Resta comunque la pesante incognita dovuta al vuoto, creato negli anni scientemente dall'Utilizzatore intorno a sè, che potrebbe costare caro al Paese.
Ma tant'è.
All'estero i timori di un premier ricattabile
di Umberto De Giovannangeli - L'Unità - 19 Giugno 2009
Dalla perplessità allo sconcerto. Dallo sconcerto alla preoccupazione. E all’affacciarsi di interrogativi inquietanti. A Bruxelles e nelle cancellerie europee più importanti. Gli scandali che investono il Cavaliere non vengono più considerati dagli alleati europei come vicende interne ad una Italia guidata da un primo ministro «eccentrico» e «donnaiolo».
Negli ambienti diplomatici occidentali non è passato inosservato un articolo apparso sull’autorevole Times nei giorni burrascosi del Noemigate. «L’Italia – rilevava il quotidiano londinese – quest’anno ospita il vertice del G8. In quel forum si tengono importanti discussioni dove i governi occidentali chiedono maggior cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine organizzato. Berlusconi – proseguiva il Times – si vede come amico di Vladimir Putin. Il suo Paese è un importante membro della Nato. È anche parte dell’Eurozona, che è messa alla prova della crisi finanziaria globale». Per concludere che «non sono solo gli elettori italiani a chiedersi cosa stia succedendo. Lo fanno anche gli alleati perplessi dell’Italia».
Una perplessità che cresce con il crescere degli scandali che investono il Cavaliere. Ed è una perplessità, dice a l’Unità un’autorevole fonte diplomatica a Bruxelles, che non ha una sua identificazione di parte politica: essa, infatti, accomuna la Francia del conservatore Sarkozy alla Spagna del socialista Zapatero, dalla Germania della centrista Merkel alla Gran Bretagna del laburista Brown. A far discutere non è la caratura morale del premier italiano. L’interrogativo che comincia a farsi strada nelle cancellerie europee è molto più pesante. E riporta dritto alle considerazioni del Times.
L’Italia è parte della Nato, e ciò significa, ad esempio, che il primo ministro italiano è in possesso dei nullaosta dell’Alleanza atlantica che danno accesso ai segreti degli armamenti nucleari. Per questo la certezza della non ricattabilità del Cavaliere è una questione che travalica i confini nazionali e va ben oltre le polemiche interne. La risposta degli aedi del premier è nervosa. Molto nervosa. Adombra una mano internazionale che tiene le redini del «grande complotto». C’è chi scomoda Zapatero, chi (vedi prima pagina di Libero di qualche settimana fa) si spinge addirittura oltreoceano puntando l’indice accusatore contro il «Giuda» della Casa Bianca (Barack Obama) impegnato a spezzare la «diplomazia del gas» del duo Berlusconi-Putin. Questione di credibilità. In caduta libera. La Francia di Nicolas Sarkozy ha scavalcato l’Italia nella leadership euromediterranea.
Nel valzer delle poltrone che contano davvero in Europa – la presidenza della Commissione europea, l’Alto rappresentante per la politica estera e, se il Trattato di Lisbona entrerà in vigore, il presidente stabile dell’Ue – l’Italia del Cavaliere non «danza». Fuori dai giochi. L’unico posto rimasto da assegnare è quello di presidente dell’Europarlamento. Spetta allo schieramento vincitore delle elezioni europee: il Ppe. Berlusconi lancia la candidatura di Mario Mauro: «Credo che questa volta tocchi a noi», ribadisce il presidente del Consiglio all’apertura del vertice di Bruxelles del Partito popolare europeo.
Fa sfoggio di ottimismo, Berlusconi, ma sa che la questione è tutt’altro che risolta. Ma sulla sua strada trova un concorrente agguerrito: il polacco Jerzy Buzek. La Polonia è in crescita di consensi e di credito a livello europeo, e può contare sul sostegno dell’Est e, sia pure non ancora formalizzato, della Cdu di Angela Merkel. Quel credito, e quella credibilità che stanno scemando per il Cavaliere. In Europa sembra iniziata l’ «operazione scaricamento».
Adesso sul Cavaliere lo spettro del ricatto
di Ugo Magri - La Stampa - 19 Giugno 2009
Clima da grande vigilia, palazzi romani in attesa. Giusto le scaramucce tra caudatari, immancabili, per riempire i tigì. Ma i protagonisti (quelli veri) tacciono. A destra come a sinistra. Antenne sintonizzate su radio-Bari perché è da lì che possono scatenarsi le altre «scosse», dalle indagini della procura sulle bellezze locali noleggiate per le feste di Berlusconi. Si attendono rivelazioni che magari saranno soffocate (come accadde per le telefonate osè del nostro premier), intanto però tengono col fiato sospeso. E’ convinzione bipartisan che, dovesse tracimare qualcosa di davvero compromettente, la Repubblica italiana entrerebbe in territori mai esplorati. Di qui la prudenza che cuce le labbra a Franceschini e ai principali leader Pd. A sinistra solo la Bindi affonda la lama: «Berlusconi dica la verità o se ne vada».
Le dietrologie impazzano. E’ opinione bipartisan che, dietro le «escort» baresi, potrebbe esserci un disegno destabilizzatore. L’unica divergenza riguarda l’identikit dei mandanti. Cicchitto resta convinto dello zampino di D’Alema l’ingrato, perché «noi non abbiamo cavalcato il giustizialismo quando lui fu investito da vicende giudiziarie », gli rinfaccia il capogruppo Pdl alludendo ai «furbetti del quartierino». Nulla è stato casuale, concorda il ministro Fitto, pugliese. Il quale fa un elenco di circostanze strane. La «escort» che accusa il premier, ad esempio: «Com’è riuscita, nonostante la calca, a essere spesso sullo sfondo delle foto scattate per strada al presidente durante la visita a Bari? E’ vero», domanda Fitto, «che nei giorni successivi la signora D’Addario ha contattato molte tv locali? E’ vero che al titolare dell’agenzia fotografica Ipiesse News ha chiesto copia di foto e immagini che la ritraessero accanto al presidente? E, se è vero, perché lo ha fatto?».
