mercoledì 10 giugno 2009

Libano: l'obbligo di un governo di unità nazionale

Si sono svolte domenica scorsa in Libano le elezioni per il rinnovo del Parlamento.
Ha vinto la coalizione "14 Marzo" guidata da Saad Hariri che ha conquistato 71 seggi su 128, mentre la coalizione "8 Marzo", capeggiata da Hezbollah, ha ottenuto i restanti 58.

Tutti hanno riconosciuto l'esito elettorale e dalle prime parole pronunciate a caldo sembra profilarsi la formazione di un governo di unità nazionale, guidato con ogni probabilità da Saad Hariri. Non sarà affatto facile riempire tutte le caselle del puzzle ma è la strada obbligata per un Paese che non vuole ripiombare di nuovo nell'abisso di un'altra sanguinosa guerra civile.

Il presidente della Repubblica, il cattolico maronita Michel Suleiman, ha detto infatti che non ci saranno ostacoli alla formazione di un nuovo esecutivo e che questo sarà "un governo di unità nazionale".
L’ex generale cristiano-maronita Michel Aoun ha subito dichiarato "Abbiamo perso. Accettiamo il risultato come la volontà del popolo libanese". E il suo partito, il Libero Movimento, ha poi diramato un comunicato ufficiale nel quale afferma che "Il voto mostra una vittoria per la coalizione del 14 marzo e mostra una sconfitta per i libanesi che avevano sperato in un cambiamento in questo Paese. Il Libano può essere governato solo da un governo di unità nazionale. Anche se avessimo vinto noi avremmo formato un governo di unità nazionale".

Anche il druso Walid Joumblatt, membro della maggioranza parlamentare, ha salutato come positivo il discorso del leader di Hezbollah Nasrallah, che ha subito riconosciuto la vittoria della coalizione "14 Marzo", esaltando l'importanza dell'unità.
Mentre il parlamentare di Hezbollah, Hadsan Fadlallah ha detto che "Nessun partito può affermare di aver vinto la maggioranza in tutte le comunità. Quel che ci importa è che il Libano apre una nuova pagina basata sulla cooperazione e l’intesa [...] La specificità del Libano sta nella sua diversità e non c’è una maggioranza o una minoranza".

Naturalmente si sono già aperte le danze e ognuno alza il prezzo della propria partecipazione al prossimo governo.
Ad esempio, Sulejman Franjieh, leader cristiano maronita libanese a capo del movimento Marada dell'opposizione, ha detto ieri che senza un governo di unità nazionale in cui l'opposizione abbia un terzo dei ministri, l'opposizione non accetterà una presenza nell'esecutivo.
Mentre Joumblatt ha rifiutato l'idea di un governo di unità nazionale in cui l'opposizione abbia il diritto di veto.

Dal suo canto, Hezbollah non ha alcuna intenzione di rinunciare alla propria identità. Infatti Mohammad Raad, altro deputato di Hezbollah, ha precisato che gli arsenali di armi delle milizie sciite non costituiscono una questione "negoziabile" con il nuovo esecutivo libanese e sono "legittimi". Inoltre secondo Raad "la maggioranza si deve impegnare a considerare Israele come un nemico". E Saad Hariri sembra aver subito recepito il chiaro messaggio di Hezbollah.

Insomma, si sta cominciando a ballare e tutti sono obbligati a farlo insieme.


Libano: Hezbollah non sfonda, vincono i filo-occidentali di Hariri

di Osservatorio Iraq - 8 Giugno 2009

Ribaltando i pronostici della vigilia, a vincere le elezioni libanesi sono state le forze del “14 marzo”, la coalizione filo-occidentale guidata da Saad Hariri.

In attesa dei risultati ufficiali, Hariri ha celebrato la vittoria, parlando di "un grande giorno per la storia del Libano democratico".

Di vittoria "storica" ha parlato anche il quotidiano vicino alla maggioranza al-Moustaqbal, secondo cui le forze del 14 marzo hanno ottenuto 71 seggi parlamentari su 128, contro i 57 conquistati dall’opposizione.

Il primo a riconoscere la sconfitta tra le forze di opposizione è stato il Movimento patriottico libero (Cpl), il partito cristiano guidato da Michel Aoun, che ha parlato di “una sconfitta per i libanesi che aspirano al cambiamento".

