giovedì 16 luglio 2009

Honduras: i tempi supplementari del golpe

Aggiornamenti su un golpe che ormai si sta prolungando fin troppo, nonostante l'Organizzazione degli Stati Americani e l'Onu abbiano reiteratamente chiesto che Zelaya venisse reintegrato come Presidente della repubblica.

Mentre il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, si è dichiarato pronto ad aiutare il presidente del Costa Rica, Oscar Arias, nei suoi sforzi di mediazione per tentare di risolvere una crisi che sta durando da troppi giorni.



Venti giorni. Un'eternità

di Stella Spinelli - Peacereporter - 15 Luglio 2009

"Alle 17.15 di lunedì hanno indetto un coprifuoco con orario di inizio alle 18:30 per finire alle cinque di mattina. Lo hanno fatto per obbligare tutti i manifestanti a ritirarsi. Il coprifuoco durerà per 3 giorni. Inoltre sembra che da Canal 8 abbiano passato un comunicato della polizia in cui invitano gli stranieri, come gli honduregni, a non partecipare alle manifestazioni". Poche parole, inviate via chat, al volo, da parte di una cooperante italiana da tempo in Honduras, fanno capire come si vive in Honduras, ora, a venti giorni dal golpe militare, venti giorni di manifestazioni senza sosta, di proteste internazionali senza successo, di teatrini diplomatici senza senso. Poche parole per far capire che in quel paese ancora si resiste, si scende in piazza, si grida slogan per la libertà. E che in quel paese si reprime: corpifuoco, censura, persecuzioni, omicidi, sequestri, minacce, paura.

Venti giorni, un'eternità per un governo golpista, illegittimo, che ha costretto all'esilio il presidente scelto dal popolo. Eppure, sembrano così pochi per il lento e macchinoso ingranaggio diplomatico. Ma più il tempo passa, più l'attenzione mediatica scema e più incombe il pericolo che tutto in Honduras pian piano appaia sempre meno grave, sempre meno illegale, fino alla normalità. Una normalità imposta e auspicata, forse da molti. Pericolo imminente, precedente tragico, specialmente per un continente, quale quello latinoamericano, tartassato da dittature e burattini pseudo democratici. Ma il paese non ci sta e nemmeno il suo presidente, unico, Manuel Zelaya.

"Non mi arrendo e non mi arrenderò. Tornerò nel mio paese il prima possibile. Non voglio svelare l'ora né il giorno, per non mettere in allerta le forze che si oppongono al mio rientro, che sappiamo bene essere criminali. Torneremo nel paese. Stiamo pianificando il nostro ritorno". Queste le parole pronunciate da 'Mel' martedì 14, in visita in Guatemala, dove è stato ricevuto con tutti gli onori di un capo di Stato. Quindi ha invitato il popolo a non abbandonare le strade, perché "è l'unico spazio che non ci hanno tolto. Gli scioperi, le manifestazioni, le occupazioni, la disobbedienza civile sono un processo necessario quando si violenta l'ordine democratico in un paese. Non bisogna abbandonare la lotta, ma continuarla finché il regime dei golpisti non verrà sconfitto". Un invito all'insurrezione popolare, dunque, perché "un popolo non può essere d'accordo con qualcosa di imposto e illegale".

Toni alti, decisi, che prendono forza e danno forza a quel popolo honduregno deciso a non mollare e che cozzano con i toni mesti e cauti di chi auspica un accordo a tavolino. Il primo è il premio Nobel per la pace Oscar Arias, presidente del americanissimo Costa Rica, e sostenuto proprio da Washington in questa sterile tavola della pace. Da lui un nuovo invito alla delegazione di Zelaya e a quella del presidente golpista Micheletti, per sabato 18 luglio, a sedersi l'una di fronte all'altra per sciogliere il bandolo della matassa. Ma basta il fatto che i due personaggi chiave non vogliano nemmeno guardarsi da lontano per capire che a un altro bel niente porterà questo nobile tentativo.

Che sia un modo per guadagnar tempo, in nome di quella normalizzazione, che il popolo honduregno farà di tutto per scongiurare? Lo sostiene anche uno dei presidenti che più si è esposto nel condannare il golpe, il boliviano Evo Morales. "Quello che volevano che succedesse l'anno scorso in Bolivia, cioè, una rivolta di civili, sta adesso succedendo in Honduras. Si tratta di una aggressione, una provocazione dell'Impero", ha aggiunto il presidente boliviano. Ma poi ha assicurato, "il colpo resterà per alcune settimane, ma poi i golpisti cadranno".