Aleggia il fantasma del ricatto. Per soldi o per altro. Di Pietro lo denuncia con parole che, sia pure rovesciate allo specchio, magnificamente si sposano con quelle di Fitto. «Quante persone», domanda l’ex pm, «possono ricattare il premier tra ragazze, amministratori e parenti? ». Latorre, dalemiano, teme per la povera Italia esposta a una perdita di credibilità. Zanda, anch’egli democratico, solleva un problema di sicurezza Nato, chissà quali segreti militari può aver rivelato Berlusconi nell’euforia di certi istanti. Inutilmente Fini condanna le teorie complottarde, esorta a smetterla di «paventare l’aggressione di chi sa quale nemico, interno o estero ».
Il sottosegretario all’Interno Mantovano è sicuro che a capo della Spectre anti- berlusconiana ci sia Zapatero, la Spagna ce l’ha con noi «perché non è felice di rivedere sulle proprie coste i clandestini respinti dall’Italia ». Qualcun altro a destra si rallegra che Berlusconi abbia fatto colpo su Obama, perché è dura a morire l’idea dell’America come Grande Burattinaio, scandali e dossieraggi pilotati da Washington, la Cia che vuole punire le mosse filo-russe del Cavaliere... «Ci sarebbe voluto poco», sussurrano dalle parti del premier, «a infilare in un volo per la Sardegna qualche agente provocatrice, magari munita di telecamera o registratore, specie quando si conoscono le cattive abitudini del Nostro... Noi gliel’avevamo detto in tutte le salse, pure Letta e Confalonieri, ma lui alzava le spalle, rideva. Adesso dalla paura è diventato praticamente un monaco». A Villa La Certosa di veline non se ne vede più l’ombra.
Rischio logoramento che fa riaffiorare voci sulla successione
di Massimo Franco - Il Corriere della Sera - 19 Giugno 2009
L’accenno è stato fatto per scansare voci e forse speranze di una crisi a breve del governo. Ma smentendo davanti ai vertici di Fiat e sindacato che Giulio Tremonti e Mario Draghi possano prendere il suo posto a palazzo Chigi, ieri Silvio Berlusconi ha ammesso che se ne parla. Ha confermato implicitamente che la sua leadership sta subendo un lento processo di appannamento; e che sotto traccia qualcuno forse ha ricominciato ad accarezzare il progetto della successione: Magari incoraggiato da qualcuno degli avversari del Cavaliere.
È verosimile che non si tratti né del ministro dell’Economia, né del governatore di Bankitalia; semmai, di questi piani Tremonti e Draghi sono vittime. C’è di più. Proprio per il modo in cui l’offensiva contro il premier sta avvenendo, qualunque possibilità di un delfinato riconosciuto diventa più difficile. Berlusconi non l’ha mai davvero preso in considerazione. Ed il sospetto che qualcuno ci stia lavorando è destinato ad acuire diffidenze e ostilità. Il Pd gli chiede di dare spiegazioni sugli episodi nei quali secondo la magistratura sarebbe coinvolto; oppure di andarsene. Ma il presidente del Consiglio sa di avere dalla sua parte il timore diffuso che una crisi improvvisa e traumatica crei un pericoloso vuoto di potere. Una caduta sull’onda di un’offensiva extrapolitica rischierebbe di lasciare il Paese senza una maggioranza; e con la prospettiva di un commissariamento di fatto dell’esecutivo, slegato dal responso elettorale: un ritorno agli ambigui governi «tecnici» dell’inizio degli Anni 90 del secolo scorso.
Va detto che si tratta di un’eventualità remota. Intanto, il sistema politico non è delegittimato come allora. La difesa a spada tratta da parte del Pdl, e quella «da garante», vagamente padronale, della Lega lasciano capire che per ora il pericolo non esiste. Viene rilanciata la tesi del complotto ordito da pezzi dell’opposizione e della magistratura. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, mostra un larvato scetticismo all’idea dell’«aggressione di un nemico, interno o esterno». Ma i più avvertiti nel centrodestra sanno che non si può prevedere quello che accadrebbe se e quando Berlusconi decidesse o fosse costretto ad un passo indietro.
Sta affiorando un problema, però. Riguarda le incognite ed i contraccolpi provocati dal viavai di un’umanità assai variopinta nelle residenze del premier. Basti pensare alle domande poste a Bruxelles sull’opportunità della candidatura di Mario Mauro alla presidenza dell’Europarlamento, viste le vicende private del capo del governo italiano. Il suo avvocato e consigliere, Niccolò Ghedini, ha già detto e ripetuto che Berlusconi non è ricattabile. Eppure, magari in modo strumentale, dall’opposizione fioccano domande pesanti, che rimandano alla zona grigia creata da queste frequentazioni: perfino per la sicurezza nazionale. Forse sono questi aspetti collaterali a far riflettere ed a preoccupare maggiormente.
di Susanna Turco - L'Unità - 19 Giugno 2009
Qualche anno fa, trovandosi a immaginare quale sarebbe potuta essere un giorno la conclusione della carriera politica di Silvio Berlusconi, Carlo De Benedetti azzardò: «Non so quale. Ma sarà drammatica, eccezionale, travolgerà tutto».
