venerdì 26 giugno 2009

Nuove prospettive per Cuba

Una serie di articoli sulla Cuba governata da Raul Castro, alle prese con la crisi economica globale e con un orizzonte di nuove relazioni con gli USA di Obama e gli altri paesi dell'America Latina membri dell'OSA (l'Organizzazione degli Stati Americani).

Diverse e nuove prospettive si aprono per Cuba, insieme ad un futuro pieno di incognite.


Cuba e la crisi globale
di Alessandro Badella - Peacereporter - 19 Giugno 2009

Recentemente in molti blog isolani si legge che i tre tormentoni cubani del 2009 sono il rapporto Castro-Obama, la censura della blogosfera e l'imminente ritorno del Periodo Speciale. Mentre i primi due sono effettivamente di portata globale, l'ultimo passa un po' in sordina e sicuramente è il meno noto e (forse) il più affascinante.

Certo viene da domandarsi se un'economia non di mercato, come quella cubana, possa essere o meno scossa dal terremoto finanziario che ha fatto vittime illustri negli USA così come nella vecchia Europa. Per quanto riguarda Cuba, la risposta è sicuramente affermativa. La "sostenibilità" economica della Rivoluzione dipenderà necessariamente dalla risposta alla crisi di paesi amici come il Venezuela.

Per il momento, le esportazioni di greggio verso Cuba sono aumentate del 30% nell'ultimo anno. Anche la VI Cumbre del Petrocaribe (conclusasi il 12 giugno) ha dato un esito positivo per l'approvvigionamento petrolifero dell'isola.
Tuttavia, alcuni segnali provenienti direttamente dalle fonti governative fanno intendere che la crisi sta colpendo direttamente le imprese ed i risparmi dei cubani, nonché le casse dello stato.

Negli ultimi giorni la parola d'ordine del Granma sta diventando ahorro (risparmio). Il giorno 4 giugno nel programma tv Mesa Redonda è andato in onda un dibattito sul risparmio energetico e sulle nuove frontiere della tecnologia per la produzione di energie rinnovabili. Nulla di strano se non fosse che pochi giorni prima il greggio risultava la seconda voce nelle esportazioni dell'isola...Il motto per l'estate 2009, nelle parole del vicepresidente del Consiglio di Stato, sarà "austerità e risparmio".

Un reportage di Juventud Rebelde (che non è né il NY Times, né l'Herald di Miami), pubblicato il giorno 14 giugno, titolava "La crisi economica mondiale affligge anche l'economia cubana". Alcuni casi pratici sono evidenti, "la Gomera", la fabbrica di pneumatici di San José de las Lajas (a sud-est di La Habana), è da mesi silente e senza lavoro.

Il caseificio industriale Combinado Lácteo Escambray è al palo e da settembre scuole, circoli per l'infanzia ed ospedali potrebbero non ricevere la consueta fornitura di latticini. Anche il settore turistico potrebbe risultare danneggiato, visto che la Embotelladora de Ciego Montero, che fornisce acqua potabile e minerale al distretto turistico di Cienfuegos, sta subendo i danni della crisi. Non a caso, il MINTUR (Ministero del Turismo) ha stimato una riduzione degli ingressi turistici del 13%. Nel frattempo, il 29 maggio (notizia trapelata solo il giorno 3 giugno via AP), è stata smembrata la CUBALSE, società di prestazione di servizi agli stranieri, che forniva gran parte della manodopera e logistica alberghiera dell'isola.

A detta dei direttori delle suddette aziende statali, la crisi si manifesterebbe sotto forma di una carenza di materie prime dovute all'aumento dei prezzi ed all'approvvigionamento obbligato causa storico blocco economico americano. I prezzi delle materie prime di importazione sono in crescita dal 2007 e per un paese che importa circa l'84% del proprio fabbisogno alimentare non è certo un buon segnale. La diretta conseguenza è stata un peggioramento della bilancia internazionale, tanto che nel 2008 (anno sfortunatissimo per l'agricoltura) ha avuto un saldo negativo per circa 2,69 milioni di dollari.

