lunedì 15 giugno 2009

Ahmadinejad, il vincitore riconosciuto dalla comunità internazionale

Dopo due giorni di guerriglia urbana la calma sembra essere ritornata a Teheran.
I dati di queste tesissime elezioni presidenziali sono però netti e parlano di un'affluenza record alle urne con oltre l'85% di partecipazione. Il presidente uscente Ahmadinejad ha raccolto il 62,6% dei consensi e ha vinto al primo turno le elezioni, mentre l'unico suo vero rivale, Mir Hossein Mousavi, si è fermato al 33,7%.
Gli altri due candidati sono rimasti invece solo con le briciole: all'ex comandante dei Pasdaran, Mohsen Rezai, è andato uno scarso 2% e all'ex presidente della Camera Mehdi Karroubi meno dello 0,9%.

Parlare quindi di brogli sostanziali di fronte a questi dati così chiari sembra veramente azzardato, così come azzardata, se non irresponsabile, era stata la decisione di Mousavi di dichiararsi vincitore a urne ancora aperte, scatenando ovviamente le proteste dei suoi sostenitori con le conseguenze che si sono viste.

Ieri sera però Mousavi si è incontrato con la Guida Suprema, l'Ayatollah Khamenei, il quale ha promesso un'indagine sui presunti brogli e ha invitato Mousavi ad ''agire con calma e seguendo le vie legali''.
Al Consiglio dei Guardiani, l'organismo che sovrintende alle elezioni, sono arrivati due ricorsi, quelli di Mousavi e Mohsen Rezai. Anche Karroubi aveva detto di non riconoscere il risultato del voto, ma non ha presentato ricorso.
E il portavoce del Consiglio dei Guardiani, Abbas-Ali Katkhodai, ha inoltre confermato che "Per la prima volta, e anche se non vi saremmo obbligati, pubblicheremo nei dettagli i dati per rassicurare i cittadini sulla correttezza del voto".

Nella comunità internazionale le reazioni hanno naturalmente registrato toni diversi, ma comunque c'è un riconoscimento unanime della riconferma di Ahmadinejad alla presidenza, anche se qualche Paese ha chiesto blandamente che sia fatta chiarezza sui dati definitivi e oggi l'UE, in una dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri, ha espresso "grave preoccupazione per la repressione delle proteste di piazza e per l'uso della forza contro pacifici manifestanti", chiedendo anche un'inchiesta sul voto.

Ma già ieri il ministro degli esteri Frattini aveva detto "L'Italia è convinta che l'Iran sia un partner importante per stabilizzare Pakistan e Afghanistan. Noi confermiamo la volontà di avere l'Iran al vertice G8 di Trieste. Credo che ci si debba augurare da parte del presidente Ahmadinejad un ripensamento su alcune linee, in particolare quelle relative al Medio Oriente, ma anche quelle relative al programma nucleare''.

Quindi, aldilà delle scontate prese di posizione di Israele e delle altrettanto scontate dichiarazioni di condanna contro l'uso della violenza per reprimere le proteste di piazza scoppiate a Teheran, tutta la comunità internazionale ha riconosciuto la vittoria di Ahmadinejad e alcuni si sono già spinti oltre pregustando ulteriori interessanti affari con l'Iran.


Parla il popolo iraniano
di Ken Ballen e Patrick Doherty - The Washington Post - 15 Giugno 2009
Traduzione di Ornella Sangiovanni per www.osservatorioiraq.it

I risultati elettorali in Iran potrebbero riflettere la volontà del popolo iraniano. Molti esperti stanno sostenendo che il margine di vittoria del presidente in carica, Mahmoud Ahmadinejad, è stato il risultato di frodi o manipolazioni, tuttavia il nostro sondaggio dell’opinione pubblica iraniana a livello nazionale tre settimane prima del voto mostrava Ahmadinejad in testa con un margine di oltre 2 a 1 – superiore a quello con cui apparentemente ha vinto nelle elezioni di tre giorni fa.

Mentre i servizi giornalistici da Tehran nei giorni che hanno preceduto il voto rappresentavano una opinione pubblica iraniana entusiasta del principale avversario di Ahmadinejad, Mir Hossein Mussavi, il nostro campionamento scientifico in tutte e 30 le province dell’Iran mostrava Ahmadinejad in testa di parecchio.