È più o meno questa, ormai, la preoccupazione che comincia a serpeggiare anche negli ambienti del centrodestra. Preoccupazione per un «lento declino» negli uni, sensazione negli altri che «piuttosto di un 25 luglio, rischiamo un 25 aprile, ossia una piazzale Loreto ma senza l’elemento tragico, con il banco che salta per colpa di qualche signorina». Prospettive non esenti da rischi che portano le prime file degli indiziati - come Gianfranco Fini - a negare un qualsiasi disegno per il post Berlusconi («se c’è un complotto odora di finanziario e clericale. E lui è un laico lontano dalla finanza», avverte il finiano Granata). E a lasciar trapelare - sempre Fini - una certa preoccupazione per gli scenari che si potrebbero disegnare.
Silvio come Drogo
Il presidente della Camera, peraltro, si è (involontariamente, assicurano) intestato la più efficace delle metafore della giornata. Silvio Berlusconi come il tenente Drogo, la Fortezza Bastiani come Palazzo Grazioli, il Deserto dei Tartari come l’Italia di oggi, vista con l’occhio del Cavaliere che dal suo fortino grida al complotto. La suggestione è tanto affascinante quanto implicita, il nome non viene pronunciato, è ovvio, e anzi si nega ogni malizia. Eppure il collegamento è inevitabile, quando Fini, aprendo il convegno su “Nazione, Cittadinanza, Costituzione”, accenna alla pulsione tutta italiana «che si traduce nel paventare l’aggressione di chissà quale nemico, interno o esterno». Nazionale o internazionale. Prosegue l’ex leader di An: «Non c’è modo migliore per tratteggiare tale ansia che rileggere il Deserto dei Tartari. Asserragliato nella Fortezza Bastiani, il tenente Drogo vive nella perenne attesa dei “barbari”. E quando i Tartari verranno, egli non li vedrà».
Il Cav. come Mele?
Parole che ben si armonizzano con la sferzante critica a Berlusconi pubblicata ieri da Giuliano Ferrara. «Un premier non si difende così», diceva l’Elefantino sul "Foglio", «dunque si decida: o accetta di naufragare in un lieto fine fatto di feste e belle ragazze, oppure si mette in testa di ridare il senso e la dignità di una grande avventura». Altrimenti detto: torni a fare politica, o finirà travolto dallo scandalo, come Cosimo Mele. Il timore, peraltro, è lo stesso che serpeggia tra gli stessi parlamentari del Pdl. «C’è una forte preoccupazione», riferiscono alcuni tra i meno inclini a drammatizzare: «Non si teme tanto la scossa. Si percepisce però che la soglia della decenza è vicina e quindi il rischio di un inarrestabile declino».
Non per nulla, l’indice di popolarità di Berlusconi è ormai crollato a 52. Intanto, nei vertici meno allineati del Pdl si ragiona sulla «pericolosa fase di incertezza che potrebbe aprirsi». «Ha detto bene Veronica Lario», dice un finiano: «Il dittatore non è Berlusconi, rischia di esserlo chi verrà dopo». Perché il Cavaliere non è un qualsiasi segretario Dc «che si fa da parte. Con lui crollerebbe un sistema, il vuoto sarebbe spaventoso. E chi pensa di gestirlo, potrebbe finire come l’apprendista stregone».
Le accuse a Berlusconi e le feste sarde di Tarantini
di Carmine Fotina - Il Sole 24 Ore - 19 Giugno 2009
Giampaolo Tarantini l'arte delle public relations l'ha appresa in fretta e a menadito. Ma il suo uso sofisticato e spregiudicato ha condotto altrettanto rapidamente il 34enne imprenditore pugliese al centro di un'inchiesta della Procura di Bari con l'ipotesi di induzione alla prostituzione di ragazze - tra cui Patrizia D'Addario, in arte «Brummel» - che avrebbero partecipato a feste organizzate a Palazzo Grazioli. Il segreto non era poi così complicato. Bastava affittare per un'estate una villa lussuosa in un luogo esclusivo della Sardegna; organizzare feste delle quali si sarebbe parlato per giorni; conoscere nell'occasione personaggi glamour che conoscessero a loro volta l'"illustre vicino" di "villa per eccellenza" sull'isola. Così, secondo il gossip che circonda da giorni l'imprenditore barese, sarebbe nata la scorsa estate l'originale conoscenza tra Tarantini e il premier Silvio Berlusconi. Di qui la svolta: il giovane rampante della Bari-bene avrebbe messo con decisione in secondo piano l'attività di famiglia nel settore delle protesi e delle forniture ospedaliere, attratto dal profumo della politica e dalle stanze del potere.
Tra medici, manager delle Asl e direttori di cliniche quello dei fratelli Tarantini è un nome noto da anni, da quando l'azienda di famiglia ha iniziato a ingranare la marcia. Molto più recente sarebbe invece l'ascesa di Gianpaolo, 34 anni, quattro in più di Claudio, nel mondo delle public relations, delle feste mondane in località esclusive e locali di classe. Ed è intorno a questo repentino cambio nello stile di vita del giovane imprenditore barese che i magistrati stanno lavorando per trovare nuovi riscontri dopo le dichiarazioni e le audiocassette registrate dalla escort Patrizia D'Addario.
È nell'estate del 2008, in Sardegna, che Gianpaolo avrebbe posto le basi della sua conoscenza con il premier Silvio Berlusconi. Nella splendida villa affittata per la stagione estiva a Capriccioli, poco distante da Cala di Volpe, Gianpaolo avrebbe movimentato diverse serate con feste aperte a giovani e vip invitati attraverso un ex impiegato della azienda di famiglia, la "Tecno Hospital di Tattoli srl", trasformato per l'occasione in promoter. Berlusconi, secondo ricostruzioni di ambienti vicini a Tarantini, non avrebbe mai partecipato agli eventi mondani organizzati da Gianpaolo ma avrebbe conosciuto il giovane imprenditore a villa Certosa. Gianpaolo sarebbe infatti stato introdotto al Cavaliere da alcuni dei suoi ospiti e da lì sarebbe scoccata la conoscenza che ha gradualmente avvicinato il giovane della Bari bene alla politica, terra fino a quel momento sconosciuta. Fino a un posto nelle prime file della platea del congresso del Pdl, con l'ambizione sussurrata a diversi amici di entrare in qualche modo nello staff o tra i collaboratori del premier.