Stamattina è arrivato anche il riconoscimento di Hezbollah, la principale forza dell’opposizione libanese, legata a Siria e Iran. “I lealisti si aggiudicano la maggioranza dei seggi in Parlamento e l'opposizione riconosce il risultato”, ha dichiarato la televisione del partito sciita al-Manar.

Unità nazionale?

Nei prossimi giorni la discussione si concentrerà inevitabilmente sull’assetto del futuro governo.

Michel de Chadarevian del Cpl ha sottolineato ai microfoni della Agence France Presse che "il Libano può essere governato solo da un governo di unità nazionale" e che le forze dell’opposizione lavoreranno con la maggioranza per la formazione del nuovo esecutivo.

Anche il segretario della Lega araba, Amr Moussa, approva l'ipotesi di un governo di coalizione, definito "la scelta migliore" per il Libano.

Segnali di apertura, in questo senso, arrivano anche dalla maggioranza, che ieri sera, per bocca del leader druso Walid Jumblatt, ha fatto sapere di essere favorevole all’inclusione dell’opposizione nel futuro governo.

Il blocco di Hariri, tuttavia, esclude fermamente la possibilità di cocedere all'opposizione il potere di veto, così come avveniva invece nel governo uscente.

Un nodo, questo, che come ha scritto il quotidiano as-Safir, vicino a Hezbollah, rischia di condurre il Libano verso una nuova crisi politica.

Affluenza record

Il voto di ieri sarà ricordato nella storia del Libano anche per l’affluenza, che ha raggiunto il tasso del 54,08 per cento, record dell’ultimo ventennio.

Le procedure elettorali si sono svolte per lo più in maniera regolare. Secondo l’esercito di Beirut, si sono registrati solo 123 incidenti minori.

Circa 200 osservatori internazionali – per lo più provenienti dal Centro Carter – hanno monitorato il voto.


Elezioni in Libano, gli USA tirano un sospiro di sollievo

Reuters - 9 Giugno 2009 - Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq

La vittoria delle forze filo-occidentali nelle elezioni libanesi rappresenta un sollievo per l’amministrazione Usa, risparmiandogli una fastidiosa decisione su come trattare con una coalizione guidata da Hezbollah, la formazione sostenuta da Iran e Siria.

Secondo il ministero degli Interni libanese, a sorpresa il blocco anti-siriano di Saad al-Hariri ha conquistato 71 dei 128 seggi parlamentari, contro i 57 dell’alleanza di opposizione che mette assieme i partiti sciiti Hezbollah e Amal con il leader cristiano Michel Aoun.

Prima delle elezioni di domenica, fonti ufficiali statunitensi, a partire dal vicepresidente Joe Biden, avevano chiarito l’intenzione di riconsiderare gli aiuti Usa, in particolar modo alle forze armate libanesi, nel caso in cui Hezbollah e i suoi alleati avessero avuto la meglio sull’alleanza politica anti-siriana "14 marzo".

Gli Stati Uniti hanno formalmente nominato Hezbollah "organizzazione terroristica straniera", uno status che impedisce l’assistenza statunitense al gruppo o ai suoi membri.

"La buona notizia per Washington è che non vi sarà bisogno di mutare politica dal punto di vista formale e sostanziale", ha detto Bilal Saab, esperto libanese presso la Brookings Institution, un think tank che consiglia l’amministrazione Usa sul Libano.

"Non si stapperà lo champagne... ma di sicuro verranno tirati dei sospiri di sollievo", ha aggiunto Saab.

"Ci sono molte cose di cui compiacersi", ha detto ai giornalisti una fonte ufficiale del dipartimento di Stato, parlando a condizione di restare anonima. "Naturalmente, siamo contenti del fatto che la maggioranza del 14 marzo sia riuscita a prevalere".

Il presidente Usa Barack Obama ha dichiarato che gli Stati Uniti "continueranno a sostenere un Libano indipendente e sovrano" – una dichiarazione che, secondo i funzionari Usa, indica che, con tutta probabilità, gli aiuti statunitensi continueranno ad arrivare in Libano.

Tuttavia, fonti ufficiali Usa hanno detto che tali decisioni non verranno prese fino a quando non sarà formato il nuovo governo e non saranno decise le sue politiche – e priorità.