I sondaggi nazionali indipendenti e non censurati dell’Iran sono rari. Di solito, i sondaggi pre-elettorali vengono condotti o monitorati dal governo, e sono notoriamente inaffidabili. Invece, il sondaggio realizzato dalla nostra organizzazione no-profit dall’11 al 20 maggio era il terzo di una serie negli ultimi due anni. Condotto per telefono da un Paese confinante, le rilevazioni sul campo sono state eseguite in Farsi da una società di sondaggi il cui lavoro nella regione per conto di ABC News e della BBC ha ricevuto un Emmy Award. Il nostro sondaggio è stato finanziato dal Rockefeller Brothers Fund.

L’ampiezza del sostegno per Ahmadinejad era evidente nel nostro sondaggio pre-elettorale. Nel corso della campagna elettorale, ad esempio, Mussavi ha sottolineato la sua identità di azero, il secondo gruppo etnico in Iran dopo quello dei persiani, per cercare di accattivarsi gli elettori azeri. Il nostro sondaggio indica, tuttavia, che gli azeri preferivano Ahmadinejad a Mussavi nel rapporto di due contro uno.

Gran parte dei commenti hanno rappresentato i giovani iraniani e Internet come precursori del cambiamento in queste elezioni. Ma il nostro sondaggio ha scoperto che solo un terzo degli iraniani hanno accesso a Internet, mentre, di tutti i gruppi di età, quello dei giovani fra i 18 e i 24 anni comprendeva il blocco di voti più forte a favore di Ahmadinejad.

Gli unici gruppi demografici nei quali Mussavi era in testa o competitivo rispetto ad Ahmadinejad, secondo i risultati del nostro sondaggio, erano gli studenti universitari e i laureati, e gli iraniani con la fascia di reddito più alta. Quando è stato realizzato il nostro sondaggio, inoltre quasi un terzo degli iraniani erano ancora indecisi. Tuttavia, le distribuzioni di riferimento che abbiamo trovato allora rispecchiano i risultati riferiti dalle autorità iraniane, il che indica la possibilità che il voto non sia il prodotto di frodi diffuse.

Alcuni potrebbero argomentare che il sostegno dichiarato per Ahmadinejad da noi rilevato riflettesse semplicemente la riluttanza degli intervistati impauriti a fornire risposte oneste ai rilevatori. Tuttavia, l’integrità dei nostri risultati è confermata dalle risposte politicamente rischiose che gli iraniani erano risposti a dare a un sacco di domande. Ad esempio, quasi quattro iraniani su cinque – compresa la maggioranza dei sostenitori di Ahmadinejad – hanno detto di voler cambiare il sistema politico per avere il diritto di eleggere la Guida Suprema, che attualmente non è soggetta al voto popolare. Analogamente, gli iraniani hanno definito libere elezioni e una libera stampa come le loro priorità più importanti per il governo, praticamente alla pari con il miglioramento dell’economia nazionale. Non propriamente risposte "politically correct" da esprimere pubblicamente in una società generalmente autoritaria.

Anzi, e coerentemente in tutti e tre i nostri sondaggi nel corso degli ultimi due anni, più del 70 % degli iraniani si sono detti favorevoli a dare pieno accesso agli ispettori sugli armamenti, e a garantire che l’Iran non sviluppi o possieda armi nucleari, in cambio di aiuti e investimenti esterni. E il 77 % degli iraniani era favorevole a rapporti normali e commercio con gli Stati Uniti, un altro dato in accordo con i nostri risultati precedenti.

Gli iraniani considerano il loro sostegno a un sistema più democratico, con rapporti normali con gli Stati Uniti, in armonia con il loro appoggio ad Ahmadinejad. Non vogliono che lui continui con le sue politiche intransigenti. Invece, gli iraniani apparentemente considerano Ahmadinejad il loro negoziatore più tosto, la persona meglio posizionata per portare a casa un accordo favorevole – una sorta di Nixon persiano che va in Cina.