Una svolta improvvisa, dopo anni trascorsi a dedicarsi a protesi per anca e ginocchio. Il business della Tecno Hospital per la verità, nonostante il boom di fatturato degli ultimi anni, non sembra entusiasmare più di tanto il più grande dei fratelli Tarantini anche perché le Asl pagano, quando va bene, con il contagocce. Per giunta la Procura barese, dopo una precedente inchiesta che porta alle dimissioni dell'ex assessore regionale alla Salute Alberto Tedesco, torna d'impeto sul tema della sanità puntando dritto alle forniture d'oro della "Tecno Hospital di Tattoli srl" che avrebbe beneficiato di sponde favorevoli tra medici e cliniche di riabilitazione (oltre ai fratelli Tarantini, sono indagati il primario del Policlinico di Bari Vincenzo Patella e l'imprenditrice Ilaria Tatò).
L'inchiesta dei magistrati è in qualche modo la classica goccia, perché Gianpaolo cede la sua quota societaria e punta tutto su Roma e nuove passioni da imprenditore con l'obiettivo di diversificare. Magari restituendo smalto al business di un'altra partecipata, la Adrimare srl, azienda barese che si propone con i suoi servizi nelle infrastrutture anche come partner della Protezione Civile. Nasce poi, circa quattro mesi fa, la G.C. Consulting con uno sconfinato oggetto sociale che va dai servizi di consulenza all'organizzazione di eventi e di pr. Public relations che nel frattempo Gianpaolo, sempre secondo versioni che sarebbero in corso di accertamento, cura nei confronti del premier e di interlocutori politici fino a poco tempo prima estranei al suo mondo.
Una rete di rapporti che potrà emergere con maggiore chiarezza nel corso dell'inchiesta. Intanto dall'indagine per corruzione e appalti nella sanità è stata stralciata la parte relativa all'induzione alla prostituzione (in cui, dei fratelli Tarantini, sarebbe indagato solo Gianpaolo) emersa attraverso alcuni colloqui intercettati dai magistrati baresi, in cui sarebbero coinvolti anche alcuni esponenti locali del Pd. Nelle stesse intercettazioni si parlerebbe anche della fornitura di dosi di cocaina apparentemente per uso personale. Restano da verificare le dichiarazioni di Patrizia D'Addario, in arte Brummel, la quarantaduenne escort dal burrascoso passato. Le audiocassette sono state acquisite dal pm Giuseppe Scelsi, chiuse in un plico e sigillate presso la Guardia di finanza di Bari. «Qui - avrebbe detto D'Addario al magistrato consegnando le audiocassette - ci sono le prove dei miei due incontri romani con il premier Silvio Berlusconi; ascolti e si renderà conto che dico la verità». In un altro fascicolo sono contenuti invece i verbali di interrogatorio di altre tre ragazze che hanno parlato delle loro visite a Palazzo Grazioli.
I magistrati intendono ora trovare conferme al racconto delle donne, verificando i loro spostamenti e i soggiorni negli hotel della capitale. Di certo i pm non si aspettano sorprese sulla titolarità dell'inchiesta: la Procura di Bari ritiene di essere competente ad indagare sul reato di induzione alla prostituzione in quanto le ragazze che avrebbero partecipato ad alcune serate a Palazzo Grazioli sarebbero state ingaggiate nel capoluogo pugliese.
La villa da 100mila euro al mese con Elvira, Angela e Sabina
di Carlo Bonini - La Repubblica - 19 Giugno 2009
In un'indagine per sfruttamento della prostituzione che somiglia sempre di più a una matrioska, ballano ora una storia di cocaina e tre nuovi nomi di donne. Sabina Began, Angela Sozio, la deputata Elvira Savino. Due di loro, la Sozio (ex ragazza Grande Fratello, catturata dall'obiettivo di Antonello Zappadu in grembo al Presidente del Consiglio già nel 2007 nel Parco di Villa Certosa) e la Savino, non è chiaro in che contesto e in quale veste. Se cioè perché oggetto delle conversazioni intercettate di Gianpaolo Tarantini o perché indicate da testimoni che frequentavano le feste del premier. La Began, al contrario, perché anello cruciale della catena che annoda l'imprenditore barese al Presidente del Consiglio.
Showgirl di origini slave che ha tatuate sul corpo le iniziali S. B., "l'uomo che mi ha cambiato la vita", la Began è accompagnata ormai da una letteratura che l'ha battezzata "l'ape regina" del premier. Nella sera della vittoria elettorale del centro-destra - si è letto nelle scorse settimane - è a palazzo Grazioli, sulle gambe di Silvio Berlusconi che canta "Malafemmena". Ma, a stare alle acquisizioni dell'inchiesta barese, ricorre ora con costanza nelle conversazioni intercettate di Gianpaolo Tarantini. Frequenta le ville sarde dell'uno (la notte di Ferragosto 2008, è tra i 400 ospiti della festa che dà Tarantini) e dell'altro (fonti qualificate riferiscono che sia stata lei a introdurre a Villa Certosa la showgirl Belen Rodriguez). Lavora da vaso comunicante tra le ragazze del giro dell'imprenditore e quelle ammesse al cospetto del Presidente del Consiglio. E' il relé che, in Sardegna, trasforma Gianpaolo in "Giampi" e la sua villa in un indirizzo - un set sarebbe più corretto dire - che conta.
