venerdì 12 giugno 2009

Gheddafi in Italia: l'Onda imbecille di proteste

Abbiamo assistito ieri all'ennesima conferma di quanto questo Paese sia contraddittorio, confuso, ignorante, ipocrita e senza futuro.
Ed è stato proprio Gheddafi che con il suo discorso al Senato e il suo incontro alla Sapienza ha fatto emergere ancora una volta, e in maniera lampante, queste caratteristiche insite nel DNA italiota.

Oltre alla ridicola e penosa spaccatura all'interno di tutti i partiti tra favorevoli e contrari a concedere l'Aula del Senato a Gheddafi per il suo discorso, l'apice dell'imbecillità si è raggiunta con le proteste degli studenti contro la presenza di Gheddafi all'Università La Sapienza.

Ma c'è da scommettere che la stragrande maggioranza di questi studenti sarà in piazza per protestare contro il prossimo G8 facendo proprie - urlandole a squarciagola - molte delle frasi che ieri Gheddafi ha pronunciato al Senato davanti a un bel pezzo dell'establishment politico italiano.

Un Paese attraversato quindi da un'Onda di imbecillità dentro e soprattutto fuori dal Parlamento. Un Paese senza speranze.


Gheddafi e l'onda dei decerebrati
di Gianni Petrosillo - http://ripensaremarx.splinder.com/ - 12 Giugno 2009

Non si può che essere disgustati dagli attacchi e dalle dichiarazioni di fuoco lanciate da quasi tutto l’arco politico nostrano in opposizione alla visita di Gheddafi in Italia. Si è formato un unico fronte di cani democratici impulciati da tutte le fandonie del politically correct, difensori integerrimi dei diritti umani e delle libere elezioni solo quando si tratta di paesi non perfettamente allineati e non molto graditi all’establishment mondiale a guida USA.

Dal Pd agli ex AN è stato un solo coro di
sdegno per aver accolto il leader libico con tutti gli onori di Stato, mentre, per una volta, dobbiamo dare atto all’ufficio politico del PDCI (che ha parlato per bocca di Paola Pelligrini) di aver detto cose sacrosante: "Una canea indecorosa si è scatenata su giornali e televisioni contro la visita del premier libico Gheddafi: il suo omaggio alla leggendaria figura di Omar Al Muktar, eroe della resistenza anticoloniale contro l’attacco fascista alla Libia, è diventato per alcuni giornali il ricordo di un “antiitaliano"! Una vergogna inaudita per il nostro Paese di fronte ad un ospite che oggi chiede all’Italia il riconoscimento delle sue responsabilità storiche.

In questo quadro diventa
grottesca la posizione del PD, che, rifiutandosi di accoglierlo nell'aula del Senato, ha non solo contribuito al clima di attacco a Gheddafi, ma si è addirittura dimenticato che la politica di dialogo con la Libia e con Gheddafi è stata avviata dai governi di centrosinistra, e cioè da Prodi e D’Alema".

I servi sciocchi proni agli USA e a Israele hanno persino impedito che Gheddafi parlasse in Senato,
temevano che quell’aula di fannulloni e di incapaci fosse dileggiata dalle parole di un Ospite antidemocratico.

Davvero indecorose sono state poi le manifestazioni di protesta degli studenti dell’Onda, una vera
orda di imbecilli che si muove come un gregge di pecoroni. E dire che Gheddafi era sceso dall’aereo accompagnato dall’ultimo erede del Leone del Deserto, eroe anticolonialista del quale il leader libico sfoggiava pure una foto che lo ritraeva incatenato come un animale mentre veniva condotto al patibolo dagli italiani “brava gente”.

Uno di questi studenti con il cervello disimpegnato dall’intelligenza, nell’aula magna della
Sapienza, si è alzato per chiedere a Gheddafi quando consentirà libere elezioni democratiche. Adesso siamo pure tornati al feticcio della democrazia “pura”, quella alla Kautsky contro la quale Lenin si scagliò decisamente denunciandone la natura ingannatoria e fittizia.

