E' ormai ben noto che nel corso del XXI secolo le relazioni tra USA e Cina costituiranno il perno intorno a cui ruoteranno l'economia e la geopolitica mondiale.
Ma è altrettanto chiaro che il cosiddetto G2 attraverserà fasi molto difficili e di forte contrasto, anche se a nessuno dei due attori converrà una schiacciante vittoria sull'altro.
Il gioco nascosto di Washington nei confronti della Cina
di William Engdahl - Global Research - 11 Luglio 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Marco Orrù
Dopo i tragici eventi del 5 luglio nella regione autonoma cinese dello Xinjiang sarebbe opportuno vedere piú da vicino il ruolo strategico del National Endowment for Democracy (NED), una organizzazione non governativa finanziata dagli Stati Uniti. Ci sono ancora una volta forti indizi che riguardano le implicazioni del governo statunitense con la politica interna della Cina attraverso il NED.
L’ intervento USA negli affari del Xinjiang sembra avere poco a che fare con la violazione dei diritti umani da parte delle autoritá di Pechino nei confronti degli Uiguri. Piú che altro gli Stati Uniti sembrano preoccuparsi della posizione strategica della regione e della sua importanza nella futura cooperazione economica ed energetica della Cina con Russia, Kazakistan e altri stati dell’ Asia centrale facenti parte dell’ Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione (SCO).
Il World Uyghur Congress (WUC), con sede a Washington DC, è l’ organizzazione da cui arrivano le critiche piú forti, con l’ invito a protestare di fronte alle ambasciate cinesi di tutto il mondo.
Il WUC sostiene uno staff, un sito internet molto accurato ed ha stretti contatti con il NED, finanziato dal governo USA. Stando a quanto rivelano le fonti stesse del NED, il WUC riceve annualmente 215.000 dollari dal NED per la ricerca sulla violazione dei diritti umani e per il supporto di determinati progetti. Il presidente del WUC, Rebiya Kadeer, un’ esule Uiguri che usa descriversi come una lavandaia diventata miliardaria, è anche a capo del Uyghur American Association, un’ altra associazione umanitaria anch’ essa finanziata dal governo statunitense tramite il NED.
Il NED concede grosso supporto finanziario alle organizzazioni che stanno dietro alla ‘Rivoluzione Zafferano’ in Birmania e alle rivolte in Tibet del 2008 a Lhasa, nonché dietro praticamente ogni cambio di regime degli ultimi anni nell’ Europa orientale; dalla Serbia alla Georgia, all’ Ucraina, fino a Teheran durante le ultime elezioni.
Allen Weinstein, il quale ha contribuito alla stesura delle norme che regolano il NED, ha riferito tranquillamente in un’ intervista del 1991 che quest’ organizzazione compie oggi molti degli stessi atti che venticinque anni fa erano portati a termine segretamente dalla CIA.
Il NED dovrebbe essere un’ organizzazione privata e non a scopo di lucro, invece riceve annualmente fondi dal governo per il suo impegno sul fronte internazionale. Il denaro arriva attraverso 4 organizzazioni: il National Democratic Institute for International Affaire, legato al Partito Democratico a cui fa capo Obama, il International Republican Institute, legato ai repubblicani, il American Center for International Labor Solidarity, legato ai sindacati AFL-CIO e al dipartimento di stato, e infine il Center for International Private Enterprise, legato alla camera di commercio sempre statunitense.
Il problema è quello di stabilire in che modo le attivitá del NED preoccupano la regione del Xinjiang, e inoltre se il governo Obama approva o meno gli interventi del NED nella politica interna di quelli stati ritenuti ‘sensibili’. È importante trovare subito una risposta: un grosso passo avanti per capire la politica di Washington durante l’ attuale governo Obama consisterebbe nello stabilire in che modo il NED, il dipartimento di stato USA e le organizzazioni non governative legate al governo USA sono coinvolti nei disordini avvenuti nella regione cinese. È plausibile che la coincidenza tra lo scoppio dei disordini e il convegno del SCO avvenuto pochi giorni prima sia solo un caso?