Anche per questo, nel lavoro istruttorio della Procura di Bari, Roma pesa quanto la Sardegna e Palazzo Grazioli quanto la villa di Capriccioli, a Porto Cervo, il luccicante retiro che Tarantino sceglie come piedistallo per guadagnare la benevolenza del premier. Un gioiello incastrato nelle rocce e avvolto dalla macchia che si aprono su Cala Volpe. Non troppo lontano da Villa Certosa. Un angolo di straordinaria bellezza dove - ne sono convinti gli inquirenti - l'imprenditore costruisce un suo nuovo pantheon. L'affitto della villa - riferisce una fonte che ha frequentato la casa - ha un prezzo spettacolare, 100 mila euro al mese, perché spettacolare deve essere il trampolino di lancio di quel "ragazzo" di 35 anni barese che nessuno conosce e che, improvvisamente, a Porto Cervo diventa per tutti "Giampi". In un'estate - quella del 2008 - che deve appunto segnare il suo passaggio definitivo dall'orbita redditizia, ma defilata, dagli appalti e forniture ospedaliere, a quello della consulenza nel business che conta e che ha bisogno della politica per camminare. E che diventa - ecco l'altra novità dell'inchiesta - cornice di una storia di cocaina.
Nella villa di Capriccioli, infatti, lavora, con personale filippino, un quarantenne che di nome fa Alessandro Mannavini. E' un leccese di buona famiglia che, a giugno del 2008, Tarantini - come conferma uno dei suoi avvocati, Nicola Quaranta - assume con le mansioni di autista personale. Mannavini, in vita sua, l'autista non lo ha mai fatto. Ufficialmente, ha lavorato per compagnie di charter nautico, anche se non risulta avere la patente che abilita alla navigazione oltre le 6 miglia. Sta di fatto che il tipo balla in villa una sola estate. Assunto a giugno, viene licenziato a settembre 2008, perché, ufficialmente, si lamenta con il suo principale "delle modeste mansioni cui è stato assegnato". Guidare, ma persino dare una mano ai filippini in cucina. E' un fatto che, un mese fa, Mannavini entra negli uffici del sostituto procuratore della Repubblica, Giuseppe Scelsi, per essere interrogato come indagato per detenzione e consumo di sostanze stupefacenti. Cocaina. Il suo nome salta fuori nelle intercettazioni sulle utenze dei Tarantini e lui, con il pubblico ministero, ammette. Ma Scelsi ha un'altra curiosità. Chiede all'ex "autista" se ricorda i nomi di ragazze che frequentavano la villa. La risposta è generica: "Ne giravano talmente tante di belle ragazze che non ricordo".
Marco Vignola, avvocato di Mannavini, conferma la circostanza dell'interrogatorio e dice: "Il mio cliente si è detto del tutto estraneo alla vicenda delle ragazze e risponde di un reato diverso per il quale vedremo di qui in avanti quali iniziative istruttorie prendere". Non è chiaro se Mannavini indichi o meno il suo pusher. Non è chiaro se Mannavini sia il solo ad essere accostato alla cocaina nella villa. E' un fatto che chi lo ha conosciuto quell'estate sostiene che si muovesse più da uomo di pubbliche relazioni e organizzatore di feste che da autista ("Una sciocchezza", dice l'avvocato Vignola).
A quando la camicia di forza?
di Carlo Bertani - carlobertani.blogspot.com - 18 Giugno 2009
Devo confessare che, quando me lo sono trovato di fronte, sulla soglia, ho trasalito. Non m’aspettavo certo di vederlo comparire, dalle nebbie dei lontani anni ’70, sulla mia porta. Eppure è proprio lui: i capelli alla “Jimi Hendrix” sono diventati una zazzera grigiastra, gli occhi sono cerchiati e le rughe scorrazzano sul viso ma, nel profondo degli occhi, il lampo è il medesimo.
Avevo saputo, da amici comuni, che era partito per il Sudamerica prima del 1980: lo immaginavo oramai nonno nella sua fazenda sul Rio Negro e invece no, era diventato un cercatore di smeraldi sul Rio Urubamba. Si sa, leggere “I fiumi scendevano a Oriente” in gioventù, può fare brutti scherzi.
Nemmeno poi tanto brutti, però, a giudicare dalla fiammante AUDI posteggiata sotto casa.
I convenevoli durano appena un paio di birre, quel tanto che basta per raccontare il lungo viaggio da Manaus fino alla mia porta. Poi, l’elenco di chi se n’è andato: oramai solo per età, non perché “già dottore”, per dirla alla Guccini. Qualche curiosità da raccontare e, quando si passa alla bottiglia di Calvados, gli occhi cadono sul giornale, quello che ho lasciato abbandonato sul divano.
Non è così ingenuo da non sapere che il nostro mondo – quel mondo che immaginava l’Italia un Paese che poteva evolvere verso destini più gradevoli e libertari – non esiste più, e che l’Italia è diventata per metà Berlusconia e per l’altra metà checazzonesò.
Sulla prima pagina, campeggia l’immagine – appena ritoccata dalla modernità – di un milite delle SA in divisa kaki, con sul berretto nero l’Aquila Imperiale e, sulle spalline, lo Schwarze Sonne, il Sole Nero che compone il mosaico, nella “Sala dei Generali”, del pavimento nel castello di Wewelsburg, il famoso “ritrovo” mistico delle SS. Un “nipotino” di Horst Vessel sulla prima pagina di un quotidiano italiano?
La foto lo stupisce: anche in Brasile è giunta l’eco delle “veline” e delle mascalzonate di Berlusconi, ma che mettessimo per strada gente del genere questo no, proprio non se l’aspettava.
Nemmeno io attendevo roba del genere, ma non c’è mai fine al peggio: il discorso scade nei luoghi comuni, fin quando non scende e riparte per Milano.