La soluzione starebbe nello stringere ulteriormente i cordoni della borsa, sia a livello energetico che salariale. La riduzione dei presupposti di spesa si aggirerebbe intorno al 6%.
Il tutto condito da una certa via "autarchica", volta al risparmio sulle importazioni. La Habana ha un piano annuale per sostituire le importazioni di alcuni prodotti chimici ed alimentari, che farebbe risparmiare 11 milioni di pesos convertibili. Gran parte delle produzioni agricole ed industriali (circa 64) sono coinvolte in quest'opera di sostituzione e, secondo fonti governative, circa la metà di esse avrebbero già dato buoni risultati.

Cuba, operazione petrolio

di Alessandro Badella - Peacereporter - 15 Giugno 2009

Nel pieno del dibattito dopo l'apertura (e chiusura) dei paesi OSA a Cuba, è stata anche pubblicata una notizia, sicuramente ignorata da buona parte dell'opinione pubblica, ma di grande interesse. Il Gerson Lehrman Group (GLG), network di esperti fondato nel 1998 e finanziato dall'alta finanza di Wall Street, ha avanzato l'ipotesi che, qualora il blocco venisse smantellato, l'isola caraibica potrebbe diventare un ottimo fornitore di greggio per gli Stati Uniti.

Infatti, l'obiettivo della Cuba Petroleo, l'agenzia estrattiva statale, è quello di raggiungere i 350 mila barili di "oro nero" al giorno entro il 2013, al fine di soddisfare la crescente domanda dei vicini centroamericani e caraibici. La GLG ha quindi avanzato l'ipotesi che una buona parte di questi potrebbe essere "assorbita" dall'economia americana.

La fatidica data del 2013 rimane comunque qualcosa di abbastanza vago e problematico, visto che gran parte delle tecnologie cubane vengono importate dal Venezuela e che la Petroleos de Venezuela (PDVSA) non naviga certo in buone acque, colpa della crisi e della mancanza di liquidità. Per di più, l'ambizioso progetto energetico comporterebbe un investimento di 10.8 miliardi di dollari da qui al 2015.

Anche se questa operazione petrolio potrebbe essere un insuccesso - dovuto anche a cause contingenti - l'interesse della finanza americana si è mosso per tempo segnalando quello che potrebbe essere senza dubbio il primo affare dell'era post-bloqueo. In effetti, i giacimenti di petrolio hanno, sempre secondo la GLG, consistenze che non potrebbero passare inosservate: 4 miliardi di barili di greggio e circa 10 miliardi di metri cubi di gas naturale giacciono al largo della costa nord-occidentale dell'isola di Cuba (quella che si affaccia sulla Florida).

Un dato che comunque rende veridicità ad una Cuba "saudita" è quello fornito dal Ministero per il Commercio Estero che ha dichiarato un incremento significativo delle esportazioni petrolifere per l'anno 2008, tanto da raggiungere il 22% dell'export totale dell'isola (Fonte: Reuters). In realtà, questo export deriverebbe dall'immissione sul mercato caraibico di buona parte dei barili venezuelani che giungono sottocosto a Cuba.

Nel frattempo il governo cubano ha lanciato una massiccia campagna per il potenziamento delle energie rinnovabili. La Unión Nacional Eléctrica, l'agenzia per la produzione elettrica cubana, pur non avendo fissato una data precisa ha dichiarato di voler sostituire le nove centrali termoelettriche con installazioni per la produzione di energia rinnovabile. L'obiettivo è quello di arrivare ad una sostituzione totale della produzione termoelettrica con energie pulite.
Sicuramente segnali contrastanti. Un bluff? Può darsi, però potrebbe anche essere un'importante carta nei rapporti cubano-americani.


Cuba, quali segnali di apertura?
di Alessandro Badella - Peacereporter - 9 Giugno 2009

Dopo la notizia della rimozione del bando dall'Osa che pendeva su Cuba dal 1962, le reazioni all'evento sono state abbastanza incerte su ambo i fronti e anche all'interno dell'opposizione al castrismo. Chiaramente è lecito e doveroso valutare e "pesare" la portata della suddetta apertura.

In primo luogo, si tratta solo di un primo step verso una eventuale ammissione all'interno dell'organizzazione internazionale, che dovrà, proprio come ha riferito il segretario di Stato statunitense, Hillary Clinton, valutare la posizione dell'isola sul alcune tematiche fondamentali, in primis i diritti umani. In parole povere, un pregiudiziale rifiuto ad un'ammissione è stato eliminato, ma ad oggi mancano i fondamenti che permettano a Cuba di raggiungere gli standard minimi pretesi dall'organizzazione.