Governo golpista che intanto sta mettendo i primi piedi in fallo. Il ministro dell'Interno, ex ministro degli Esteri, Enrique Ortez, già cambiato di ruolo per aver chiamato Barack Obama, presidente Usa, "un negretto che non sa nemmeno dove stia Tegucigalpa" e aver quindi scatenato le ire dell'ambasciatore Usa in Honduras, adesso ha deciso di lasciare definitivamente il governo de facto. Senza dare spiegazione, ma precisando che "resta amico di Micheletti".

Prime defezioni, misteriose e a bassa voce, in tipico stile dittatoriale. Mentre, al contrario, la gente urla e scende in strada. Sempre di più. Ieri si è registrata la più imponente manifestazione dall'inizio del golpe. In tutto il paese, lunghi cortei e blocchi stradali hanno caratterizzato la giornata. La più numerosa delle manifestazioni si è svolta a Tegucigalpa, dove un lungo corteo partito dall'università ha attraversato il centro della capitale, concludendosi nei pressi dell'ambasciata statunitense, dove i manifestanti hanno chiesto il rispetto delle risoluzioni contro il golpe emesse dall'Organizzazione degli Stati American. Nonostante il coprifuoco.


Il rischio della normalizzazione

di Giorgio Trucchi - Peacereporter - 13 Luglio 2009

Fin dal primo giorno del colpo di stato militare, la politica mediatica del governo spurio ha cercato di dare al paese un'immagine di assoluta normalità. Le enormi marce e le proteste sarebbero quindi una semplice espressione di qualche matto che non vuole accettare la nuova realtà. La manovra normalizzatrice, della quale sembra fare parte il processo di mediazione che si sta svolgendo in Costa Rica sotto le ali del dipartimento di Stato nordamericano, e l'assenza dei mezzi informativi, potrebbero aprire le porte ad una forte repressione contro le organizzazioni popolari che continuano a chiedere la ricomposizione dell'ordine istituzionale.

Dopo le condanne internazionali, la grande aspettativa per il tentativo del presidente Zelaya di ritornare in patria e il fallimento del processo di mediazione in Costa Rica, i principali mezzi informativi hanno abbandonato il paese. I telefoni non suonano più come prima e le agenzie internazionali non battono molte notizie sullíHonduras. Le continue mobilitazioni delle organizzazioni sociali, popolari e sindacali non fanno oramai notizia e per i media internazionali che continuano a seguire le vicende da vicino, la situazione è diventata molto pericolosa.

Durante la serata di sabato 11 luglio, i giornalisti di TeleSur e del canale Venezolana de Televisiòn, VTV, sono stati arrestati e poi obbligati a rimanere in albergo senza potere svolgere il loro lavoro informativo. Hanno inoltre denunciato che la polizia ha intimato loro di andare subito all'aeroporto "perchè qui non hanno nulla da fare e non c'è niente da informare". Di fronte alle grandi mobilitazioni indette dalle organizzazioni popolari, come quelle che si sono svolte durante il fine settimana in memoria del giovane Isis Obed Murillo e nel parco centrale di Tegucigalpa, e la caduta di interesse da parte dei media, i dirigenti del Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato hanno avvertito della possibilità di un incremento dell'ondata repressiva. Nella notte di sabato 11 luglio, l'attivista del Bloque Popular ed ex dirigente sindacale del settore tessile e della FUTH, Ròger Bados, è stato assassinato da sconosciuti davanti a casa sua a San Pedro Sula, nel nord del paese.