Appena salito in casa, però, mi casca nuovamente l’occhio sulla foto e mi chiedo se sia proprio così scontato che, fra le varie “Ronde” che si vanno costituendo, qualcuno ne abbia immaginata una d’ispirazione – almeno iconica – nazista. Ha senso? Deve essere proprio un tizio che non vedevo da una vita, che giunge dall’Amazzonia, a farmelo notare?
Ovviamente, tutti prendono le distanze dall’evento e, il Sottosegretario Mantovano (ex AN, ex magistrato), assicura che le ronde non potranno essere l’espressione di forze politiche. Gli risponde, a stretto giro di posta, il Ministro dell’Interno da Pontida: Maroni, assicura che alle “Camicie Verdi” non rinunceranno per nessuna ragione. E, quelle, sono di nome e di fatto la “milizia” della Lega Nord.
Così, avremo per le strade Camicie Verdi e Camicie Nere: le “Camicie Rosse” – anche senza divisa – non si faranno attendere. Potremo così assistere a “ronde” nere e verdi che daranno la caccia a presunti tagliaborse, mentre le ronde rosse, a loro volta, cacceranno camicie verdi e nere. Roba da matti. O no?
Volto la pagina e compare il volto affilato di “Baffino”: D’Alema ci rende edotti sui pericoli di una “scossa”, un “tracollo” o roba del genere. Messaggio in codice: compagni! Tenetevi pronti! Peccato che, i “compagni”, siano soltanto più “compagni di merende” nelle lobby affaristiche.
“Baffino”, però, è il più furbo della nidiata, inutile raccontare frottole: se manda un simile avvertimento in codice, qualcosa deve aver fiutato. Forse un messaggio cifrato, una pergamena dentro ad una bottiglia che è andata ad adagiarsi proprio al mascone del suo incrociatore a vela, quello che – guarda a caso – s’è comprato dopo la guerra del Kosovo? Lui dice che ha fatto un leasing: due miliardi di lire per fare un leasing, ovviamente, li abbiamo tutti. Come no.
Più probabilmente, quel messaggio gli è giunto dai contatti che aveva pazientemente intessuto – quando era Presidente del Consiglio – nella city londinese, nei “templi” dell’alta finanza.
Cosa pensano, nelle lobby finanziarie internazionali di Silvio Berlusconi, ce lo fanno sapere addirittura dalle colonne del “Times”, mica dai tabloid del sabato, quelli che ancora cercano qualche “pilu” di Diana.
Considerano fallito “l’esperimento Berlusconi”, poiché incapace d’essere un vero liberista con le zanne – sempre che simili aggeggi nel Belpaese possano campare a lungo poiché, un Paese che ha il 30% dell’economia sommersa, quale “liberismo” può perseguire? – e “Papi” non è solo impelagato con le sue storie di veline, processi, gite sugli aerei di Stato, festini dionisiaci e quant’altro.
L’uomo di Arcore poggia su una maggioranza numericamente consistente, ma politicamente troppo eterogenea e non bastano più “veline” e minacce per tenere a bada chi sta scomparendo nel nulla (la ex Alleanza Nazionale). Anche chi naviga a gonfie vele (Lega Nord) scalpita, ed aggiunge ogni giorno un tassello alla strategia “bonapartista” che persegue una “secessione lenta”, costruita giorno dopo giorno con qualche legge e tanti messaggi nell’etere, “pizzini” che il Nord, sempre più povero e deindustrializzato, accetta come la manna. Se, poi, il pudding viene da una formazione politica dichiaratamente antieuropeista, chi se ne frega.
Nonostante i numeri parlamentari, D’Alema ha ragione nel definire il governo Berlusconi un malato terminale, poiché i record negativi che va inanellando sul fronte economico sono da brivido: PIL a -5,3%, debito/PIL salito al 115%, disoccupazione al 10%, consumi a -2,4%(1). Cifre da stramazzare un toro, soprattutto se non si ha una strategia per uscire dall’impasse che – precisiamo – non si riferisce ai frutti della crisi internazionale (che ha colpito meno l’Italia d’altri Paesi, per la ricchezza ancora detenuta dalle famiglie italiane), bensì trae origine dall’incapacità strutturale italiana di ritagliarsi un futuro nell’economia internazionale.
Perdiamo settori di mercato, ma non sappiamo crearne di nuovi né valorizzare l’esistente: e, nonostante i malaugurati “sogni ad occhi aperti” destri/sinistri, nessuna riforma del mercato del lavoro o previdenziale riuscirà a scalfire il pessimo andazzo. Ci vorrebbero ben altri “colpi di reni”, e non certo quelli che progettano nella city.
Volto ancora una pagina e ci sono le dichiarazioni di Gaetano Saya, il “creatore” della futura Guardia Nazionale Italiana. Afferma che sono già duemila i “militi” pronti ad entrare in servizio – moltissimi ex militari – al comando di un ex ufficiale dell’Esercito.
E chi paga?
A suo dire, l’MSI-Destra Nazionale, ovvero il partitucolo che è rimasto dopo la “svolta” di Fiuggi. Un partito che non ha rappresentanza parlamentare né in Italia e né in Europa, e che non ha certo soldi da buttare.
Eh sì, perché “armare” – nel senso marinaresco del termine – duemila persone per mandarle in giro per le strade italiane non è proprio una cosa da nulla. Automobili, radio, telefoni…e poi…saranno proprio tutti “volontari”?