A partire dall’assassinio dell’ex primo ministro Rafiq Hariri nel 2005, gli Stati Uniti hanno consegnato all’esercito libanese oltre 500 milioni di dollari, nel tentativo di rimettere in piedi un’istituzione consumata da decenni di lotte confessionali e ingerenze straniere.

Dura contrattazione

L’assassinio (di Hariri, ndt) ha scatenato proteste internazionali che hanno portato la vicina Siria a mettere fine alla sua presenza militare in Libano, durata 29 anni, e hanno portato all’affermazione dell’alleanza 14 marzo guidata da Saad Hariri, il figlio di Rafiq Hariri.

L’alleanza prende il nome dalla data di una grossa manifestazione di protesta contro la presenza militare della Siria, tenuta nel 2005.

La vittoria del blocco 14 marzo apre la strada a una dura contrattazione tra tutti i partiti per la formazione di un governo nazionale di consenso e per decidere se Hezbollah riceverà il potere di veto, così come ha chiesto.

Gli analisti dicono che è probabile che Hezbollah ottenga quello che vuole, sostenendo che se così non fosse ciò potrebbe far presagire un lungo stallo e a possibili violenze.

"Sarà molto difficile andare avanti senza ottenere la formazione di qualche tipo di governo di consenso, che per estensione... implica che Hezbollah vorrà un potere di veto. La mia sensazione è che ciò sarà necessario al fine di portarli all’interno del governo", ha dichiarato l’analista per il Medio Oriente e il Nord Africa Mona Yacoubian del think tank governativo United States Institute of Peace.

"In caso contrario, credo che ritorneremmo a una sorta di pericolosa paralisi", ha aggiunto Yacoubian.

"La mia opinione è che ci troviamo in una fase di pericolo", ha dichiarato Elliott Abrams, analista del Council on Foreign Relations, think tank vicino al Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca durante il mandato dell’ex presidente George W. Bush.

"Avendo perso le elezioni, Hezbollah adesso dipende dalla sua forza come organizzazione terroristica per ricordare ai libanesi il suo potere, e il pericolo è che farà qualcosa per ricordare loro che è ancora... il singolo soggetto più potente del Libano", ha aggiunto Abrams.

Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha detto di avere accettato i risultati elettorali "con fair play e in maniera democratica".

Diversi analisti hanno messo in guardia dal ritenere la vittoria del blocco 14 marzo come una pesante battuta d’arresto per Iran e Siria.

"Bisogna fare attenzione a non esagerare con questa lettura. L’Iran non è superman e gli Stati Uniti non sono privi dei propri interessi e risorse", ha detto Jon Alterman, direttore del programma Medio Oriente presso il Center for Strategic and International Studies di Washington.

"Non penso che si tratti di altro che la fine di un round, non è una sconfitta decisiva per nessuno", ha aggiunto.


Buongiorno, Beirut

di Erminia Calabrese - Peacereporter - 8 Giugno 2009

Ore 12. I quartieri di Beirut oggi sono deserti. Pochissimi i negozi e i caffè aperti, a parte qualche edicola che espone gli ultimi titoli dei quotidiani locali sui risultati elettorali.

Dopo la tensione manifestatasi ieri sera, soprattutto in quei quartieri misti dove vivono sunniti, sciiti e cristiani, oggi Beirut è avvolta dalla calma. Una calma che sembra quasi insospettire chi conosce bene questa città. All'indomani delle elezioni legislative e della vittoria della coalizione del 14 marzo, capeggiata da Saad Hariri, le strade della città non sono attraversate da sfilate di automobili, bandiere di partito e musica ad alto volume, né le forze politiche vincitrici hanno organizzato un festival per celebrare la vittoria, come di solito fanno.

A parte i pochi festeggiamenti della notte scorsa soprattutto a Koreitem, quartier generale di Hariri nel cuore di Beirut e a Sassine, dove la battaglia nel fronte cristiano si è conclusa con la sconfitta di Aoun, oggi sono solo dei rari fuochi d'artificio ad interrompere il silenzio in cui la città è immersa.
L'amarezza tra i partigiani di Aoun è forte. ''Abbiamo perso'', dice Fuad, 24 anni, tornato nel suo appartamento a Piazza Sassine dalla regione dove ha votato. ''Non me l'aspettavo, giuro''. ''Il generale ha sbagliato forse sulla scelta dei candidati qui a Sassine'', continua Jumana, 26 anni anche lei di Byblos. ''Anche se nella regione di Byblos e Kesserwan Aoun ha conquistato tutti i seggi a livello nazionale è una sconfitta, bisogna ammetterlo'', conclude Fuad.