La paura che si vive in queste ore è che questo omicidio possa essere il preludio a un piano assassino contro i quadri intermedi delle organizzazioni popolari, con l'obiettivo d'infondere il terrore tra la gente. Mentre la comunità internazionale sembra non volere passare dai discorsi e proclami ai fatti concreti, rigidamente legata agli esiti di un processo di mediazione che non ha futuro e che dipende visibilmente dallíambiguità del governo nordamericano, abbiamo dialogato con Carlos H. Reyes, segretario generale del Sindacato dei Lavoratori dell'Industria delle Bevande e Simili, STIBYS, e membro del Comitato Esecutivo Mondiale della UITA. - Sono stati venti giorni di resistenza e lotta. Giorni molto difficili in cui la popolazione ha saputo rispondere al colpo di stato e alla repressione. Come valuti questo sforzo? - La lotta politica del movimento popolare ha avuto cambiamenti qualitativi molto importanti. Se non fosse esistito un Coordinamento Nazionale di Resistenza Popolare, che è stata la colonna vertebrale di tutto questo movimento di resistenza, non sarebbe stato possibile sviluppare tutte queste azioni di lotta e resistenza. Abbiamo potuto superare la sorpresa del colpo di stato e la paura per la repressione scatenata dal governo "de facto", convocare la più grande manifestazione nella storia del paese, e tutta una serie di altre attività che hanno visto una grande partecipazione da parte della gente. -

Si profila un incremento della repressione? - I golpisti sentono che non hanno potuto dominarci e che c'è ancora una forte resistenza e quindi hanno cominciato a lanciare segnali che indicano la loro intenzione di incrementare il livello repressivo. Domenica 5 luglio è stato assassinato il giovane Isis Obed Murillo, mentre ieri hanno ucciso l'ex dirigente sindacale della FUTH ed attivista del Bloque Popular, Ròger Bados. Hanno chiuso vari programmi radio che gestiscono le organizzazioni femministe ed abbiamo saputo che ieri la polizia ha fatto irruzione nell'hotel dove alloggiavano i giornalisti di TeleSur e della televisione venezuelana, ordinando loro di andarsene dal paese. Consideriamo che tutti questi avvenimenti facciano parte di una politica repressiva implementata per spaventarci e per porre fine alla resistenza. - Che progetti avete per questa settimana? - Continueremo con le manifestazioni e le marce e per giovedì e venerdì abbiamo previsto due azioni molto importanti. Sarà comunque una settimana molto difficile. Il processo di mediazione in Costa Rica è ormai fallito e noi abbiamo sempre detto che non era questa la via per risolvere la crisi nel nostro paese. La soluzione passa necessariamente dal riuscire a mantenere la lotta interna e dal risolvere la contraddizione che si sta vivendo negli Stati Uniti.

Da una parte il governo nordamericano denuncia il colpo di stato e firma la risoluzione dell'Organizzazione degli Stati Americani, ma dall'altra il potere economico e politico dell'estrema destra sostiene il governo golpista di Micheletti. Bisogna rompere questa contraddizione e proprio oggi una delegazione del Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato è partito per gli Stati Uniti e si riunirà con vari senatori per discutere su questa situazione. - Il governo vuole far credere alla popolazione ed al mondo che la situazione in Honduras è tranquilla e che non sta succedendo nulla. Una minore presenza dei media potrebbe facilitargli questa opera normalizzatrice? - In molti casi i mezzi d'informazione stanno andando via perchè vengono intimoriti e questo dimostra che stiamo entrando in una fase in cui si vuole occultare ciò che sta accadendo e che effettivamente c'è stato un colpo di stato. Il caso di TeleSur è emblematico. Bisogna denunciarlo a livello internazionale e su questa base, i mezzi informativi devono ritornare nel paese perchè tutto sta ad indicare che ci sarà un forte aumento della repressione. - Che prospettive ci sono di potere mantenere la mobilitazione nelle strade? - Noi continueremo a chiedere di ristabilire l'ordine istituzionale e per fare ciò è necessario il ritorno del presidente Manuel Zelaya.

Oltre a chiedere ai paesi che hanno condannato il colpo di stato di adottare misure concrete contro questo governo, è importante che i compagni e le compagne delle organizzazioni popolari centroamericane facciano azioni alle frontiere con il Nicaragua, El Salvador e Guatemala. Chiediamo anche alle organizzazioni latinoamericane di manifestare davanti alle ambasciate dell'Honduras nei loro paesi. La lotta sarà permanente. - La Uita ha dato priorità assoluta a quanto è successo in Honduras ed ha espresso la sua totale solidarietà con il processo di resistenza delle organizzazioni popolari e sindacali. In che modo vi sembra sarebbe più utile continuare questa azione? - La presenza della Uita durante tutti questi giorni ha permesso al movimento sindacale mondiale di rimanere informato in modo obiettivo su quanto stava accadendo in Honduras, facendo capire che la resistenza continua. Qui c'è un problema di fondo: in Honduras è un delitto difendere gli interessi dei lavoratori, è un delitto lottare per avere conquiste sociali. » per questo motivo che abbiamo sostenuto molte cose del governo Zelaya, perchè stava lavorando in questa direzione ed in un paese di estrema destra come il nostro, tutto ciò vuole dire essere considerati dei delinquenti. Tuttavia, continuiamo a lavorare e a lottare, e crediamo che la cosa migliore sia che la Uita continui a portare questo messaggio nel mondo. Siamo di fronte ad una dittatura selvaggia e c'incamminiamo verso una maggiore repressione da parte di quei settori delle Forze Armate che durante gli anni 80 si sono macchiati dei peggiori crimini.