Gli studenti vogliono
le libere elezioni e la democrazia senza alcun mutamento nei rapporti sociali e senza mettere in discussione “ l'apparato del potere statale”, quell’egemonia corazzata di coercizione che blinda la divisione tra dominanti e dominati. Non a caso Lenin ribadiva che i dominanti si compiacciono "di definire "libere", "eguali", "democratiche", "universali" le elezioni effettuate in queste condizioni, poiché tali parole servono a nascondere la verità, servono a occultare il fatto che la proprietà dei mezzi di produzione e il potere politico rimangono nelle mani degli sfruttatori e che è quindi impossibile parlare di effettiva libertà, di effettiva eguaglianza per gli sfruttati, cioè per la stragrande maggioranza della popolazione. Per la borghesia è vantaggioso e necessario nascondere al popolo il carattere borghese della democrazia attuale, presentare questa democrazia come una democrazia in generale o come una "democrazia pura", e gli Scheidemann, nonché i Kautsky, ripetendo queste cose, abbandonano di fatto le posizioni del proletariato e si schierano con la borghesia".

Certo il capitalismo odierno non è più borghese ma la sostanza della divisione
tra decisori e non decisori, tra chi si appropria del pluslavoro e chi ne è defraudato non è mutata in nulla. Nello stesso senso vanno attualizzate queste altre asserzioni di Lenin tratte da Democrazia e Dittatura: "Parlare di democrazia pura, di democrazia in generale, di uguaglianza, libertà, universalità, mentre gli operai e tutti i lavoratori vengono affamati, spogliati, condotti alla rovina e all'esaurimento non solo dalla schiavitù salariata capitalistica, ma anche da quattro anni di una guerra di rapina, mentre i capitalisti e gli speculatori continuano a detenere la "proprietà" estorta e l'apparato "già pronto" del potere statale, significa prendersi gioco dei lavoratori e degli sfruttati. Significa rompere bruscamente con le verità fondamentali del marxismo, il quale ha detto agli operai: voi dovete utilizzare la democrazia borghese come un immenso progresso storico rispetto al feudalesimo, ma non dovete nemmeno per un istante dimenticare il carattere borghese di questa "democrazia", la sua natura storicamente condizionata e limitata, non dovere condividere la "fede superstiziosa" nello "Stato", non dovete scordare che lo Stato, persino nella repubblica più democratica, e non soltanto in regime monarchico, è soltanto una macchina di oppressione di una classe su di un'altra classe".

Ma ancora Lenin, questa volta da Stato e Rivoluzione: "La società
capitalistica, considerata nelle sue condizioni di sviluppo più favorevoli, ci offre nella repubblica democratica una democrazia più o meno completa. Ma questa democrazia è sempre compressa nel ristretto quadro dello sfruttamento capitalistico, e rimane sempre, in fondo, una democrazia per la minoranza…".

Del resto, lo vediamo nelle nostre società occidentali quanto valgono democrazia
e le libere elezioni, appuntamenti rituali e senza più alcun senso nei quali siamo chiamati a scegliere chi ci s-governerà meglio senza possibilità di cambiamenti radicali. Già Marx aveva criticato tutti quelli che, anche nel movimento operaio, si facevano stoltamente attirare dalle infauste sirene delle libere elezioni democratiche tramite le quali:“agli oppressi è permesso di decidere, una volta ogni qualche anno, quale fra i rappresentanti della classe dominante li rappresenterà e li opprimerà in Parlamento!”.

Ed invece questi studenti senza cervello hanno chiesto le dimissioni del Rettore della Sapienza
reo di aver concesso l’auditorio a Gheddafi. E non importa se costui ha usato il suo tempo per denunciare le sofferenze inferte dal colonialismo italiano al suo popolo, non importa se si è detto vicino alla gente palestinese che viene sistematicamente angariata e assassinata dai sionisti. Che gliene frega agli studenti, loro vogliono libere elezioni e un altro mondo immaginario per non fare i conti con quello reale.

Farabutti e miserabili, le vostre dimissioni da studenti dovremmo chiedere!