Le accuse di frodi e manipolazioni elettorali serviranno a isolare ulteriormente l’Iran, e probabilmente ne aumenteranno la belligeranza e l’intransigenza nei confronti del mondo esterno. Prima che altri Paesi, compresi gli Stati Uniti, saltino alla conclusione che le elezioni presidenziali iraniane sono state fraudolente, con le conseguenze serie che accuse di questo tipo potrebbero portare, essi dovrebbero valutare tutte le informazioni indipendenti. Potrebbe darsi semplicemente che la rielezione del presidente Ahmadinejad sia quello che voleva il popolo iraniano.


Ken Ballen
è presidente di Terror Free Tomorrow: The Center for Public Opinion, un istituto senza fini di lucro che si occupa di ricerche sugli atteggiamenti nei confronti dell’estremismo. Patrick Doherty è vice direttore dell’American Strategy Program presso la New America Foundation. Il sondaggio condotto dai due gruppi dall’11 al 20 maggio si basa su 1.001 interviste in tutto l’Iran, e ha un margine di errore di 3,1 punti percentuali.



Iran: le urne e le piazze
di Michele Paris - Altrenotizie - 15 Giugno 2009

Dopo molte settimane durante le quali sui media occidentali si sono sprecate le testimonianze di un impetuoso movimento di protesta, composto da giovani, intellettuali e dalla classe media iraniana in appoggio al riformista moderato Mir-Hossein Mousavi, sono bastate solo un paio d’ore dopo la chiusura dei seggi all’agenzia di stampa governativa IRNA per proclamare la vittoria a valanga del candidato uscente Mahmoud Ahmadinejad. Se anche i timori suscitati dalle richieste di riforma della rivoluzione verde - il colore adottato dai sostenitori di Mousavi nel corso della campagna elettorale - hanno verosimilmente spinto ad un compattamento del fronte conservatore nel paese, forti dubbi persistono sulla legittimità di un voto che, in ogni caso, è stato accolto con un certo sollievo anche in qualche capitale mediorientale ed occidentale.

L'assenza di rilevazioni statistiche indipendenti alla vigilia della decima elezione presidenziale della Repubblica Islamica iraniana, aveva reso oggettivamente complicata una stima delle forze in campo. L'entusiasmo crescente che si era diffuso nel paese per Mousavi - primo ministro dal 1981 al 1989 - sembrava tuttavia aver risvegliato la passione politica di un elettorato riformista deluso dal fallimento della presidenza di Mohammad Khatami e dai presunti brogli che già avevano portato Ahmadinejad al potere quattro anni fa. Non solo la classe media urbana e gli abitanti delle regioni nord-occidentali al confine con l'Azerbaijan (da cui Mousavi proviene) appoggiavano in massa il candidato del cambiamento, ma addirittura molte aree rurali apparivano sull'orlo di un clamoroso voltafaccia nei confronti del presidente.

Sostenuto anche da una popolazione composta per il 70% da giovani al di sotto dei 30 anni, Mousavi sembrava essere riuscito a produrre qualche incrinatura nell'establishment clericale iraniano, dove la posizione di potere più importante rimane quella del Leader Supremo, l'ayatollah Ali Khamenei. Alla coalizione che appoggiava Mousavi aveva d'altro canto lavorato assiduamente l'ex presidente iraniano Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, vera eminenza grigia del regime, il quale si dice avesse stipulato un patto con l'ayatollah affinché quest'ultimo non appoggiasse apertamente Ahmadinejad, in cambio del ritiro dalla competizione del riformista Khatami. La famiglia Rafsanjani, una delle più ricche e potenti dell'Iran, ha così messo in campo tutte le proprie energie a sostegno di un candidato più moderato ed accettabile dalla dirigenza islamica per sconfiggere l'odiato Ahmadinejad, principale ostacolo verso un approccio più pragmatico verso la gestione dell'economia e nelle relazioni internazionali.