Sicuramente lo staff di Barack Obama ha ottenuto un importante successo diplomatico, non tanto nel prendere una decisione in materia (visto che il 60% delle finanze dell'organizzazione è in mano agli americani), ma nell'esercitare un soft power che ha messo di comune accordo tutti i membri dell'organizzazione.

Anche per questa contraddizione interna alla "diplomazia della mano tesa", l'apertura a Cuba ha avuto un certo malcontento in entrambi i paesi. Alcuni esponenti repubblicani come Mario e Lincoln Diaz-Balart di Miami, hanno definito l'Osa "un putrido imbarazzo, un corpo putrescente" scandalizzandosi per il tradimento della natura anti-comunista dell'organizzazione regionale.

Anche a Cuba le reazioni sono state abbastanza fredde. Storicamente La Havana ha sempre visto l'Osa come la longa manus imperialista statunitense sul bacino caraibico e sul Continente latinoamericano. Oltre alla contrapposizione ideologica, anche l'atteggiamento abbastanza compassato, e del Ministro degli Esteri Bruno Rodríguez Parrilla, e di Fidel Castro, pone un serio problema sul seguito dell'iniziativa dell'Organizzazione degli Stati Americani. Nella Cuba dei primi Anni Sessanta circolava il motto: "Con la Oea o sin la Oea, ganaremos la pelea" (Vinceremo la battaglia con o senza l'Osa). E ancora oggi sembrerebbe uno slogan potenzialmente in voga.

Gioiscono alcuni paesi caraibici, in modo particolare la Jamaica, che ospita sui due principali quotidiani dell'isola articoli al limite del sensazionalismo per la "vittoria diplomatica di Cuba". Il motivo è molto semplice. Da un lato, la diplomazia Caricom ha svolto un ruolo importante per la decisione dell'annuale meeting Osa, poiché nello scorso aprile il Primo Ministro di Trinidad, Patrick Manning, si era attivato per un normalizzazione dei rapporti, così come l'ambasciatore della Guyana, Albert Radmin. Altro motivo non secondario è il filo diretto tra le economie dei paesi caraibici e quella di Cuba. Dal 2000, il Caricom ha un accordo di associazione con Cuba, che prevede alcune aree di libero scambio. Chiaramente, un'eventuale adesione di Cuba all'Osa potrebbe essere davvero vantaggiosa per le economie di queste piccole isole.

A livello di diplomazia bilaterale, infatti, Cuba sembra andare più spedita. La scorsa settimana, oltre ad aver ricevuto l'amichevole visita del presidente paraguayano Lugo, vi è stato anche il sigillo della normalizzazione delle relazioni tra Cuba e Salvador, relazioni che si erano rotte dopo la Rivoluzione castrista. In questo caso però si tratta di una apertura determinata da affinità politiche, visto che la controparte è Funes, primo presidente di sinistra del Salvador.


Cuba e il dilemma dell'OEA
di Alessandro Grandi - Peacereporter - 9 Giugno 2009

"L'Osa è un cadavere politico. La verità è che senza l'Oea gli Stati uniti perderebbero uno dei loro principali strumenti politico-giudiziari di controllo dell'emisfero occidentale. L'unica cosa seria da fare sarebbe sciogliere l'Oea e ricostruire una nuova organizzazione di paesi latino americani e del Caribe. Sarebbe l'unica maniera affinchè quest'area possa determinare il proprio destino senza mettere in pericolo la sua identità. Sarebbe anche un modo per andare verso una grande patria unita: come prevedeva il grande sogno di Josè Martì e Simon Bolivar" dice Oscar Sanchez Serra dalla redazione del Granma all'Havana.

In uno dei suoi più seguiti interventi giornalistici, il vice direttore dell'organo del partito comunista cubano, tende a sottolineare come Cuba non abbia bisogno dell'Oea. "Cuba non vuole rientrare nell'organizzazione. Non ne ha bisogno. Non torneremo mai in quel vetusto casermone di Washington, testimone di troppe umiliazioni e vergogna"