Giusto di passaggio vorrei ricordare quanto importanti siano per il nostro Paese gli accordi
siglati con la Libia. Come detto da Carlo Jean, in un articolo apparso sul Messaggero di ieri, una Libia stabile è fondamentale per l’Italia, tanto per ragioni politiche che economiche: “Importiamo da essa il 25% del nostro petrolio e poco meno del 10% del gas. La Libia dispone di grandi risorse energetiche non completamente sfruttate per le sanzioni alle quali è stata sottoposta. Le nuove tecnologie aumenteranno la sua produzione. Ad esempio quella di petrolio – che oggi è poco più di 2 milioni di barili/giorno – supererà i 3 milioni nel 2015. l’Italia è il primo partner commerciale della Libia, seguita dalla Germania e dal Regno Unito. Se le aspettative riposte nel Trattato dovessero avverarsi, la nostra posizione dovrebbe ancora migliorare. Ma vi è un altro settore per il quale la Libia è molto importante per l’Italia. E’ quello degli investimenti del fondo sovrano libico, che ammonta a 60-100 mld di dollari…la Libia è già presente in Eni e Unicredit. Sono allo studio investimenti in Telecom Italia. Potrebbe intervenire anche nella realizzazione delle grandi infrastrutture previste in Italia…”.
Non ho altro da dire.

Gheddafi dal panarabismo al panafricanismo
di Claudio Mutti* - www.eurasia-rivista.org - 11 Giugno 2009

Consapevole del fatto che un paese con le dimensioni territoriali e demografiche della Libia può garantire stabilmente la propria libertà dal dominio straniero solamente integrandosi in una più vasta unità geopolitica, Gheddafi ha perseguito con ammirevole perseveranza il disegno dell'unificazione politica con altri paesi che condividono con la Libia l'identità araba e islamica. Nel 1972 il governo di Tripoli stipulò con quelli del Cairo e di Damasco un accordo che avrebbe dovuto realizzare una Federazione delle Repubbliche Arabe comprendente Libia, Egitto e Siria.

In particolare, la Libia avviò con l'Egitto una serie di negoziati intesi ad accelerare l'unione politica tra i due paesi. Nei quindici anni successivi furono intrapresi analoghi tentativi nei confronti della Tunisia, del Ciad, del Marocco, dell'Algeria e del Sudan, ma nessuno approdò a buon fine. Nel 1989, un trattato siglato da Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Mauritania dava vita all'Unione del Maghreb; ma dopo qualche anno anche questo tentativo finì in un vicolo cieco.
Dai fallimenti con cui si sono puntualmente conclusi tutti questi tentativi, e dall'inettitudine delle classi politiche arabe a dare risposte chiare sulla Palestina e sull'Iraq, Gheddafi ha tratto conclusioni molto pessimistiche per quanto riguarda le istituzioni del mondo arabo. In un'intervista rilasciata nel 2002 alla televisione di Abu Dhabi, disse testualmente: "La Lega Araba non è altro che un giochetto per bambini, ed è bene ricordare che la Libia ha definitivamente rotto ogni legame con gli Arabi".

Era già nato "Gheddafi l'Africano". " 'Gheddafi l'Africano' nasce ufficialmente nel 1999 a Sirte, con la firma del Patto istitutivo dell'Unione Africana, confermato due anni dopo nella stessa città; l'Unione Africana, passando per la comunità degli Stati sahel-sahariani, è praticamente farina del sacco di Gheddafi, passata al setaccio mentre s'infrangeva l'assedio ai suoi danni. Dalla Sirte al Capo, uno spazio sterminato in cui muoversi con maggior disinvoltura che in un mondo arabo infido e saturo di primedonne, proponendosi così come mediatore nei conflitti interafricani. Se non si tratta di una strategia estemporanea del colonnello, l'idea di unire il Continente Nero apre delle prospettive interessanti anche per l'Europa. E' qui il caso di accennare all'Eurafrica, una visione geopolitica frutto delle riflessioni coloniali italiane degli anni Trenta che, spogliata degli elementi più anacronistici, potrebbe essere aggiornata nell'interesse delle popolazioni dei due continenti, con la Libia di nuovo al centro della scena. Il vertice Africa-Europa tenutosi al Cairo il 3-4 aprile 2000 e quello dei capi di governo euro-africani che la Grecia [ha ospitato] nel 2003 sono un segnale che qualcosa in questa direzione si sta muovendo. Un fatto è innegabile: l'Africa ha restituito le luci della ribalta a Gheddafi" (Enrico Galoppini, Tripoli bel suol d'affari, "Limes", X, 5 (2002), p. 132).