Le organizzazioni degli esiliati Uiguri, la Cina e la geopolitica
Stando a quanto si apprende dal sito internet del WUC, il 18 maggio di quest’ anno il NED ha organizzato una conferenza sui diritti umani dal titolo ‘East Turkestan: 60 anni sotto il controllo della Cina comunista, insieme all’ organizzazione non governativa ‘Unrepresented Nations and People Organisation’ (UNPO).
Il presidente onorario di quest’ ultima è un tale Erkin Alptekin, un esule Uiguri che ha fondato l’ UNPO mentre lavorava per l’ agenzia di informazione ufficiale USA ‘Radio Free Europe/Radio Liberty’ come direttore della divisione Uiguri e come assistente alla direzione del Nationalities Services.
Egli ha anche creato il WUC nel 1991, mentre faceva parte dell’ Information Agency USA. Scopo del WUC era quello di ‘capire, informare ed influenzare le politiche di stati esteri nell’ interesse nazionale degli Stati Uniti’.
Non solo Alptekin è stato il primo presidente del WUC ma è anche amico intimo del Dalai Lama, stando a quanto dice il sito internet del WUC.
Ad un esame piú accurato l’ UNPO risulta essere un'organizzazione strategica molto importante per gli Stati Uniti. La sua creazione avviene nel 1991, periodo in cui ci fu il crollo dell’ Unione Sovietica e la situazione politica ed economica nelle terre eurasiatiche era nel caos. A partire dal 2002 il direttore generale dell’ UNPO è l’ arciduca Karl von Habsburg d’ Austria, il quale si descrive (pur non riconosciuto da Austria e Ungheria) come principe imperiale d’ Austria e principe reale d’ Ungheria.
La carta dell’ UNPO sancisce il diritto di autonomia per i 57 stati che, in base ad un oscuro processo mai reso pubblico, sono diventati membri ufficiali dell’ associazione, con 150 milioni di persone e quartiere generale a L’ Aia, nei Paesi Bassi.
Tra i paesi che ne fanno parte troviamo il Kosovo, che entró a far parte nel 1991, quando ancora faceva parte della Jugoslavia, gli aborigeni d’ Australia, ritenuti membri fondatori assieme al Kosovo, e include anche gli indiani nord canadesi del Buffalo Dene Nation.
Tra gli altri membri troviamo il Tibet (anch’ esso ritenuto membro fondatore), gruppi etnici provenienti da aree ‘calde’ come i tatari di Crimea, la minoranza greca in Romania, l’ Ichkeria nella Repubblica Cecena, il Movimento Democratico della Birmania, l’ enclave situata nel golfo confinante con l’ Angola e la Repubblica Democratica del Congo. L’ associazione possiede anche azioni del Chevron Oil, una delle multinazionali piú grandi del mondo. Altre zone calde che fanno parte dell’ UNPO includono territori dell’ Iran del nord, conosciuti come Azerbaigian del sud, e un territorio situato sempre in Iran che si autodefinisce provincia del Kurdistan.
Stando a quanto riferisce il sito internet dell’ UNPO, il governo USA ha sponsorizzato nel 2008 un seminario di formazione alla leadership insieme all’ UNPO per il World Uyghur Congress. A Berlino si sono riuniti piú di 50 Uiguri provenienti da tutto il mondo, insieme a rinomati accademici, rappresentanti governativi e membri della societá civile; l’ argomento era: ‘l'autonomia nell’ ambito del diritto internazionale’. Il discorso è stato tenuto da Rebiya Kadeer, ma non si è a conoscenza di cosa si sia discusso in privato.
La coincidenza con la rivolta in Xinjiang
I disordini a Urumqi, la capitale del Xinjiang nella parte nord orientale della Cina sono scoppiati il 5 luglio.