Gaetano Saya è uno di quegli strani tizi che non si sa bene come campano: ovvero, si sa, ma solo se consideriamo che di tipi del genere – diciamo “a mezzo servizio” con gli apparati di polizia e con i servizi segreti – in circolazione ce ne sono parecchi. E non sono proprio degli idealisti, bensì gente che è molto attenta alla pecunia: un bel ritratto del nostro “rondarolo” – compresi i suoi “trascorsi” d’organizzatore di viaggi in Iraq per i contractors (dove Fabrizio Quattrocchi ci lasciò la pelle) – lo hanno tratteggiato su Global Projet, consigliata la lettura(2).
Questo Saya, probabile massone, sembra uno che – per tutta la vita – non ha fatto altro che buttarsi a pesce dove c’era da far soldi organizzando qualcosa di losco, oppure pronto a far da zerbino ai potenti delle lobby militari e finanziarie. Che, questa volta, si sia ricreduto ed abbia deciso di “donarsi alla Patria”? Difficile crederlo.
Ma, anche immaginando che abbia ricevuto il “salarium” del legionario, è difficile ipotizzare che quei soldi siano giunti dall’area del governo: a ben vedere, un tizio come Saya – per Berlusconi & soci – è più una tegola sulla testa che altro. Lui e le sue divise paramilitari, da SA a Camicia Nera in poltrona – dalle foto a Youtube(3)– finiscono per aggiungere altra benzina al fuoco, nell’incendio di un regime da operetta. Noemi, i voli di Stato, Apicella e la sua chitarra, adesso la Patrizia pugliese che afferma d’essere stata “convogliata” a Palazzo Grazioli per il solito rito dionisiaco: ci manca solo un tizio come Saya che – nella sua intervista su Youtube – adula Berlusconi fino al delirio, e la frittata è fatta.
Già, ma chi sta mescolando la frittata?
Volto nuovamente la pagina del giornale – questa volta indietro – e ricompare la smorfia sibillina di “Baffino”: “scosse”, lui le definisce, e tutti corrono a credere che D’Alema sapesse qualcosa sulla belloccia pugliese. Dopo tutto il can can di Noemi e di Veronica Lario, che “Baffino” si scomodi per così poco?
In fin dei conti, quando Berlusconi evoca misteriosi intrighi contro di lui ed il suo governo – sempre citato come “volontà degli elettori” – finisce per fare la figura del fesso. Ma come, dopo che ci hai insegnato come si fa a diventare presidente del Consiglio – da Presidente del Milan a Fininvest, da Mediaset a palazzo Chigi, con un percorso che della democrazia ha solo la sopraveste – ti meravigli se qualcuno usa i tuoi stessi mezzi (od equivalenti) per farti la festa?
Dai, non fare l’ingenuo: quella della democrazia parlamentare come rito assoluto valla a raccontare alle Elementari. Ma alle Elementari di qualche paesello sperduto, altrimenti manco quelli ci cascano.
Perché qualcuno si sta scomodando, al fine di mandare a quel paese Berlusconi? Non certo per fare un piacere alla Binetti, a D’Alema o a Di Pietro: i grandi film non si progettano partendo dalle comparse.
Avevamo avvertito per tempo che c’era qualcuno, che aveva lasciato ombrello e bombetta a Londra, pronto ad insediarsi nel Belpaese: per salvarlo, ovviamente.
Ci riferiamo a Mario Draghi(4), del quale avevamo indagato le trame – neppure poi così nascoste – già nel lontanissimo Ottobre del 2007, quando regnava un altro governo e Bush ancora mangiava noccioline nello Studio Ovale. In tempi, veramente, “non sospetti”.
Che l’uomo sia legato a filo doppio alla finanza anglo-americana è un segreto di Pulcinella: chi fa il “relatore” sul Britannia, per illustrare come appropriarsi dell’industria pubblica italiana, non lavora certo per le Dame di San Vincenzo.
Nella sua recente relazione(5), Draghi ha riportato le pessime cifre dell’economia italiana, al punto d’irritare molto Silvio Berlusconi: quella relazione, è quasi un j’accuse.
Il problema è che Berlusconi, già nella legislatura 2001-2006, si dedicò più alla difesa del proprio elettorato – quella fascia di borghesia che ancora possiede ricchezza, all’incirca 1/3 degli italiani, senza considerare il “sommerso”(6)– ma al prezzo di un generale impoverimento del Paese. Ne è un lampante esempio la riduzione delle aliquote fiscali per i redditi medio alti, che ha spostato ricchezza dal “circolante” alla finanza, con pesanti ripercussioni sui consumi interni e, dunque, sulla produzione industriale.
Mario Draghi non è certo un filantropo: come già spiegavamo ne “Le preoccupazioni del Drago”(7), l’assillo dei banchieri è principalmente quello di poter “tosare” regolarmente e con profitto le pecore, ossia la popolazione. Se il sistema va in crisi – ovvero vengono introdotti elementi che lo rendono troppo squilibrato, al punto da mettere “in forse” le future “tose” – paradossalmente, i banchieri s’adoperano per riportare la situazione in equilibrio, ossia “tosare” di più dove c’è abbondanza di lana.
Non ci sarebbe da stupire se Draghi proponesse una maggior differenziazione del prelievo fiscale, per “captare” anche la quota di ricchezza che, approssimativamente, quel terzo d’italiani ancora detiene. Per “tosare” meglio – ossia far rientrare ricchezza da Wall Street a Main Street – è necessario lavorare di più: per questa ragione sono richieste “serie e vigorose riforme” del lavoro e della previdenza. Così, per par condicio, si tosano tutti ed i banchieri contano sempre più balle di lana.
E, qui – in modo assolutamente acritico – incontriamo sulla stessa barricata tanti pappagallini ripetenti, da Casini a Di Pietro, i quali non aspettano altro che il “collasso” per mettersi a servire il Drago.
Quali scelte ha ancora, oggi, Silvio Berlusconi?
