante su traffico e inquinamento». Quanto al sondaggio Ipso, l'assessore evidenzia il fatto che «comunque emerge l'attenzione dei cittadini ai temi di ambiente e mobilità. Quindi, aspettiamo a giorni i dati del rapporto semestrale, teniamo conto di questa sensibilità e ragioniamo a partire da lì». E se Legambiente, finora sponda della Moratti in questa battaglia, dà l'ultimatum («Ci dica che cosa ha intenzione di fare da dicembre. La fase sperimentale ha funzionato, ma non si può andare avanti così. O la Giunta ha la forza di dare alla città un provvedimento serio oppure aboliamolo e si torni ai blocchi totali della circolazione»), il consigliere Enrico Fedrighini di Prc si affida ad una metafora: «Hanno chiuso il neonato nell'incubatrice sperando non se la cavasse. Invece è vivo e ha dato buona prova di sé: ma devono decidere se lo faranno diventare adulto o se è destinato a morire come molti sperano».

Risponde solo Marco Osnato, presidente della commissione Mobilità: «Potremmo studiare per ecopass uno sviluppo con un aumento del costo o un allargamento della zona coinvolta». Infine, Pierfrancesco Majorino, capogruppo pd, torna ad attaccare il sindaco: «È insopportabile il suo continuo rinvio del referendum e ci auguriamo voglia fare una consultazione democratica e il più allargata possibile, non un sondaggio all'interno della sua lista...». Quanto alle prospettive di Ecopass, «sarebbe più utile chiudere il centro». Opinione sempre più condivisa.


Misure vere o serve a poco
di Giangiacomo Schiavi - Il Corriere della Sera - 28 Luglio 2009

L’Ecopass a Milano non è una certez­za ma un punto interrogativo. È utile? Riduce il traffico in centro? Limita davvero lo smog? Molti rispondono no, qualcuno dice forse, altri chiedono una domanda di riserva. Eccola: ha senso mantenere l’accesso a pagamento senza vantaggi evidenti per la circolazione e la salute dei cittadini? In assenza dei veleni nell’aria, un sondaggio scongela il caso.

E rimette sul piatto della politica il tema dei divieti antitraffico, delle restrizioni più severe da adottare nei confronti delle auto inquinanti, il cosiddetto «giro di chiglia» invocato dall’assessore alle politiche ambientali del Comune (ma bocciato dalla sua stessa maggioranza) per non vanificare il provvedimento fortemente voluto e sostenuto dal sindaco Moratti, che all’inizio del suo mandato ha voluto dare un segnale per l’ambiente e la salute dei cittadini, dopo anni di blande politiche antismog.

Senza se e senza ma bisogna ammettere che l’effetto Ecopass a Milano è finito a un anno dal suo debutto: il rinnovo del parco automobilistico e le tante deroghe concesse hanno vanificato le buone intenzioni del sindaco, i risultati ci sono stati solo nei primi mesi, poi il traffico è tornato alla caotica quotidianità di prima e lo smog ha continuato a correre.

Nei primi mesi del 2009 Milano ha bruciato il bonus concesso dall’Unione Europea per lo sforamento dei limiti d’allarme: nonostante la buona volontà messa in campo da Letizia Moratti, Milano resta ancora la capitale europea dell’inquinamento. Continuare con questo balletto non serve: o l’Ecopass ha un impatto effettivo sulla vivibilità urbana e sulla salute dei cittadini oppure è meglio pensare a qualche misura alternativa.

Un tam tam che va dai lumbard (referendum e ricorso alle targhe alterne) all’opposizione (chiusura del centro storico alle auto senza tassa d’ingresso) e arriva fino a Legambiente spinge verso una revisione tout court dell’ Ecopass nella versione attuale: o si allarga l’area della limitazione alle auto o si cambia sistema. La scelta del sindaco di affidarsi a un nuovo sondaggio tra i cittadini è solo una fuga in avanti, più per prendere tempo che per una vera strategia.

Perché oltre l’Ecopass oggi a Milano c’è il vuoto, l’assenza di una politica condivisa sul risanamento ambientale, il prevalere degli interessi particolari della politica e dei partiti che non hanno mai digerito la linea del sindaco: anzi, su questo terreno si può dire che Letizia Moratti è stata lasciata sola. Sola come quei cittadini che chiedono da anni al Comune di aumentare le piste ciclabili, o di estendere le isole pedonali nelle zone del centro, come Brera o Montenapoleone. Così non si migliora la qualità della vita, quella vivibilità di cui Milano ha tanto bisogno: si peggiora soltanto.