Tra il giugno e il luglio del 2007, nel corso di una visita ufficiale in alcune capitali africane, Gheddafi ha avanzato ripetutamente la proposta di intraprendere passi decisivi per gettare le basi di un'integrazione politica continentale. "Dobbiamo costruire un solo, potente governo africano, un esercito con due milioni di soldati, una moneta, un'identità africana, un passaporto africano. (...) L'Organizzazione dell'Unità Africana (organismo che ha preceduto l'Unione Africana, ndr) ha fallito, il consiglio dei ministri africani ha fallito, il parlamento africano è un parlamento inutile. (...) In Africa non siamo stati capaci di creare un governo unitario, né alcuno strumento che possa realizzare i nostri obiettivi. (...) Le masse popolari vogliono strade, ponti, sanità, istruzione, agricoltura, acqua ed elettricità. Come realizzare tutto ciò? Creando una vasta unione, ampi spazi, grandi mercati; anche l'Europa può assicurare la propria sopravvivenza solo grazie all'unione". Sul fenomeno migratorio: "Io vedo davanti a me dei giovani che vogliono andare in Europa transitando per la Libia. Perché volete andare in Europa? Dobbiamo decidere di vivere e morire nei nostri paesi. Tutto ciò deve finire, grazie alla creazione degli Stati Uniti d'Africa".

Nella politica africana della Libia, un ruolo particolare è stato assegnato al Portogallo, che viene considerato come il pilastro europeo per il dialogo con l'Unione Africana. Non a caso, Lisbona è una delle capitali europee in cui Gheddafi si è recato in visita ufficiale, circa un anno fa. La Libia non solo intende intensificare i suoi investimenti nel settore turistico e immobiliare portoghese; non solo si è accordata col Portogallo per dar vita a progetti congiunti nel settore petrolifero e petrolchimico. Una cosa particolarmente interessante è che la Libia intende sfruttare l'esperienza acquisita dai Portoghesi in Africa nel periodo coloniale, e ciò al fine di avviare progetti congiunti libico-portoghesi nel Continente Nero, soprattutto nei settori d'interesse comune (istruzione, sanità, infrastrutture, energia, turismo). Un ruolo analogo, a quanto pare, la Libia vorrebbe riservare alla Spagna.

*Dalla relazione presentata al Seminario di Eurasia tenuto a Reggio Emilia il 25 ottobre 2008



La Libia e il Mediterraneo
di Claudio Mutti* - www-eurasia-rivista.org - 11 Giugno 2009

Nel X secolo, il geografo arabo Ibn Hawkal, nell'opera Kitâb al-masâlik wa 'l-mamâlik ("Il libro degli itinerari e dei regni") chiama il Mediterraneo Bahr ar-Rûm ("Mare dei Romani", cioè dei Bizantini e dei popoli dell'Europa cristiana). Fino al XIX secolo, gli Arabi hanno indicato il Mediterraneo come Bahr ar-Rum, oppure come Bahr ash-Shâm ("Mare della Siria", vale a dire "della Siria e del Libano"). Nel 1848, in un'opera dello scrittore egiziano Refâ'at at-Tahtawî (Takhlîs al-ibrîz fi talkhîs Bârîs, "Raffinazione dell'oro puro nel resoconto da Parigi"), compare una nuova definizione: al-Bahr al-Abyad al-Mutawassit, "Mare Bianco Intermedio". Questa denominazione araba vuole esprimere la medesima idea di medietà, di centralità e di appartenenza comune che sta all'origine dell'aggettivo latino mediterraneus, -a, -um. Ci troviamo così di fronte a un importante mutamento di prospettiva nella visione araba del Mediterraneo, che nell'Ottocento comincia ad essere considerato come un mare "che sta in mezzo" a due sponde e a due civiltà.

E' stato detto che nella teoria e nella prassi politica degli Stati arabi la prospettiva mediterranea è assente, e che solo paesi filoccidentali come la Tunisia di Burghiba e l'Egitto di Sadat hanno manifestato, in una certa misura, una visione mediterranea. Per spiegare questa renitenza araba a concepire una dimensione geopolitica mediterranea, sono state addotte due spiegazioni.
Si è detto che i paesi arabi, essendo stati oggetto di una colonizzazione esercitata in parte da potenze mediterranee (Spagna, Francia, Italia) o comunque arrivate da nord attraverso il Mediterraneo (Inghilterra), hanno girato le spalle al Mediterraneo per riconfermare un'appartenenza continentale e un'identità culturale che li distinguessero dall'Europa. Insomma, pensarsi come mediterranei avrebbe significato, per gli Arabi, condividere una rappresentazione legata al passato coloniale. Non a caso i colonizzatori francesi dell'Algeria dicevano che "il Mediterraneo attraversa la Francia come la Senna attraversa Parigi"; e gl'Italiani, analogamente, che "la Libia è separata dall'Italia soltanto dal Mediterraneo, così come le due parti di Roma sono separate dal Tevere".