Stando sempre a quanto riferisce il sito del WUC, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una violenta aggressione nel Guangdong, provincia a sud della Cina, ad una fabbrica di giocattoli il 26 giugno. Il WUC sostiene che alcuni lavoratori di etnia Han hanno massacrato dei colleghi Uiguri, accusati di aver violentato, o comunque molestato, due donne Han che lavoravano nella fabbrica. Il 1° luglio c’è stato un appello da parte del WUC a protestare presso le ambasciate e consolati cinesi per l’ aggressione in Guangdong, pur non essendoci prove certe sulla consistenza dell’ incidente.
Secondo i comunicati stampa è a causa di quell’ aggressione che il WUC ha incitato il mondo intero alla protesta.
Il 5 luglio, di domenica nel Xinjiang, ma ancora 4 luglio, giorno dell’ indipendenza negli Stati Uniti, il WUC a Washington affermava che soldati dell’ armata cinese Han stavano imprigionando tutti gli Uiguri in circolazione. Nello stesso tempo la stampa ufficiale cinese riportava una situazione di aspre rivolte nelle strade di Urumchi con 140 morti nel giro di tre giorni.
L’ agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua ha riferito che la minoranza etnica Uiguri di religione musulmana ha aggredito passanti di etnia Han, bruciando veicoli e attaccando autobus con bastoni e pietre; ‘giravano armati di coltelli, spranghe, mattoni e pietre’, afferma un testimone oculare. L’ agenzia di stampa francese AFP ha riportato le parole del segretario generale del Uighur American Association a Washington, il quale afferma che la polizia ha aperto il fuoco indiscriminatamente sulla folla dei protestanti.
Due versioni differenti riguardanti il medesimo evento dunque. Il governo cinese e le immagini stesse dei disordini indicano che la rivolta è partita dagli Uiguri con l’ aggressione di cittadini Han mentre i comunicati ufficiali francesi danno la colpa alla polizia cinese che ha aperto il fuoco indiscriminatamente. È importante notare che l’ AFP si è basato sull’ Uyghur American Association di Rebiya Kadeer, finanziato dal NED, per la diffusione di questa notizia. Tocca al lettore giudicare se le dichiarazioni dell’ AFP siano o meno legate all’ agenda strategica statunitense: un gioco di interessi nascosto del governo Obama nei confronti del futuro economico della Cina.
Si puó considerare una coincidenza che le rivolte nel Xinjiang siano scoppiate pochi giorni dopo il convegno a Ekaterinburg in Russia, a cui hanno partecipato le nazioni del SCO insieme al presidente Ahmadinejad in veste di osservatore ufficiale?
Nel corso degli ultimi anni, in risposta alla sempre piú aggressiva politica estera degli USA, nazioni come Cina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan hanno cercato di intensificare la cooperazione economica e politica. In piú è stato concesso lo stato formale di osservatori internazionali a Iran, Pakistan, India e Mongolia da parte del SCO, i ministri della difesa del quale sono in continua consultazione per quanto riguarda i mezzi di difesa, dal momento che i militari NATO e quelli statunitensi continuano ad espandersi in quelle regioni senza il minimo contegno.
L’ importanza strategica del Xinjiang per le infrastrutture energetiche dell’ Eurasia
C’ è anche un’ altra ragione per cui i membri del SCO vogliono la pace con la regione cinese del Xinjiang: le rotte piú importanti di gas e petrolio passano proprio per quella regione. Accordi sull’ energia tra Cina e Kazakistan hanno una straordinaria importanza strategica per entrambe le nazioni e per la Cina in quanto le permetterebbero di essere piú indipendente riguardo le risorse di petrolio, il che potrebbe essere ostacolato dall’ intervento USA, nel momento in cui tale cooperazione dovesse deteriorarsi.