L'amministrazione cubana, dunque, non ha nessuna intenzione di rientrare nell'organismo continentale dal quale è stata espulsa nel 1962 durante l'incontro che avvenne a Punta del Este. Più volte sia Raul che Fidel Castro nelle ultime settimane hanno attaccato l'Osa e messo in evidenza le differenze culturali e politiche che impedirebbero un reingresso dell'isola. "Cuba ribadisce ancora una volta che non è sua intenzione rientrare nell'Osa" si legge in una nota diffusa dal governo cubano. "Dal trionfo della Rivoluzione - continua il documento - l'Osa ha giocato u ruolo attivo a favore della politica di ostilità di Washington contro Cuba. Ha ufficializzato il bloqueo economico. Ha disposto l'embargo di armi e prodotti strategici e stipulato l'obbligatorietà che i paesi membri rompessero le relazioni diplomatiche con il nostro stato rivoluzionario. Per troppi anni -conclude la nota - l'Osa ha preteso, nonostante l'esclusione, di mantenere Cuba sotto la sua competenza".

Proprio Raul poche ore fa ha voluto ribadire il concetto. "Cuba rinnega il ruolo dell'Osa". L'Havana, inoltre, ha voluto ringraziare tutti i paesi che hanno voluto "difendere il suo diritto a rientrare nell'organizzazione".

Ma proprio dagli Usa, forse grazie alle continue richieste provenienti dai più influenti stati dell'area, è arrivata una sorta di proposta di avvicinamento. Il presidente Barack Obama, e a seguire il segretario di Stato Hillary Clinton, hanno teso una mano a Castro durante l'ultima riunione dell'Oea in Honduras. "Non possiamo permetterci di essere prigionieri di vecchi disaccordi" ha detto il presidente Obama che ha aggiunto: "Io non sono venuto a discutere ciò che è successo in passato quanto per pensare al futuro. Come buoni vicini abbiamo la responsabilità di riporre fiducia fra noi". Ma dalle parole usate dal presidente Raul Castro "Prima di rientrare nell'Oea il Mare del Nord e quello del Sud si uniranno e un serpente nascerà dall'uovo di un'aquila..." sembra proprio che fra Cuba e l'Oea non ci siano margini di dialogo.


Le bugie di Reporter Senza Frontiere su Cuba
di Salim Lamrani - http://www.voltairenet.org - 30 Maggio 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Ramona Ruggeri

Un reportage con telecamera nascosta, ampiamente diffuso dai maggiori canali televisivi occidentali, mostra la direzione del Melia Cohiba all'Avana vietare l'accesso a internet ai cubani e riservarlo ai clienti dell'hotel. Reportage questo, su cui si fonda la campagna di denuncia promossa da Reporter Senza Frontiere (RSF) contro la censura politica castrista. Problema: questa piccola messa in scena è contraddetta da altri documenti citati dalla stessa pseudo-ONG.


Il 20 maggio 2009 RSF ha pubblicato una dichiarazione su Cuba nella quale si afferma: “chiunque può navigare su internet...a meno che non si tratti di un cubano”. Per sostenere la sua tesi RSF presenta un video, filmato tramite telecamera nascosta, di una scena durante la quale un cubano si vede vietato l'accesso a internet in un hotel [1]. L'organizzazione aggiunge che “colui che naviga su internet rischia fino a vent'anni di prigione per la pubblicazione di un articolo contro-rivoluzionario (articolo 91) e 5 anni per connessione illegale”. Inoltre RSF ricorda che: “Cuba resta la seconda prigione per giornalisti al mondo, dopo la Cina” sottolineando che “24 professionisti dei media” sono “imprigionati col falso pretesto di essere mercenari al soldo degli Stati Uniti” [2].

Risulta semplice mettere RSF davanti alle sue contraddizioni. In effetti, mentre l'organizzazione parigina afferma che nessun cubano può connettersi ad internet, ecco spuntare il link..."il testo della blogger Yoani Sanchez” che vive a Cuba e che si pronuncia apertamente contro il governo dell'Avana tramite internet. Come può la Sanchez esprimersi, se non ha l'accesso ad internet? Il suo ultimo intervento risale al 27 maggio 2009. Ha inoltre scritto il 25 maggio, il 23 maggio, il 22 maggio, il 19 maggio, il 18 maggio, il 16 maggio, il 15 maggio, il 13 maggio, il 10 maggio, il 9 maggio, il 7 maggio, il 6 maggio, il 4 maggio, il 2 maggio, il 29 aprile, il 28 aprile, il 27 aprile, il 26 aprile, il 25 aprile, il 23 aprile e il 21 aprile 2009. Così, durante il mese che ha preceduto la pubblicazione della dichiarazione di RSF riguardo internet a Cuba, Yoani Sanchez ha potuto connettersi a internet, da Cuba, almeno 18 volte [3].