Gheddafi esprime una visione molto diversa, allorché dichiara testualmente: "La terra libica araba non è mai stata la quarta sponda dell'Italia, così come non sarà mai una parte dell'Europa" (Al-sijil al-qawmî, Bayânât wa khutab wa ahâdîth al-'aqîd Mu'ammar al-Qadhdhâfî, "Registro Nazionale, Dichiarazioni, discorsi e interviste del colonnello Mu'ammar Gheddafi", vol. annuo, n. 17, 1985-1986, Centre Mondial des Etudes et Recherches du Livre Vert, Tripoli 1986, p. 949).
Tuttavia Gheddafi non si ferma qui. L'idea di una contrapposizione tra l'Europa e il mondo arabo viene superata dall'idea di un condominio euro-arabo del Mediterraneo, un condominio che deve essere esercitato soltanto dall'Europa e dai paesi arabi rivieraschi. "Il Mediterraneo - diceva Gheddafi una ventina d'anni fa - è un mare condiviso tra Arabi ed Europei. Quanto agli intrusi, questi lo devono abbandonare. (...) I sionisti sono degli intrusi e devono abbandonare questa regione, come pure sono degli intrusi gli americani, che devono andarsene dal Mediterraneo" (Al-sijil al-qawmî, Bayânât wa khutab wa ahâdîth al-'aqîd Mu'ammar al-Qadhdhâfî, "Registro Nazionale, Dichiarazioni, discorsi e interviste del colonnello Mu'ammar Gheddafi", vol. annuo, n. 17, 1985-1986, Tripoli 1986, Centre Mondial des Études et Recherches du Livre Vert, p. 948).
E ancora: "La Libia si è associata ai paesi che esigono che il Mediterraneo sia libero dalla presenza di flotte straniere, in modo che esso ridiventi un mare di pace al servizio di tutti i popoli rivieraschi" (Kadhafi, messager du désert, Biographie et entretiens par Mirella Bianco, Stock, Paris 1974).

Non si può negare che Gheddafi sia stato coerente rispetto a queste dichiarazioni di oltre trent'anni fa. Nel 1995 ha rifiutato il partenariato euro-mediterraneo della Conferenza di Barcellona, perché vi era stato chiamato a partecipare lo "Stato d'Israele" e aderirvi avrebbe significato riconoscere l'occupazione della Terra Santa. Ancora nel luglio di quest'anno,si è pronunciato in maniera molto recisa contro la cosiddetta "Unione per il Mediterraneo" lanciata da Sarkozy. Il quale, come è noto, vorrebbe procedere all'istituzione di un partenariato euro-mediterraneo che coinvolgesse i 27 Stati membri dell'Unione Europea, quelli che aspirano ad entrarvi (Albania, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro), il Principato di Monaco, la Turchia, i Paesi arabi della sponda orientale e meridionale del Mediterraneo, fino alla Mauritania, nonché lo "Stato d'Israele".

Ma l'Unione per il Mediterraneo, ideata da un presidente francese che ha seppellito il gollismo riportando la Francia nella NATO e la NATO in Francia, nascerebbe innervata dalle istituzioni e dalle infrastrutture militari di un'alleanza militare controllata dagli Stati Uniti.
Ebbene Gheddafi, nonostante il riavvicinamento della Libia agli Stati Uniti e nonostante l'accordo di cooperazione militare-industriale, culturale, scientifica e tecnica siglato un anno fa con la Francia (accordo che tra l'altro dovrebbe fornire alla Libia un reattore nucleare per trasformare l'acqua marina in acqua potabile), è stato molto duro nei confronti dell'iniziativa francese, individuando in essa un cavallo di Troia statunitense, con l'Europa ridotta, more solito, a un ruolo subalterno.

Tra l'altro, la Libia condanna l'esclusione dell'Unione del Maghreb Arabo dal progetto di Unione del Mediterraneo e vorrebbe che fosse questo organismo unitario a rappresentare ufficialmente tutti i paesi del Maghreb nelle sedi internazionali. Una esplicita freddezza, d'altronde, e probabilmente per motivi analoghi, è stata manifestata anche dall'Algeria, nonché da un altro paese mediterraneo che si va lentamente e cautamente svincolando dalla tutela statunitense, cioè la Turchia.