La caricatura del Paese
di Allan McDonald* - Peacereporter - 3 Luglio 2009
Testo raccolto e tradotto da Stella Spinelli

Fare caricature è un mestiere molto simile, nella percezione dei lettori, alle piroette di un arlecchino. Normalmente, noi che ci dedichiamo a questo isolato e inuitle mestiere, incontriamo ogni giorno gente che ti chiede il favore di un autografo sulle vignette per farli sorridere anche solo un momento, o di improvvissare un Garfield per i figli, che non hanno idea di chi sei, né di cosa fai. Per questo preferisco non uscire molto per strada, perché la mia generosità può senza ombra di dubbio erodere i voli limitati della mia cratività e farmi perdere la prospettiva del compromesso che quotidianamente devo fare con la realtà e con la condizione umana.

In Honduras occuparsi di vignette politiche è raccontare pettegolezzi.
Il nostro paese è surrealista e già lo era prima di apparire su portali e schermi al plasma di tutto il mondo. Ma il bello è che ci è voluta questa esperienza cruenta perché si sapesse che un occhio iniettato di sangue può esserci anche nell'atto di un gendarme. E che rivolgersi al popolo per chiedergli se appoggia qualcosa o no in modo da scrivere una pagina di cambiamenti può provocare esilio, detenzioni, morti, repressione, isolamento, perché nelle loro menti quadrate di petulanza occidentale, il popolo non è preparato a pensare, e la democrazia non può commettere l'assurda irresponsabilità di concedergli uno spazio di decisione.

O che per esempio molti honduregni stanno difendendo la costituzione nelle strade con la loro indignazione e il loro sangue versato nei viali pavimentati di verde olivo, mentre nei televisori nazionali appaiono le lacrime nere di rimmel scolorito di Verónica Castro nelle telenovelas messicane. Perché è molto più interessante il dramma di celluloide che il dramma umano. E che alcuni intellettuali bellocci trascorrono le ore discutendo di tragedia greca, senza considerare la tragedia nazionale, e i vecchi, pensionati di nostalgia che perdono gli ultimi giorni giocando d‘azzardo con le carte fregandosene che la patria sia perduta, trafitta da un re di cuori. E i giovani light che passeggiano nei centri commerciali, tristi per la morte del re bianco e nero del pop.

Guardi il paese, ti inoltri nel paese e come Henry Bergson senti che ti ingolfi in una imbarcazione allucinante, senti che non distingui la combinazione difettosa nella geometria architettonica dei disegnatori borghesi tra un edificio di una catena alberghiera di prestigio internazionale e "l'altro da sé" (otredad) configurato con un tratto ineguagliabile di miseria, un landrone dove si nascondono tutte le porcherie di una società che vede la povertà come un difetto e il povero come un ostacolo urbano. Qui dove la vita è nelle mani della volontà dell'altro e la povertà nel borsellino ignominioso di alcuni ricchi. Questa mappa, fondo di disuguaglianze, è il tema del mio lavoro.

L'eterno ritorno di Nietzsche alla disuguaglianza, ritorno della disuguaglianza in una vecchia viuzza di Tegucigalpa, segnata dai graffiti delle giovani generazioni che per la prima volta sanno che il mondo è nelle loro mani e non su google, e l'utopia nel compromesso permanente. Questa benedetta gioventù che si è scagliata contro le stupidità di una vecchia generazione che ci ha trascinati in una ridicola guerra di calcio, colpi di Stato e militari con medaglie come schegge impazzite. E nell'algidità senile, questa pazzia del golpe è come un modo di dire a se stessi che ancora si può giocare la finale di scacchi, proprio mentre la violenza militare ci dà scacco matto.