RSF si contraddice scioccamente da una pubblicazione all'altra. Così in un rapporto del marzo 2008 riguardo al giornalismo indipendente a Cuba, l'ente parigino sottolinea che "il blog di Yoani Sánchez fa parte di un più ampio portale, Consenso/Desdecuba.com, animato da 5 blogger e con una redazione formata da 6 persone, il cui obiettivo è essenzilamente commentare l'attualità politica del paese. Il sito può vantarsi di aver raggiunto quota 1,5 milioni di visitatori nel febbraio scorso, a un anno dalla nascita, di cui 800.000 grazie al blog Generacion Y. Più impressionanate ancora, il 26% dei visitatori ha domicilio a Cuba, in terza posizione a seguito di Stati Uniti e Spagna"[4]. Una semplice domanda: come possono "il 26% dei lettori cubani" consultare il blog della Sánchez se è vietato loro l'accesso a internet?[5]

RSF ha utilizzato il caso isolato di un hotel, col supporto di una telecamera nascosta, per generalizzare il divieto d'accesso ad internet all'isola intera e stigmatizzare le autorità cubane. Il colmo della storia è l'intervento di Yoani Sánchez del 23 maggio: "abbiamo fatto un'inchiesta tramite una dozzina di blogger in più di 40 hotel della città e tutti, tranne l'Occidental Miramar, hanno affermato di non essere a conoscenza del regolamento che vieterebbe l'accesso a internet ai cubani". La blogger preferita dei media occidentali è la prima a contraddire le citazioni pretestuose di RSF.[6].

RSF afferma in seguito che chiunque pubblichi un articolo critico nei riguardi del governo cubano è passibile di vent'anni di reclusione e cita, con l'intento di supportare la sua tesi l'articolo 91, senza fornire abbastanza precisazioni. Cosa dice l'articolo 91 del Codice Penale cubano? Eccolo nella sua integrità: "colui che, nell'interesse di una nazione straniera, svolge attività il cui fine è di danneggiare l'indipendenza dello Stato cubano o la sua intergrità territoriale, sarà passibile dai 10 ai 20 anni di reclusione, o di pena di morte". La menzogna sfacciata da parte di RSF è facilmente constatabile. L'articolo in questione, infatti, non vieta affatto la pubblicazione di analisi di carattere eterodosso su internet e non limita in alcun modo la libertà d'espressione. Ciò che viene sanzionato, sono invece gli atti di tradimento alla patria [7].

Questa stessa logica porterebbe ad utilizzare l'articolo 411-2 del Codice Penale francese ("Il fatto di offrire a una potenza straniera, o a un'organizzazione estera o sotto controllo estero, o ai loro agenti o soldati appartenenti alle forze armate francesi, in tutto o in parte il territorio del paese, è punibile con la detenzione per la vita e 750000 euro d’ammenda") o la sezione 411-4 ("il fatto di tenere rapporti di intelligence con una potenza straniera, un'impresa o un'organizzazione straniera o sotto controllo straniero o con i loro agenti, al fine di suscitare ostilità o atti di aggressione contro la Francia, è punito con 30 anni di detenzione e 450.000 euro di ammenda. È punito allo stesso modo il fatto di fornire ad una potenza straniera, ad un'impresa o ad un'organizzazione straniera o sotto controllo straniero o ai loro agenti, i mezzi per intraprendere ostilità o compiere atti di aggressione contro la Francia") per accusare il governo di Nicolas Sarkozy di repressione contro coloro che navigano in internet.

D'altro canto, basta consultare il blog di Yoani Sánchez, estremamente critico nei confronti delle autorità cubane, o leggere gli scritti dell'opposizione per rendersi conto di quanto le accuse fatte dall'organizzazione parigina siano prive di fondamento.

RSF certifica ugualmente che ogni cubano è passibile di "una pena di 5 anni per connessione illegale ad internet". Qui l'ente francese si limita a sentenziare un'affermazione perentoria senza nemmeno prendersi la briga di citare un testo di legge che, evidentemente, non esiste. Ancora una volta, RSF asserisce l'ennesima anti-verità.