Questa aspirazione alla libertà del Mediterraneo dall'intrusione straniera, con le acute tensioni che hanno contrapposto la Libia agli Stati Uniti, può contribuire a spiegare alcune passate dichiarazioni di Gheddafi che sono state intese come rivendicazioni territoriali su alcune isole dell'Italia o come tentativi di attizzarvi tendenze separatiste. "Io - diceva Gheddafi nel 1987 - sono un amico del popolo italiano e delle popolazioni di Lampedusa, della Sicilia e di Pantelleria, e mi auguro che queste isole siano indipendenti, a meno che lo Stato italiano non voglia offrire la Sicilia all'inferno americano. (...) Quanto a noi, auguriamo la pace al popolo della Sicilia, un popolo che per la sua sicurezza deve smantellare le basi americane sull'isola. Abbiamo bombardato Lampedusa con dei missili e abbiamo distrutto la stazione di telecomunicazioni appartenente alla Sesta Flotta americana perché Lampedusa è stata usata come base contro di noi".

In effetti, gli USA bombardarono la Libia utilizzando Lampedusa: il coordinamento tra la Sesta Flotta e gli aerei dell'USAF decollati dall'Inghilterra venne effettuato per mezzo del sistema Beacon della base statunitense installata sull'isola.

Insomma, quelle che a volte sono sembrate rivendicazioni territoriali su alcune italiane, in realtà sono state il prodotto del rapporto conflittuale fra Libia e Stati Uniti. Come è stato fatto osservare qualche anno fa da un analista particolarmente informato, "leggendo al-Sigil al-qawmî [il "Registro Nazionale" dei discorsi, delle dichiarazioni e delle interviste di Gheddafi] notiamo che Gheddafi, ogniqualvolta parla dell'Italia o delle isole italiane, stabilisce un collegamento con la presenza americana o NATO sul territorio italiano. Considera insomma quelle isole come soggette all'occupazione 'atlantica' NATO" (Africanus, Geopolitica di Gheddafi: realismo travestito da stravaganza, "Limes", 2/1994, p. 114).

Si capisce perciò come la politica della Libia nei confronti dell'Italia non abbia potuto prescindere dalla presenza militare statunitense nella Penisola, presenza che a Tripoli viene percepita come una minaccia costante per la sicurezza libica. Come risposta a questa minaccia, Gheddafi ha dichiarato che, nel caso di un futuro scontro militare fra Libia e USA, la Libia non esiterà a bombardare le isole dell'Italia. "Il popolo della Sicilia, fratello ed amico, - disse testualmente nel 1986 - deve far smantellare le basi americane di cui l'isola è piena, basi che noi attaccheremo in caso di aggressione. (...) Agli abitanti di Lampedusa diciamo che distruggeremo totalmente l'isola in caso di aggressione americana contro di noi. Oppure siano loro, gli abitanti di Lampedusa, a costringere gli americani ad andarsene".

Al di là dei discorsi di questo tenore, lo scopo sostanziale di Gheddafi è di far in modo che il governo di Roma attenui la sua subordinazione nei confronti degli USA. Rientra in questa strategia anche la recente divulgazione, fatta da Gheddafi, del contenuto dell'articolo 4 del "Trattato di Amicizia, partenariato e cooperazione" siglato fra Italia e Libia. L'articolo 4 stabilisce che "Nel rispetto dei princìpi di legalità internazionale, l'Italia non userà o non consentirà l'uso dei propri territori nell'eventualità di un'aggressione contro la Libia" e che la Libia si impegna a fare altrettanto nei confronti dell'Italia. Gheddafi ha anche precisato che Tripoli ha chiesto all'Italia l'assicurazione che "né gli Stati Uniti né la NATO usino i territori italiani contro la Libia".

I contenuti del Trattato sono noti. L'Italia riconosce formalmente le sofferenze derivate alla popolazione libica dall'occupazione coloniale iniziata con l'impresa giolittiana del 1911 e proseguita fino al 1943 e si impegna a risarcire la Libia versandole 5 miliardi di dollari nei prossimi 25 anni. È quindi prevista una serie di investimenti italiani, grazie ai quali saranno portati a termine diversi progetti: la costruzione di una grande autostrada litoranea che ricalcherà la vecchia Via Balbia (la prima grande strada italiana in Africa, che unificò la Tripolitania e la Cirenaica), la costruzione di numerose infrastrutture lungo il tragitto, la costruzione di due grandi ospedali, la predisposizione di un piano di miglioramento scolastico con borse di studio per studenti libici in Italia.