Il presidente kazako Nursultan Nazarbayev ha concesso una visita di stato a Pechino nell’ aprile di quest’ anno. Il programma comprendeva l’ impegno per una cooperazione economica piú stretta, soprattutto per quanto riguarda l’ energia, settore nel quale il Kazakistan detiene grosse riserve soprattutto in petrolio e, a quanto pare, anche di gas naturale. Dopo le trattative di Pechino i media cinesi hanno pubblicato diversi articoli riguardo la circolazione del petrolio Kazako in Cina.
Il condotto Atasu-Alashankou che verrá completato nel 2009 permetterá di far arrivare il gas in Cina attraverso il Xinjiang. Le compagnie energetiche cinesi stanno anche progettando la costruzione di un impianto per la lavorazione del gas, e una stazione idroelettrica in Kazakistan.
Secondo l’ agenzia per l’ informazione sull’ energia del governo statunitense, il giacimento petrolifero di Kashagan in Kazakistan è il piú grosso al di fuori del Medio Oriente, e il quinto nel mondo in termini di riserve; questo si trova al largo della costa nord del mar Caspio, nei pressi della cittá di Atyrau. La Cina ha creato un condotto lungo 613 miglia, da Atasu, nel nord est del Kazakistan, fino a Alashankou, ai confini del Xinjiang, che permette il trasporto di petrolio dal mar Caspio alla Cina. La ChinaOil ha l’ esclusiva sull’ acquisto del petrolio grezzo e il condotto nasce da una partnership tra il CNPC e il Kaztransoil del Kazakistan. Qualcosa come 85.000 barili al giorno di petrolio grezzo sono passati per il condotto nel 2007. Il CNPC è anche coinvolto in diversi progetti per le fonti energetiche insieme al Kazakistan e tutti questi piani comportano il passaggio attraverso la regione cinese del Xinjiang.
Nel 2007 il CNPC ha siglato un accordo di 2 miliardi di dollari per la costruzione di un condotto per il gas naturale dal Turkmenistan alla Cina, attraverso l’ Uzbekistan e il Kazakistan. Il condotto dovrebbe partire da Gedaim, al confine tra Turkmenistan e Uzbekistan e raggiungere le 1.100 miglia, passando attraverso l’ Uzbekistan e il Kazakistan, fino a Khorgos in Xinjiang. Il Turkmenistan e la Cina hanno firmato un trattato per la fornitura di gas attraverso il condotto per un arco di 30 anni. Il CNPC ha istituito due organi di controllo per l’ ambizioso progetto del Turkmenistan e la costruzione di un secondo condotto che dovrebbe attraversare la Cina attraverso la regione del Xinjiang e costare intorno ai 7 miliardi di dollari.
Cina e Russia stanno anche discutendo per l’attuazione di grossi condotti per il gas dalla Siberia orientale alla Cina, sempre attraverso il Xinjiang. È provato che i territori della Siberia orientale contengono riserve di gas per 135 mila miliardi di piedi cubici. Il giacimento del Kovykta potrebbe fornire la Cina di gas naturale nei prossimi dieci anni attraverso il nuovo condotto.
Durante questa crisi economica il Kazakistan ha ricevuto dalla Cina un prestito di dieci miliardi di dollari, metá dei quali sono riservati al settore del gas e del petrolio. Il condotto petrolifero Atasu-Alashankou e quello del gas China-Central Asia costituiscono un contatto strategico delle nazioni asiatiche con l’ economia della Cina. La coesione della Russia con la Cina attraverso i paesi dell’ Asia centrale rappresenta un pericolo per Washington. Anche se Washington non lo ammette, le sommosse nel Xinjiang rappresentano una grossa opportunitá per stroncare la sempre piú stretta coesione tra i paesi del SCO.
Ecco la città proibita di Urumqi dopo la cruenta repressione etnico-religiosa cinese
di Federico Rampini - La Repubblica - 21 Luglio 2009
A ogni crocevia i soldati cinesi sono disposti "a testuggine" come gli antichi romani. Quadrilateri di scudi per proteggersi da un attacco nemico che può arrivare da ogni lato, all'improvviso. Sono centurioni ad alta tecnologia: giubbe antiproiettile, scudi di plexiglas, fucili automatici puntati in faccia alla gente che passa. Due settimane dopo la rivolta degli uiguri che ha fatto duecento morti (bilancio ufficiale), la capitale dello Xinjiang vive sotto la morsa di un'occupazione militare. Accentuata da un impenetrabile black-out delle comunicazioni. Un test di accecamento elettronico che segna un nuovo progresso nelle tecniche di repressione.