A Zarif, quartiere a maggioranza sunnita di Beirut, alcuni uomini seduti dinanzi alla sede del partito Mustaqbal di Hariri, bruciato il 7 maggio dell'anno scorso durante gli scontri tra maggioranza e opposizione, così commentano i risultati elettorali: ''E' una vittoria certo, abbiamo vinto ma bisogna ora lavorare per poter costruire un Paese'', dice Maher, mentre beve una tazza di caffè. ''Lo sheikh Saad Hariri saprà risollevare il paese dallo stallo di questi anni, inshallah'', conclude Mohammad, un uomo di cinquant'anni mentre legge il giornale al-Moustaqbal.
Nessuno sembra aver paura di possibili scontri o problemi che potrà attraversare il paese. In molti sono convinti che non si ritornerà alle violenze del 7 Maggio del 2008 e che non ci sarà una nuova guerra. ''Non ci sarà nessun problema dice Samaha, 27 anni, ''qualche scaramuccia si ma non credo che si arriverà alle armi''. ''Oggi è un grande giorno. Spero che queste elezioni e la maggioranza al governo possa risolvere i problemi di questo paese'', afferma Ali, 24 anni.

La rabbia è più forte tra i partigiani di Amal. Ahmad, 27 anni racconta: ''Hanno governato il paese per 19 anni e non hanno fatto che aumentare il debito pubblico libanese. Se avesse vinto l'opposizione avremmo potuto metterli alla prova, avviare delle riforme, non è andata così purtroppo, conclude amareggiato. Mohammad 55 anni, taxista, commenta: ''Non cambierà niente. Ieri non ho neanche votato. Sino a quando questo paese sarà governato dalle stesse famiglie e il sistema sarà confessionale io non voterò, sarebbe un voto perso", racconta, mentre da Sassine scende verso Hamra.

Intanto circolano già le primi voci di un possibile imbroglio nello spoglio delle schede elettorali del distretto del Metn, altro enclave cristiano, i cui risultati sono stati dati solo pochi minuti fa, attribuendo a Sami Gemayel, figlio di Pierre Gemayel ex presidente della Repubblica e leader del partito delle falangi libanesi e Michel Murr, ex primo ministro del paese la maggioranza dei voti. ''Hanno tardato molto a dare i risultati non ci crediamo, conosco bene questa regione'', commenta Amer, 30 anni. Per ora comunque il Libano sembra essere in attesa.


Intervista a Saad Hariri

di Lorenzo Cremonesi - Il Corriere della Sera - 10 Giugno 2009

È davvero pronto a turarsi il naso e in nome della pacificazione libanese creare un governo di unità nazionale con Hezbollah, il "Partito di Dio" sciita tra i cui ranghi potrebbero militare gli assassini di suo padre? Saad Hariri tira un lungo sospiro prima di parlare. Lo sa bene che questa è la domanda più delicata, allo stesso tempo al cuore della politica del Libano e più drammaticamente personale. Poi risponde. E lo fa con voce pacata, misurata, soppesando bene le parole. «L’unità e la stabilità del Paese prima di tutto. Esiste un tribunale internazionale che sta investigando sulla morte di mio padre, Rafiq Hariri, quattro anni fa. Ecco perché non ho obiettato poche settimane fa al rilascio di quattro generali sospettati. Quando arriverà il verdetto agirò di conseguenza. Non voglio anticiparlo. E alla fine chiunque sarà incriminato non dovrà vedersela solo con me, ma con tutta la comunità internazionale. Prima che venisse istituito quel tribunale noi avevamo puntato il dito contro la Siria. Ma poi abbiamo deciso di attendere. È stato difficile restare in silenzio. Ho sacrificato tantissimo in questi quattro anni e non lascerò che un articolo sui media o una diceria diffusa ad arte di tanto in tanto possano politicizzare i lavori del tribunale e la ricerca della verità».