Dietro tutto ciò vi sono ovviamente le grandi imprese edili ed energetiche; proprio l'anno scorso l'ENI ha ottenuto il rinnovo per 25 anni delle concessioni per l'estrazione di gas e petrolio. Altri lavori coinvolgeranno l'Impregilo e la Finmeccanica e perfino l'Università di Palermo, che ha instaurato rapporti con quella di Bengasi.

Qualche passo in avanti è stato fatto anche per la restituzione dei visti ai 20.000 coloni italiani espulsi dalla Libia (anche se i rimpatriati non sono del tutto concordi con la scelta del governo).
Infine, la guerra ai "mercanti di schiavi", da effettuare attraverso pattugliamenti congiunti italo-libici nel canale di Sicilia e l'intensificazione dei controlli, anche a mezzo radar, ai confini col Ciad, il Niger e il Sudan.

Non ci sarebbe nulla di cui scandalizzarsi per la clausola relativa ad un patto di non aggressione tra due Stati, anzi. E invece, da parte dell'opposizione parlamentare sono giunte richieste di chiarimenti ed esortazioni a non dimenticare che l'Italia è un paese membro dell'Alleanza Atlantica e della NATO. Alle perplessità espresse in Italia dal Partito Democratico hanno fatto immediatamente seguito alcuni avvertimenti mafiosi arrivati dall'altra sponda dell'Atlantico. Daniel Pipes, famigerato "falco" neocon e filosionista, ha subito messo in guardia il governo italiano a non indebolire il fronte occidentale. "Come Putin cerca di indurre i Paesi europei che più dipendono da petrolio e gas russi a prendere le distanze da noi [cioè dagli USA], così Gheddafi cerca di indurvi a stare dalla sua parte nel caso di un nuovo scontro con l'America. Avete firmato un accordo non solo commerciale ma politico".

Insomma, sembra di capire che i trattati sottoscritti dall'Italia nel 1949 e nel 1954 impediscano ai governi italiani di garantire che il territorio nazionale non venga utilizzato - dagli alleati della NATO o da uno di essi - per operazioni militari dirette contro la Libia. Tuttavia non mancano precedenti interessanti: nel 1986, quando gli USA, dopo le loro provocazioni nel Golfo della Sirte e l'abbattimento di due aerei libici, bombardarono Tripoli e Bengasi per vendicare un attentato attribuito ai Libici e causarono decine di vittime tra la popolazione civile libica, aerei FB-111 dell'USAF decollati dall'Inghilterra dovettero raddoppiare il percorso e la durata dei voli, perché la Francia e la Spagna, che pure aderivano al Patto Atlantico, avevano negato agli aerei statunitensi l'uso del loro spazio aereo. Non è escluso che Gheddafi, facendo cenno al contenuto dell'articolo 4 del recente Trattato, si riferisse al comportamento autonomo tenuto ventidue anni fa da Parigi e Madrid.

In maniera che potrà apparire paradossale e contraddittoria a chi attribuisca un valore sostanziale alle classificazioni basate sulle categorie parlamentari di "destra" e di "sinistra", firmando il Trattato con la Libia il governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi ha preso un indirizzo che, fatte le dovute proporzioni, ricorda la politica mediterranea di alcuni uomini dei governi di centrosinistra: Moro, Andreotti, Craxi. In realtà, al di là di etichette che significano poco o nulla, il governo attuale ha ripreso una linea politica corrispondente alla posizione geografica di un Paese che, come il nostro, si trova letteralmente immerso nel Mediterraneo.

D'altra parte, esiste per l'Italia la necessità di assicurarsi fonti di approvvigionamento energetico, per cui la politica italiana, di destra o di sinistra, non dovrebbe prescindere da un oggettivo dato geografico: l'immediata vicinanza di due potenze energetiche quali l'Algeria per quanto riguarda il gas e la Libia per quanto riguarda il petrolio.

*Dalla relazione presentata al Seminario di Eurasia tenuto a Reggio Emilia il 25 ottobre 2008