Teatro della più cruenta protesta etnico-religiosa mai vista da quarant'anni nella Repubblica Popolare, oggi Urumqi è tagliata in due. Nella zona moderna dove gli immigrati cinesi (han) sono la schiacciante maggioranza, la vita è tornata quasi alla normalità: ingorghi di auto e supermercati pieni, un paesaggio di neon e pubblicità sfavillanti come in tutte le metropoli della Cina. Ma una trincea di paura separa il centro storico, il ghetto dove i musulmani sono in stato d'assedio. Le vie d'accesso alla città vecchia sono vuote di automobili. Sfilano regolari solo le colonne di autocarri dell'esercito: segnalano l'inizio della "no man's land" dove i cinesi han non si avventurano più. Negli edifici pubblici requisiti dalle forze armate si vedono marce e si sentono inni patriottici a tutte le ore. La presenza militare deve essere esibita, ben visibile giorno e notte.
Vaste macchie nere - le divise dei reparti speciali di polizia antisommossa - si alternano con chiazze verde-marrone - le tute mimetiche dei soldati - e colorano in modo sinistro il paesaggio urbano. Una volta attraversati i posti di blocco si penetra nella casbah islamica: diroccata, in disfacimento, con bambini che scorazzano a piedi nudi nella sporcizia, vicoli che puzzano di fogna e trasudano miseria, dove i grattacieli della città cinese sembrano appartenere a un mondo lontano. Anche lì è tornata una sorta di normalità, le bancarelle con ciambelle calde e pane "nan" schiacciato, spiedini di agnello alla griglia, profumi di spezie, donne velate, bazaar di sete, un pezzo di Medio Oriente finito a viva forza dentro la Repubblica Popolare. Quella che non ritorna, invece, è la finzione che le due città cinese e turcomanna possano convivere tranquillamente, sotto lo sguardo paterno delle autorità di Pechino.
La trincea armata che separa le due Urumqi, la zona libera e i territori occupati, evoca l'altro isolamento soffocante. Su tutto lo Xinjiang - un'area vasta cinque volte l'Italia - è calato un impressionante silenzio elettronico che blocca le comunicazioni con l'esterno. Non esiste più Internet; il manager olandese dello Sheraton a cinque stelle allarga le braccia sconsolato: da due settimane non arrivano né partono email.
E' impossibile telefonare all'estero, le linee internazionali sono mute, anche i cellulari sono limitati alle chiamate locali. Per sei lunghissimi giorni sono tagliato fuori dal mondo. L'implacabile macchina della censura cinese ha chiuso gli accessi, ha il controllo totale sull'informazione. Non escono notizie dall'interno dello Xinjiang. L'occupazione militare è la stessa che avevo visto un anno fa a Lhasa, dopo la rivolta del Tibet. E' nuovo il black-out tecnologico. E' un salto di efficienza che dà i risultati previsti. La tragedia degli uiguri è presto dimenticata, nonostante l'escalation nel bilancio delle vittime e degli arresti in massa dopo la strage del 5 luglio.
Questa operazione hi-tech porta la firma di Wang Lequan, 64 anni, numero uno del partito comunista nello Xinjiang e fedelissimo del presidente Hu Jintao. Preso alla sprovvista nelle prime 48 ore di guerriglia urbana, che costrinse Hu a disertare il G8 dell'Aquila per rientrare precipitosamente a Pechino, in seguito Wang si è rifatto una credibilità studiando il caso Tibet. Alle tradizionali tecniche anti-insurrezionali, basate sul dispiegamento di una schiacciante forza militare, il boss del partito comunista ha aggiunto lo spregiudicato blitz tecnologico per accecare le comunicazioni.