Nonostante l'attesa e l'annuncio della vittoria da parte di Mousavi alla chiusura delle urne, la doccia fredda è arrivata puntualmente dai risultati dichiarati come ufficiali dal Ministero dell'Interno. Con un'affluenza record dell'85%, Mahmoud Ahmadinejad ha ottenuto il 62,6% dei voti, evitando un secondo turno che appariva pressoché scontato da tutti gli osservatori. Lo sfidante Mousavi si sarebbe fermato appena sotto il 34%, mentre al limite dell'assurdo sono i risultati accreditati all'altro candidato conservatore Moshen Rezai e al riformista Mehdi Karroubi, rispettivamente all'1,73% e allo 0,85%. Particolarmente inverosimile sarebbe il risultato dell'ex presidente del Parlamento Karroubi, capace di conquistare oltre 5 milioni di preferenze nel primo turno delle presidenziali del 2004 e quest'anno fermatosi a poco più di 300 mila voti, un numero addirittura inferiore alle schede invalidate.

Denunce di irregolarità diffuse hanno iniziato allora a propagarsi per il paese, dove gruppi di giovani sostenitori di un Mousavi deciso a non concedere la vittoria al rivale si sono scontrati violentemente nelle strade delle principali città con pattuglie armate dei Guardiani della Rivoluzone. Ai rappresentanti dei candidati dell'opposizione, ad esempio, non è stato consentito verificare lo spoglio nei seggi, mentre già durante le operazioni di voto era stato bloccato l'invio di SMS per impedire le segnalazioni di anomalie tra gli osservatori. A differenza di quanto era accaduto nelle precedenti elezioni presidenziali inoltre, i risultati di ogni singolo distretto non sono stati comunicati, rendendo più difficile il controllo della correttezza dei numeri ufficiali.

Particolarmente controverso è stato poi l'impiego di circa 14 mila seggi mobili da impiegare per raccogliere il voto di quanti erano impossibilitati a raggiungere i seggi. Mentre negli anni scorsi la loro attività era limitata agli ospedali e a strutture di ricovero, in questa occasione - come ha denunciato l'ex ministro degli Esteri e dissidente Ibrahim Yazdi al settimanale americano The Nation - hanno fatto tappa presso stazioni di polizia e basi militari, dove il numero di voti falsificati avrebbe potuto moltiplicarsi senza difficoltà.

Al di là dell'impatto effettivo di irregolarità che pure sembrano evidenti, il voto in Iran ha finito per premiare l'appello di Ahmadinejad alle forze terrorizzate da un possibile cambiamento negli equilibri del potere al vertice e dai maggiori spazi reclamati dalla società civile, dalle donne in primo luogo. Oltre che su una élite di nuovo compattata attorno ad una figura ancora più forte, dopo un'elezione molto temuta e combattuta con toni spesso molti aspri, il presidente ha potuto contare sull'appoggio incondizionato dei ceti più bassi della scala sociale iraniana. I poveri delle campagne e la classe operaia delle città, i conservatori più irriducibili, gli impiegati pubblici e i pensionati che negli ultimi quattro anni avevano beneficiato, sebbene in maniera relativa, del populismo di Ahmadinejad e si sono riconosciuti nella sua retorica orgogliosamente anti-occidentale, sono una forza tuttora non indifferente in Iran.

A nulla è servito allora l'appello di Mousavi e degli altri candidati dell'opposizione all'ayatollah Khamenei per ristabilire chiarezza e dare una qualche legittimità al voto. Il Leader Supremo, trascinato nella battaglia tra i cosiddetti "internazionalisti" di Rafsanjani e i rivoluzionari contrari ad ogni cambiamento nelle strutture di potere del regime, si è infatti congratulato immediatamente con Ahmadinejad per il chiaro successo elettorale, chiudendo la porta a qualsiasi tentativo di mettere in discussione l'esito delle urne. L'atteggiamento del presidente di fronte alle proteste di piazza e alle critiche della stampa estera riflette d'altra parte la posizione di forza conquistata in seguito al voto, con la marginalizzazione di quanti auspicavano una transizione pacifica verso un Iran post-rivoluzionario.