A giudicare dal tono del colloquio con Barack Obama alla Casa Bianca, poche. Osservando la mimica facciale del Presidente americano (8) non si notano particolari segni d’empatia: in genere, nei minuti concessi alle telecamere durante questi incontri, i partecipanti si sforzano almeno d’apparire cordiali.
Invece, Barack Obama sembra recitare una requisitoria, mentre Silvio Berlusconi ha più la faccia di uno che ascolta una condanna che quella di un capo di Stato durante un colloquio. Eppure, Obama ha dimostrato in molte occasioni d’essere una persona che sa trovare “canali empatici” di comunicazione.
Anche quel buffetto finale sulla spalla, ha più l’apparenza di un “togliti dai piedi” che quella di un “vai avanti così”. Non c’è, in tutto il colloquio, un solo sorriso: anche le strette di mano sono ammantate da una evidente freddezza.
Non si tratta quindi, come afferma Berlusconi, di un “complotto” contro di lui: questa è politica, baby. Poi, qualcuno preferirà scomodare gli “Illuminati” oppure i think tank di Harvard, ma la sostanza non muta: il giudizio dei potentati internazionali su Silvio Berlusconi, è un evidente pollice verso. Dal Times a Draghi, da Obama alla Merkel.
La “manifestazione” evidente del disagio si sostanzia nelle strane “ronde fasciste” – cosa che, a Londra, serve molto per impressionare la popolazione – e nello stillicidio, oramai quotidiano, di “gole profonde” e di bardi che cantano la medesima canzone: sei inadeguato, lascia.
A questo punto, ad occhio e croce da qui alla fine del 2009, a Berlusconi verranno probabilmente recapitati dei “pizzini”: te ne vai da solo, oppure…
All’uomo di Arcore rimarranno due scelte:
1) Salvare il salvabile, ossia giungere ad un accordo per salvare il suo impero mediatico (ovviamente, “devitalizzato” da personaggi “ingombranti”) per dedicarsi ad un’altra, spinosa questione: il futuro di Mediaset. Mentre “Papi” immagina una divisione 50/50 fra i due figli nati dalla prima moglie, ed i tre avuti dalla Lario, Veronica Lario chiederà una suddivisione paritaria, 20-20-20-20-20 ai cinque figli. Non sfuggirà al lettore che la richiesta dell’attuale moglie, in procinto di divorziare, consegnerebbe la maggioranza della holding nelle mani dei suoi figli. E se Noemi fosse un’altra figlia? Dio, che casino.
2) Non mollare, combattere lo strapotere degli Angli fino alla “ridotta della Valtellina”. Difficile ipotizzare, in questo frangente, cosa potrebbe accadere ma – la Storia insegna – le “ridotte della Valtellina” non sembrano portare bene: si rischia di ritrovarsi soli, con una mano davanti e l’altra dietro, per coprire alla meglio le proprie nudità.
Silvio Berlusconi è uomo d’affari scaltro, e siamo certi che capirà e non si getterà in avventure sconsiderate: porta la camicia nera ed acconsente a qualche saluto romano per compiacere i “bimbi sperduti” della ex Alleanza Nazionale, ma non è certo un Mussolini. Altri tempi ed altra storia.
Chi “servirà il Drago”?
Qui, non c’è che l’imbarazzo della scelta: da Casini a Di Pietro, più un buon numero di “transfughi”, “comprenderanno” la necessità di “mettersi al servizio della Patria” per salvarla dagli scogli incombenti. Un “governo tecnico” d’antica memoria: chissà se Capezzone farà il portavoce anche per Draghi? Lo ha fatto per tutti: è un “portavoce on demand”.
E per noi, cosa riserverà il futuro?
Niente di nuovo, perché – a comandare – saranno soltanto spezzoni differenti del capitalismo internazionale, che si riuniranno in quella che Marx già definì la “sostanziale unitarietà delle borghesie”.
Potremo aspettarci anche qualche elemosina, quel tanto che basta per consentirci di fare la spesa al supermercato ma – già immagino – “Baffino” e Damiano che chiedono “sacrifici” per rimettere a posto i “disastri” lasciati da Berlusconi.
Le vie per uscire veramente da questa crisi sarebbero altre e bisognerebbe iniziare su due fronti: sfoltire – ma di brutto – la pletora d’inconcludenti politici che occupano le amministrazioni, eliminando parecchi livelli decisionali. In fin dei conti, cinque livelli decisionali – Stato, Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane – servono solo a riempire le greppie di quelli che vi siedono.
In seconda battuta, ci sono decine di miliardi d’esborso petrolifero che potrebbero diventare ricchezza per gli italiani, se solo qualcuno iniziasse a captare i miliardi di Watt che ruotano intorno a noi, dall’eolico al solare, dalle biomasse all’idroelettrico.
Ma, questa, sarebbe un’altra storia e – oggi – non siamo in grado d’organizzarci per chiedere un serio cambiamento: ci hanno rubato anche le sedie, altro che riuscire ad infastidirli.
Chissà se, al “Corriere di Manaus”, hanno bisogno di un giornalista per la cronaca? L’amico m’ha lasciato il numero di cellulare…magari chiamo…
Note:
(1) Fonte: OCSE, http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/economia/crisi-34/ocse-17-giu/ocse-17-giu.html
(2) Fonte: http://archive.globalproject.info/art-5316.html
(3) http://www.youtube.com/watch?v=a9NGxMlcoRA
(4) Le preoccupazioni del Drago, http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=3908
(5) http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/relann/rel08/rel08it
(6)Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2009/05/non-puo-che-finire-cosi-prima-parte.html e http://carlobertani.blogspot.com/2009/05/non-puo-che-finire-cosi-parte-seconda.html
(7)Ibidem.
(8)Vedi: http://www.youtube.com/watch?v=k55Fvzth-xg&feature=popular