Il controllo sull'informazione consente al regime di lasciar filtrare una sola versione: il terrore del 5 luglio fu una fiammata di violenza a senso unico, gli uiguri si sono scatenati con una furia selvaggia contro gli han, mentre la polizia è intervenuta con misura. Può esserci una parte di verità in questa ricostruzione. Ma nessun osservatore indipendente ha avuto accesso agli ospedali e agli obitori. Nessuno ha potuto verificare il conteggio etnico che nella versione governativa assegna un numero preponderante di morti alla comunità han. I mass media di Stato alimentano una virulenta campagna nazionalista, con un'immensa eco in tutta la Cina. Due i bersagli: Rebiya Kadeer, la leader uigura in esilio accusata di avere istigato la rivolta a scopi secessionisti; la stampa estera bollata come faziosa, bugiarda, anti-cinese.
Il controllo capillare di Wang Lequan mi insegue anche nella tappa successiva del mio viaggio, a Kashgar: la roccaforte musulmana dove gli uiguri sono ancora maggioranza. La punta estrema dello Xinjiang nel cuore dell'Asia centrale. Non passano 15 minuti dalla mia registrazione all'hotel e già una voce ostile urla al telefono della mia camera, mi convoca nel salone d'ingresso. E' un commissario di polizia in borghese, mi fa capire il personale dell'hotel. Lui non si qualifica, non mi dirà mai il suo nome. Io in piedi, lui sprofondato in una poltrona della reception con l'aria minacciosa e onnipotente, mi fa un interrogatorio in piena regola. Non ci sono turisti occidentali in albergo.
Ad altri colleghi il visto da giornalista sul passaporto è valso un'espulsione immediata (e illegale). "Qui le interviste le organizzo io", mi avverte. Gli incontri con lui saranno frequenti, fino alla mia partenza. La sua presenza deve essere ben visibile ad altri, anche quando non lo vedo io: il pedinamento dei giornalisti da parte della polizia intimidisce gli uiguri, cuce le bocche dei testimoni. Davanti al mio albergo, nella Piazza del Popolo dominata dalla gigantesca statua in granito di Mao Zedong, un grande schermo proietta a ripetizione le immagini maledette del 5 luglio a Urumqi. E' un film horror offerto gratis a tutta la cittadinanza.
Sono riprese selezionate, appaiono solo cinesi han dai volti sfigurati di botte e coperti di sangue. In questa roccaforte musulmana le immagini potrebbero avere quasi un effetto di incitamento alla rivolta. Ma il messaggio è completato dal via vai incessante di camion militari. Procedono a gruppi di tre autocarri. I soldati hanno i mitra spianati, e sacchetti di sabbia anti-esplosivi. Dai camion i megafoni urlano alla cittadinanza appelli all'ordine. Nel venerdì di preghiera il piazzale davanti alla moschea grande (Idh Kah) si riempie di truppe.
La mia visita "turistica" dentro il luogo di culto avviene proprio in parallelo con un'ispezione di sicurezza. Mancano poche ore all'afflusso dei fedeli, un piccolo gruppo misto di ufficiali dell'esercito e funzionari di polizia perlustra l'interno della moschea. Li dirige un giovane in borghese molto curato, con i capelli cortissimi, giacca di lino e jeans chiari aderenti in foggia Armani. Un esemplare di tecnocrate che potrebbe lavorare in una merchant bank di Shanghai. A me riservano poche occhiate di sbieco, hanno ben altro da fare. Studiano con cura la disposizione dei luoghi, gesticolano per indicare le vie d'uscita. Poco dopo vedrò installare i metal detector all'ingresso della moschea. E al centro del piazzale un minaccioso camion bianco con antenna satellitare, più varie telecamere puntate sulla gente che entra.