Con spazi di manovra sempre più ristretti, il fronte riformista pare così destinato ad un nuovo periodo di apatia, come quello seguito alla sconfitta di Rafsanjani nel secondo turno delle presidenziali del 2005. Resta tuttavia da vedere fino a dove si spingerà la protesta dei giovani nelle piazze iraniane e la risposta del regime, nonché soprattutto quali sviluppi comporterà il recentissimo ordine emanato da Khamenei di investigare eventuali brogli dopo un incontro con Mousavi. La riconferma di Ahmadinejad rischia anche di complicare i piani dell'amministrazione americana, al lavoro già da qualche mese per un riavvicinamento con Teheran, sia pure tra molte contraddizioni. Per voce del vice-presidente Joe Biden, la Casa Bianca ha per ora espresso qualche riserva sulla regolarità del voto in Iran, anche se ha confermato di voler instaurare un dialogo con chiunque guiderà la Repubblica Islamica.

Se Obama avrebbe indubbiamente preferito dover trattare con Mousavi, è difficile pensare che l'esito del voto in Iran non abbia incontrato invece il favore della dirigenza israeliana, la quale immediatamente dopo la diramazione dei risultati ufficiali ha ribadito come la politica di disgelo verso Teheran sia destinata a fallire in ogni caso. Nelle trattative sull'annosa questione del nucleare iraniano, infatti, un presidente relativamente riformista come Mousavi avrebbe reso più difficile la posizione di quanti sostengono la linea dura di Tel Aviv. Mousavi avrebbe rappresentato insomma nient'altro che una maschera gradevole per l'Occidente, permettendo alla guida spirituale del paese di continuare il proprio programma nucleare senza ostacoli veri e propri. La confermata presenza di Ahmadinejad sulla scena rende ancora più delicato il compito di Obama, il quale sarà chiamato ad avviare una trattativa credibile di fronte ad un presidente macchiato da un esito del voto tutt'altro che legittimo agli occhi dell'opinione pubblica occidentale.

Le ripercussioni negli Stati Uniti sono già evidenti. Le elezioni in Iran per il momento hanno dato voce alle critiche verso la gestione della politica estera di Obama da parte dell'opposizione repubblicana, contraria ad ogni gesto di avvicinamento verso Teheran. Ma hanno anche già scavato una profonda divisione nell'amministrazione tra quanti vorrebbero esprimere una più aperta condanna dei risultati ufficiali e della repressione della protesta ed altri, specialmente nella comunità diplomatica, che preferiscono al contrario un atteggiamento di basso profilo per non mettere in pericolo il processo di riconciliazione con la Repubblica Islamica, che rimane tuttora uno degli obiettivi principali della politica estera di Obama.


Il giorno dopo
di Christian Elia - Peacereporter - 15 Giugno 2009

Mir Hussein Mousavi, leader dell'opposizione in Iran, è stato ricevuto poco fa dalla Guida Suprema della Rivoluzione, l'ayatollah Khamenei. Lo ha reso noto la televisione di Stato iraniana. Khamenei, al quale Mousavi aveva rivolto un appello per invalidare il voto viziato, a suo dire, da brogli avrebbe chiesto allo sconfitto di ''agire con calma e seguendo le vie legali''. Khamenei avrebbe garantito un'inchiesta che farà chiarezza sul voto.

Dieci giorni per il ricorso. La notizia, se confermata, sgombrerebbe il campo dai dubbi circa l'arresto di Mousavi nelle ore immediatamente successive al voto di venerdì scorso. Mousavi non ha mai invitato i suoi sostenitori a mettere Teheran a ferro e fuoco, com'è accaduto, ma ha sempre invitato a continuare la protesta con mezzi pacifici. Rispetto alla via legale, quindi, Khamenei ha preteso il rispetto da parte del principale avversario del presidente Ahmadinejad dell'iter burocratico del ricorso.

''Per la prima volta, anche se non saremmo obbligati, pubblicheremo nei dettagli i dati elettorali per rassicurare i cittadini sulla correttezza del voto''. Con queste parole, dopo due giorni di silenzio, si è espresso oggi Abbas Ali Katkhodai, portavoce del Consiglio dei Guardiani, l'organo di dodici membri chiamato a giudicare la regolarità delle elezioni e delle candidature. Secondo Katkhodai, non è il solo Mousavi ad aver presentato ricorso, ma anche Moshen Rezaei, candidato conservatore che durante i disordini di ieri aveva invece riconosciuto la vittoria di Ahmadinejad come legittima. Manca all'appello dei ricorrenti, invece, l'altro candidato riformista Mahdi Karroubi, che ieri ha dichiarato di non riconoscere il risultato elettorale.