La volontà di potere, mal assimilata di Schopenahuer come germe dell'attuale pazzia, ma soprattutto una vita e una eterna commedia di personaggi che non si stancano di interpretare sempre il medesimo ruolo di uccelli rapaci.

Per tutto questo la vita ha perso valore e la dignità è un macabro scherzo che solo risiede nello spirito di noi che siamo malati di realtà. La solidarietà mondiale che ho ricevuto mi ha commosso così come l'indifferenza e l'ironia della stampa locale, sempre pronta a denigrare con sotterfugi pur di mascherare quello che è stato un golpe. Sono stato arrestato, che importa se per cinque ore o più, altri compagni sono stati feriti, altri uccisi e la maggioranza messa sotto silenzio con minacce e sequestri.

Questo è uno Stato che aggredisce l'individuo, il legittimo bene supremo delle costituzioni borghesi, che a volte ricorre alle armi per ricordarci che siamo solamente persone, e che traccia geometricamente la misura dei nostri silenzi. Tegucigalpa, il vecchio bel bordello, contraddistinto dalla logica superlativa di sopravvivere alla giornata, con ponti pieni di fango a ricordare gli uragani. Le strade sconnesse, gli strilloni, i venditori di vestiti usati che diffidano della logica del libero mercato, i venditori di cd pirata, che gridano che già hanno l'ultimo di Michael Jackson.

Questa è la Tegucigalpa coloniale, un ammasso di casette miserabili, una città piena di fantasmi del secolo scorso che vivono aspettando un miracolo per sentirsi capitale, e oggi centro del club degli ultimi gorilla del Ventunesimo secolo. Tegucigalpa dei miei amori, oggi congestionata da marce di ricchi che gonfiano le masse di guardie del corpo e nelle altre strade ragazzi con i loro zaini in spalla combattendo la battaglia della loro vita. Contadini scalzi a petto nudo, ragazze madri che fanno a pugni con militari dalle facce di bambini contadini sfruttati dal sistema, con uniforme e bastone presi in prestito, militari poveri che non sanno che guerra combattono, che mai hanno letto teorie né di sinistra né di destra, la cui unica ideologia è mettersi un casco che li protegga dalle pietre tirate con la forza dalle barricate della resistenza.

Questa è la Tegucigalpa che oggi ritarda i suoi doveri quotidiani per litigare con il fervore cieco di alcuni fanatici che come tigri affamate vedono nel rito del sangue la conferma sadica del loro essere selvaggi.

Hans Arp e Chirico potrebbero ritagliare il quotidiano e fare collage di taxi pieni di taniche di sangue o di ragazzini strappati dalle etnie millenarie per sparare l'odio che non poterono scongiurare con la vendetta di secoli. O una donna che cammina con il lusso di un'attrice e un bambino che urla tra la gonna di seta il prossimo numero della lotteria. Questa è Tegucigalpa, queste le disuguaglianze, questa la tenerezza dell'utopia quotidiana. Questo l'amore per la vita, questa la necessità di cambiamento. Questo lo lesse il nostro presidente del quale quotidianamente si prendevano gioco perché non si comportava con la delicatezza e il savoir faire di un ministro europeo e perché ha promosso riforme che hanno toccato portafogli chiusi ermeticamente. Questo è l'Honduras privato della sua voce, perché nelle strade si permette solo che venga detto che abbiamo un messia con cognome italiano, ma con un cuore appartenente alle peggiori mafie napoletane.

Ero e sarò sempre un povero ragazzo che fa caricature, che non fa male a una mosca, che nessun poltico di Honduras si disturberà a reprimere perché che danno potrebbe fare questa ragnatela spaventosa che ha disegnato? Se disegna meglio mio cugino di quattro anni, diceva questo pomeriggio un giornalista di una radio golpista, ed è vero, perché la mia detenzione "accidentale", è stata condannata da migliaia di persone nel mondo da centinaia di canali televisivi e giornali di decine di paesi nel mondo intero, ma in Honduras è una gran risata ciò che si chiama coscienza. Essere rispettato nel mondo per il tuo lavoro ti dà questa sensazione grigia e totale che uno qua non è indispensabile, come la democrazia che alla fine dei conti è anche lei una caricatura.

Tegucigalpa, una sera alla fine di giugno 2009, che presto sarà solo un brutto ricordo nella giungla della storia.