Da Kashgar prendo la strada che porta ai confini con Pakistan, Tajikistan e Afghanistan. Sono luoghi maestosi, dove il deserto Taklimakan finisce alle falde dei monti Kunlun. Paesaggi solitari e magnifici, come il lago Karakul dominato dalla cima innevata del Monte di Giada, 7.600 metri di altitudine. Le montagne desertiche sono solcate dall'autostrada nuova fiammante a quattro corsie; spuntano miniere a cielo aperto, dove le scavatrici frugano questa terra ricca di risorse. Si spinge fino a queste alture semidesertiche la potenza economica cinese, segnalata dai Tir e dalle centrali fotovoltaiche. E' la porta d'accesso ai vicini dell'Asia centrale.
Ma i camionisti uiguri e kazakhi sono fermati regolarmente ai posti di blocco. Vedi i loro volti turcomanni incupirsi davanti ai poliziotti cinesi. Intuisci l'onta della loro sottomissione. Qui la potenza imperiale di Pechino lambisce il suo fronte caldo con l'Islam. Da qui la solidarietà con la causa degli uiguri viaggia verso l'Asia musulmana, provoca i raid dei talebani contro le imprese cinesi in Afghanistan, arriva fino a creare una crisi politica con il governo di Ankara.
Sono appena otto milioni gli uiguri dello Xinjiang, più quattro milioni di emigrati per cercare lavoro nel resto della Repubblica Popolare: come i due uiguri uccisi in una fabbrica di Canton, la scintilla dei moti del 5 luglio. Sono un'inezia, come le altre 56 minoranze etniche, soverchiati da oltre un miliardo di han.
Ma visti dalle frontiere dell'Asia centrale sono una spina nel fianco della Cina, un disturbo per la penetrazione economica in altre nazioni islamiche. In Occidente è ben più popolare la causa del popolo tibetano. Contro gli uiguri Pechino ha saputo usare l'argomento dell'anti-terrorismo, dopo che alcuni militanti sono stati catturati dagli americani in Afghanistan, e detenuti per anni a Guantanamo. L'Amministrazione Usa e i governi europei non vogliono schierarsi con movimenti secessionisti dello Xinjiang accusati di avere legami con al Qaeda. E' nel mondo islamico che la questione uigura assume un altro aspetto. Proietta l'immagine di una Cina efficiente e ricca ma spietata; un'impero multietnico che piega tutte le razze al ritmo della sua modernizzazione ma non le integra.
Nell'ondata nazionalista con cui il paese ha reagito alla rivolta di Urumqi, molti cinesi hanno gettato la maschera della "società armoniosa" esaltata da Hu Jintao. Nei commenti sui giornali, nei blog e nei forum online, si è scatenato un fiume di accuse contro gli uiguri. Ladri e mafiosi. Parassiti. Privilegiati dalle facilitazioni per le minoranze. Un lungo elenco di recriminazioni si è levato dal ventre della Cina profonda, contro le forme di "affirmative action" elargite per placare le etnìe non-han.
Sconvolti dalle immagini della tv di Stato sui linciaggi degli han a Urumqi, a Pechino Shanghai e Canton molti hanno ricordato che gli uiguri non sono sottoposti al controllo delle nascite, possono avere tutti i figli che vogliono. Ricevono "punti" supplementari nei concorsi di ammissione alle università. Facilitazioni che non hanno impedito un crescente divario socio-economico.
E non cancellano altre umiliazioni. Come quella che cerca di nascondermi pudicamente la mia guida, che chiamerò Mohammed, quando gli chiedo se è mai stato in pellegrinaggio alla Mecca. "Non ho fretta - mi risponde - prima devo sistemare i figli. Il Corano dice che ci sono altre priorità". Una penosa bugìa. Agli uiguri il viaggio alla Mecca è proibito dal 2001. In un paese dove la libertà di andare all'estero è ormai un diritto di massa, per gli uiguri è difficile ottenere il passaporto. Sono ridotti a sentirsi prigionieri, in una terra che consideravano tutta loro.