Manifestazioni annullate. ''I risultati del ricorso saranno resi noti da sette a dieci giorni dopo la presentazione ufficiale dell'appello dei candidati, il cui termine scade oggi. Per la giornata sono state vietate le manifestazioni, per motivi di ordine pubblico, dal ministero degli Interni. Mousavi e Karroubi, però, avevano annunciato che sarebbero stati presenti alla manifestazione non autorizzata che si doveva tenere lo stesso nel pomeriggio a Teheran, ma solo per esortare alla calma i loro militanti. Lo aveva reso noto il sito Ghalam News, che coordina la campagna di Mousavi.

Dopo il colloquio con Khamenei, però, la manifestazione è stata annullata. Intanto mancano dati certi circa gli scontri di sabato e domenica. Per adesso sono confermate solo le tre vittime e i 170 arresti, ma i detenuti potrebbero essere molti di più, mentre sembra meno probabile che ci siano altre vittime. Amnesty International, in mattinata, ha lanciato un appello al governo iraniano e alla comunità internazionale per una inchiesta indipendente sia sul voto che sulle violenze del fine settimana. L'opposizione iraniana in esilio denuncia, inoltre, l'arresto arbitrario di circa duecento parenti dei giovani arrestati nel fine settimana che si erano radunati fuori dalle prigioni della capitale e un raid notturno condotto da agenti dei corpi speciali nell'ospedale Hezar Takhtekhabi di Teheran a caccia di dimostranti feriti.

La stampa sotto tiro. Amnesty chiede chiarezza anche sulla libertà d'informazione, verso al quale il governo iraniano non ha dato il meglio di sé. Poco fa sono stati rilasciati i due giornalisti olandesi Jan Eikelboom e Dennis Hilgers, arrestati ieri per aver ripreso gli scontri tra polizia e manifestanti avvenuti nei pressi del comitato elettorale del candidato riformista Mir Hossein Mousavi. La polizia avrebbe sequestrato loro accrediti e immagini girate la notte scorsa, com'è accaduto anche all'operatore italiano del Tg3. Le autorità di Teheran, inoltre, hanno messo al bando il giornale Kalameh Sabz, vicino a Mousavi, perché a loro dire incitava alla devastazione.

Non finisce qui. ''Ci hanno chiesto di lasciare il Paese oggi stesso. Siamo testimoni scomodi, vogliono eliminare qualsiasi tipo di presenza della stampa straniera. Domenica sera le strade erano totalmente occupate dalle truppe anti-sommossa, se non c'è stata repressione finora è perché Sanno che siamo qui'', ha detto oggi la giornalista Yolanda Alvarez, parlando al telefono alla radio nazionale da Teheran. Tutti i principali media internazionali hanno inoltrato proteste ufficiali alle ambasciate iraniane nei rispettivi paesi chiedendo il rispetto della libertà di stampa.



Elezioni in Iran: un primo commento
di Simone Santini - www.clarissa.it - 14 Giugno 2009

A teatro tutti gli attori seguono le indicazioni del regista per raggiungere lo scopo drammaturgico. Ma in quel caso il regista è conosciuto e il fine è evidente. Anche in Iran tutti gli attori sembrano muoversi secondo un copione, ma in questo caso non è chiaro chi diriga la messa in scena e quali siano gli obiettivi ultimi da raggiungere. E' chiaro solo che l'Iran sta correndo un gravissimo pericolo.

Ahmadinejad ha vinto le elezioni con oltre il 60% dei voti. Una vittoria schiacciante, annunciata, messa in dubbio solo nelle ultime due settimane quando la campagna elettorale aveva vissuti momenti di crudissimo dibattito pubblico, segno di un montante nervosismo che coincideva con una sorta di fervore popolare crescente, soprattutto nella capitale, a sostegno dello sfidante riformista Mir Hussein Moussavi.