È il momento più difficile di questa intervista rilasciata nel suo studio ad Hamra, nel cuore di Beirut, meno di 48 ore dopo la chiusura dei seggi. Solo un paio di anni fa avrebbe risposto in modo molto più impulsivo. Ma Saad Hariri ha imparato a fare politica. A 39 anni viene platealmente indicato come il prossimo premier del Paese dei Cedri. E lui lo dice chiaramente: «Sono pronto ad assumere le mie responsabilità». Le preoccupazioni sono tante. Nel suo ufficio spiegano le sue diffidenze nei confronti delle ingerenze iraniane, del fondamentalismo islamico e del ruolo di Hezbollah. «Che alle elezioni vinca Ahmedinejad o Musavi per noi cambia poco», dicono.

Governo monocolore con il blocco filo-occidentale del "14 marzo" o di unità nazionale con l' "8 marzo" pro-iraniano e siriano?
«Ho già detto che reputo necessario stringerci reciprocamente la mano. Intendo lavorare per unificare il Libano, assopire i conflitti, lenire le divisioni. Dobbiamo impegnarci per scoprire i punti in comune e lasciare le differenze al tavolo dei negoziati, che in ogni caso saranno lunghi, complessi».

Possiamo dire che sarà lei il prossimo premier?

«Può dirlo, certo, anche se formalmente non è stato ancora deciso. Occorre attendere il 20 giugno per l'instaurazione del nuovo parlamento e la nomina del suo presidente. Poi non abdicherò al mio dovere».

Ma diversi suoi alleati, specie tra i gruppi cristiani Kataeb e le Forze Libanesi, non intendono affatto coalizzarsi con gli estremisti dell'Hezbollah. Affermano che, contro le previsioni, il Libano ha votato per il "14 marzo". Lei non va contro il suo mandato?
«Avremo molto di cui discutere con i nostri alleati e con Hezbollah. Il Libano ha parlato. È legittimo ascoltare le voci del "14 marzo". Ma non dobbiamo dimenticare che esiste anche l’"8 marzo", ed è forte. Il suo leader, Hassan Nasrallah ha pubblicamente accettato la sconfitta. Il mio partito ed i miei media hanno pagato per primi il prezzo delle violenze perpetuate da Hezbollah e i suoi alleati un anno fa. Dobbiamo evitare in ogni modo che si ripetano. Anche gli elettori e i leader del campo avversario hanno capito che la violenza va evitata».

Nel suo governo unitario Hezbollah avrà potere di veto in parlamento, come l’ha avuto negli ultimi 10 mesi paralizzando spesso l'attività politica?
«No, assolutamente no. I meccanismi del prossimo governo saranno diversi».

L'anomalia della democrazia libanese è oggi costituita dalla milizia armata di Hezbollah. Lei intende abolirla?
«Sarà uno degli argomenti in discussione. E lo farò coinvolgendo il Presidente della Repubblica. Ma non penso sia utile affrontare adesso un tema tanto complesso pubblicamente sui media. Teniamo a mente che una parte consistente del Paese ha votato per l'agenda dell’"8 marzo", che include le armi. Si tratta di un argomento assolutamente delicato, ha connotazioni di politica interna libanese, ma anche regionale. Il mio lavoro sarà fare in modo che l’agenda nazionale non divenga anche regionale. Nostra priorità sarà la stabilità interna».

Ma come impedire che Hezbollah impieghi le armi a sua discrezione, come uno Stato nello Stato?
«Una parte dell’anomalia è Israele. I suoi soldati occupano ancora le fattorie di Sheba, in contraddizione alla risoluzione Onu 1701, i suoi velivoli violano regolarmente i nostri spazi aerei, le sue navi le nostre acque territoriali. Il presidente Barack Obama al Cairo ha fatto un discorso di apertura alla pace. E Israele cosa risponde? Rafforza le colonie nei territori occupati, nega il diritto dello Stato».

L'Italia è alla testa del contingente Unifil nel sud Libano. Pensa che dovrebbe fare di più?
«Unfil e l’Italia stanno facendo un ottimo lavoro. L’impegno è serio, costante. Il nostro ringraziamento è sincero. Ma voi sapete bene che le violazioni della 1701 vengono da Israele, non dal Libano».