Infine, RSF ripete la stessa manfrina assicurando che "24 professionisti dei media" sono "detenuti con la falsa accusa di essere mercenari al soldo degli Stati Uniti". L'organizzazione non è in grado di mostrare coerenza e rigore nei propri documenti. Infatti, nella versione spagnola di questo articolo, parla di non più di "19 detenuti" [9]. Ma i numeri importano poco, la beffa è doppia ancora una volta. Da un lato, sui "24 professionisti dei media" citati dall’organizzazione, solo uno è in possesso di una formazione da giornalista, Oscar Elias Biscet. Gli altri non avevano mai esercitato il mestiere prima di prendere la parte del dissenso.

D'altro canto, questi individui non sono stati condannati per la loro produzione intellettuale sovversiva, bensì per aver accettato compensi in denaro offerti da Washington, passando così da agenti all'opposizione a collaboratori pagati da una potenza straniera, commettendo automaticamente un reato grave punito non solo dalla legge cubana, ma dal codice penale di ogni paese del mondo. Vi sono molteplici prove a sostegno di quanto finora affermato: gli Stati Uniti riconoscono di finanziare l'opposizione interna cubana e i loro stessi documenti lo attestano, i dissidenti confessano di ricevere aiuti finanziari da parte di Washington e anche Amnesty International ammette che le persone incarcerate sono state condannate "per aver ricevuto fondi o materiale dal governo statunitense per delle attività percepite dalle autorità come sovversive o dannose per Cuba"[10].

RSF non è un'organizzazione degna di credito poiché la sua agenda è innanzitutto politica e ideologica. Come si è potuto constatare, è facile mettere l'organizzazione parigina di fronte alle sue contraddizioni e svelarne le manipolazioni. D'altronde, RSF non può godere di nessuna legittimità poiché riconosce di essere finanziata dal National Endowment for Democracy (NED) che altro non è che la facciata ufficiale della CIA , come ha osservato il New York Times nel marzo 1997 affermando che il NED "è stato creato 15 anni fa per continuare a eseguire pubblicamente ciò che la CIA ha fatto per decenni di nascosto"[12].

Salim Lamrani Docente presso l’Université Paris-Descartes e all'Université Paris-Est Marne-la-Vallée e giornalista francese, specialista nelle relazioni tra Cuba e Stati Uniti. Autore di "Cuba di fronte all'impero: Propaganda, guerra economica e terrorismo di Stato", ultimo libro pubblicato in francese: "Double Morale. Cuba, l’Union européenne et les droits de l’homme".

[1] « Restricción del acceso a Internet para cubanos en el hotel Melia Cohíba », YouTube

[2] Reporters sans frontières, « N’importe qui peut naviguer sur Internet… sauf s’il est cubain », 20 maggio 2009 (sito consultato il 20 maggio 2009).

[3] Yoani Sánchez, Generación Y (sito consultato il 24 maggio 2009).

[4] Claire Vœux, Cuba. Cinq ans après le « Printemps noir », les journalistes indépendants font de la résistance, Reporters sans frontières, marzo 2008. Document téléchargeable (site consulté le 20 mai 2009).

[5] Reporters sans frontières, « Cuba : rapport 2008 » (sito consultato il 20 maggio 2009).

[6] Yoani Sánchez, «‘Sentada’ blogger », Generación Y, 23 maggio 2009 (sito consultato il 27 maggio 2009).

[7] Ley n°62, Código Penal de Cuba, Libro II, Artículo 91, 29 dicembre 1987. Documento scaricabile (sito consultato il 24 maggio 2009).

[8] Codice Penale Francese, Parte Legislativa, Libro IV, Titolo 1, Capitolo 1, Sezioni 1 e 2.

[9] Reporters sans frontières, « Cualquiera puede navegar por Internet...salvo los cubanos », 20 maggio 2009 (sito consultato il 26 aprile 2009).

[10] Amnesty International, « Cuba. Cinq années de trop, le nouveau gouvernement doit libérer les dissidents emprisonnés », 18 marzo 2008 (sito consultato il 23 aprile 2008).

[11] « La NED, nébuleuse de l’ingérence "démocratique" », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 22 gennaio 2004.

[12] Salim Lamrani, Cuba. Ce que les médias ne vous diront jamais (Paris : Editions Estrella, 2009), di prossima pubblicazione.