Il miracolo sembrava poi possibile con i dati dell'affluenza insolitamente alti, cosa che in passato aveva sempre coinciso con la vittoria dei riformisti.
Ma alla fine il paese ha votato come ci si aspettava, così come le pressioni internazionali, il terrorismo interno e le dinamiche politiche avevano spinto a fare. Il polarizzarsi dello scontro tra Ahmadinejad e Moussavi ha avuto il solo risultato di cannibalizzare gli altri due candidati che hanno ottenuto risultati talmente scarsi che il primo turno si è trasformato di fatto in un ballottaggio diretto.

Il margine del riconfermato presidente è stato così ampio che oggettivamente è difficile parlare di brogli sostanziali come invece sta facendo lo sconfitto. In un paese grande come l'Iran significherebbe manipolare diversi milioni di voti, ciò che non potrebbe avvenire senza plateali irregolarità. Non è sufficiente oscurare gli sms nella capitale o impedire agli osservatori di entrare in alcuni seggi per spostare milioni di voti da un candidato ad un altro.
Un osservatore esterno potrebbe invece ben vedere come il pathos narrativo sia stato in qualche modo orchestrato in queste ultime settimane in maniera quasi filmica, e lo sbocco in una situazione di estrema tensione ne sia il risultato conseguente.

Gli attentati terroristici di inizio mese hanno dato l'allarme. Gli attacchi dialettici di Ahmadinejad hanno creato un clima di forte contrapposizione con lo schieramento avversario. La piazza, intesa come il ribollire delle rivendicazioni giovanili e femministe, soprattutto nei centri urbani come Teheran, ha cominciato a credere al cambiamento non solo come possibile ma addirittura a portata di mano. Nelle riunioni e manifestazioni dell'opposizione circolavano ormai da giorni come reali le voci di brogli. La dichiarazione di Moussavi che si auto-proclama vincitore, giocando in anticipo sulle comunicazioni ufficiali la notte del voto, è stato l'ultimo colpo di scena prima della doccia fredda.

Il risultato di tutto questo è uno scenario da tumulto sociale, se non addirittura da scontro civile. Un canovaccio riscontrabile negli ultimi anni nella destabilizzazione di molti paesi, che hanno portato a volte ai cosiddetti "regime change" (come nelle rivoluzioni colorate in Serbia, Ucraina, Georgia), o a repressioni violente del potere (come in Asia centrale o Africa).
In Iran il contesto è reso ancora più grave dalla situazione internazionale e dalle minacce di guerra che coinvolgono il paese. Ogni evento è reso per questo ancor più acuto e le ripercussioni più delicate.

Il mondo occidentale ha ormai il suo tiranno, senza se e senza ma: il suo nome è Ahmadinejad.
Le prime reazioni da Israele, dietro il tenore preoccupato, sembrano grida esultanti. Il vice-ministro degli Esteri, Danny Ayalon, ha dichiarato: "Se anche ci fosse stata un'ombra di speranza, la rielezione di Ahmadinejad è giunta a dimostrare una volta di più la crescente minaccia rappresentata dall'Iran, ai cui programmi nucleari bisogna subito far fronte".

Esplicito anche il vice-premier di Netanyahu, Silvan Shalom, uno dei leader del maggiore partito al governo, il Likud, secondo cui il risultato delle elezioni presidenziali iraniane "sta esplodendo in faccia a chi pensava che l'Iran fosse pronto a un dialogo con il mondo libero, incluso quello sulla cessazione dei suoi piani nucleari" con chiaro riferimento ad Obama ed alle componenti della sua Amministrazione che stanno cercando un dialogo con Teheran.

Riuscirà il popolo iraniano a tenere i nervi saldi, la mente lucida, il cuore limpido? È solo sull'anima nascosta del popolo persiano su cui si può fare affidamento. La sua leadership, in tutti i suoi settori, ci pare troppo implicata e stretta in meccanismi di potere, interni ed internazionali, che la stanno spingendo là dove si vuole che vada.

Un comandante guerrigliero latino-americano ha detto che l'unico modo che ha il popolo di battere il potere è fare sempre ciò che non ci si aspetta da lui. In Iran, oggi, appare quasi impossibile.