*Allan McDonald è uno dei vignettisti più importanti e famosi d'Honduras. Irriverente e graffiante è uno dei personaggi scomodi che il regime golpista ha tentato di azzittire. Domenica notte è stato prelevato dalla sua casa dai militari. Con lui la figlia di due anni, Abril. E' stato rilasciato grazie alla pressione internazionale. Questo documento lo ha inviato a Peacereporter pochi istanti prima di partire per il Costarica.


Il vero ruolo degli Usa nel golpe a Tegucigalpa

di Alessia Lai - www.rinascita.info - 16 Luglio 2009

Manuel Zelaya, ha lanciato un ultimatum ai golpisti. Lunedì, in una confernza stampa offerta a Managua, in Nicaragua, il legittimo presidente honduregno, destituito con la forza militare il 28 giugno scorso, ha cercato di imprimere una forte spinta al dialogo fra amministrazione golpista e esecutivo esautorato che si sta tenendo in Costa Rica con la mediazione del presidente del Paese e nobel per la pace Óscar Arias.

Zelaya ha letto un comunicato nel quale afferma che il mancato rispetto delle risoluzioni Osa e Onu da parte del governo de facto “è un modo per prendere tempo e arrivare ad elezioni in condizioni di fatto”.

“L’unico obiettivo della dittatura è quello di usare Óscar Arias”, ha ancora affermato Zelaya dando ad intendere che la volontà golpista di prolungare all’infinito il dialogo serve a mantenere Micheletti e soci alla guida illegittima dell’Honduras.

“In virtù del mancato ripristino dell’ordine costituzionale, diamo tempo fino alla prossima riunione di mediazione (annunciata da Arias per il prossimo fine settimana, ndr) perché si compiano i mandati espressi dalle organizzazioni internazionali, altrimenti fallirà la mediazione e si procederà nel prendere altre misure”, ha affermato il mandatario legittimo che ha inoltre denunciato la repressione e la persecuzione contro il popolo honduregno, contro i politici e i rappresentati del suo governo.

“I membri del mio governo sono stati oggetto di persecuzione, cancellazione di conti bancari, è evidente che il regime si sostenta attraverso le armi. Inoltre perseguitano i giornalisti stranieri e entrano nelle case di persone che hanno rifiutato il golpe”, ha accusato Zelaya.

Lo stallo, però, è un dato di fatto. I golpisti tengono in mano il Paese usando il pugno di ferro. Tra gli oppositori dell’esecutivo Micheletti si contano già numerosi morti. Come affermato da fonti vicine ai golpisti, un solo gesto concreto di Washington avrebbe messo fine in un attimo al sopruso, ma gli Usa, a parte la condanna verbale del golpe non hanno mai ritirato il loro ambasciatore da Tegucigalpa.

Lo scorso 22 giugno, il quotidiano La Prensa aveva dato notizia di una riunione tra influenti politici dell’Honduras, alcuni capi militari e l’ambasciatore Llorens sotto l’apparente proposito di “cercare una via d’uscita alla crisi” riferendosi alla questione della consulta popolare promossa da Zelaya.

Il New York Times confermava poco dopo che il segretario di Stato aggiunto per le questioni dell’emisfero occidentale, Thomas A. Shanon, così come l’ambasciatore statunitense nel Paese Hugo Llorens, nella quale si era discusso “come abbattere il presidente Zelaya, come arrestarlo e quale autorità lo avrebbe potuto fare”.
A questo si aggiunge la recente notizia che il governo di fatto guidato da Roberto Micheletti, si è avvalso di consiglieri statunitensi in occasione dei colloqui di mediazione in corso in Costa Rica.

Secondo il New York Times, le proposte presentate dalla delegazione del regime golpista nelle riunioni di conciliazione sono state redatte e approvate dallo statunitense Bennett Ratcliff, che presente al primo dialogo tra le autorità de facto e i rappresentanti di Zelaya.
Ratcliff è uno specialista in relazioni pubbliche che ha realizzato lavori per l’ex statunitense presidente Bill Clinton, marito dell’attuale segretario di Stato Hillary.

Secondo la giornalista del New York Times che ha scritto l’articolo, Ginger Thompson, Micheletti è impegnato in una offensiva mediatica che usufruisce dell’apporto di avvocati statunitensi di alto livello, con stretti vincoli nei circoli di potere degli Usa.
Tra i coinvolti Lanny Davis, conosciuto per essere stato l’avvocato personale di Clinton e membro della sua campagna politica.