lunedì 29 giugno 2009

Honduras: un golpe già scaduto?

Il tentativo di golpe messo in atto da frange dell'esercito honduregno contro il presidente Manuel Zelaya sembra essere riuscito nel suo intento. Per ora.

Infatti parole dure di condanna contro i golpisti sono venute da tutti i maggiori leader dell'America Latina, dall'ONU, dall'UE e anche dagli USA per bocca di Hillary Clinton che ha parlato di un atto che deve essere "condannato da tutti" e che "viola i principi democratici".

Un golpe che sembra destinato a durare poco, viste anche le migliaia di cittadini honduregni che senza paura si sono già riversati nelle strade in difesa del presidente legittimo Zelaya.


Obama o non Obama, Golpe in Honduras
di Gennaro Carotenuto - www.gennarocarotenuto.it - 28 Giugno 2009

Circa un’ora fa un commando di militari incappucciati ha sequestrato il presidente della Repubblica dell’Honduras Manuel Zelaya.

Nel paese è in corso il referendum per decidere se in novembre si eleggerà una nuova costituente.

Anche la televisione Canal 8 è stata presa d’assalto dai militari e in questo momento non trasmette e il ministro degli esteri Patricia Rodas denuncia che sarebbero in azione francotiratori nelle strade della capitale Tegucigalpa.

Il perché il referendum di oggi abbia provocato addirittura un golpe è presto detto: sarà una pietra miliare nella storia del paese. In Honduras infatti ben il 30% del territorio nazionale è stato alienato a imprese straniere, soprattutto dei settori minerari e idrici. Le multinazionali quasi non pagano tasse in un paese dove tre quarti della popolazione vive in povertà. Così l’opposizione, al solo odore di una nuova Costituzione che affermi che per esempio l’acqua è un bene comune e che imponga per lo meno un sistema fiscale che permetta processi redistributivi, è disposta a spezzare il simulacro di democrazia rappresentativa che evidentemente considera utile solo quando sono i poteri di sempre a comandare.


LA PRIMA Testimonianza dall’Honduras: non credete ai media officiali, la gente vota e resiste!

URGENTE e INAUDITO: Sequestrati gli ambasciatori di Nicaragua, Cuba, Venezuela e il Ministro Patricia Rodas

BARACK OBAMA: "L’unico presidente dell’Honduras che riconosciamo è Manuel Zelaya"

L’UNIONE EUROPEA CONDANNA ALL’UNANIMITA’ IL GOLPE

Ha giurato come presidente il dittatore Roberto Micheletti

Il presidente Zelaya in diretta dal Costarica. Leggi la trascrizione.

Migliaia di persone starebbero affrontando l’esercito e i francotiratori.

Dalle 17 ora italiana a Washington è in corso una riunione urgente CRUCIALE della Organizzazione degli Stati Americani.

Appello per l’Honduras, Comitato italiano solidarietà Zelaya.

Anche la televisione Canal 8 è stata presa d’assalto dai militari e in questo momento non trasmette e il ministro degli esteri Patricia Rodas denuncia che sarebbero in azione francotiratori nelle strade della capitale Tegucigalpa.

Hugo Chávez condanna il golpe e chiede a Barack Obama di pronunciarsi.

Il perché il referendum di oggi abbia provocato addirittura un golpe è presto detto: sarà una pietra miliare nella storia del paese. In Honduras infatti ben il 30% del territorio nazionale è stato alienato a imprese straniere, soprattutto dei settori minerari e idrici. Le multinazionali quasi non pagano tasse in un paese dove tre quarti della popolazione vive in povertà. Così l’opposizione, al solo odore di una nuova Costituzione che affermi che per esempio l’acqua è un bene comune e che imponga per lo meno un sistema fiscale che permetta processi redistributivi, è disposta a spezzare il simulacro di democrazia rappresentativa che evidentemente considera utile solo quando sono i poteri di sempre a comandare.


Golpe in Honduras. Il Presidente legittimo protetto dall'ALBA non si arrende

da Peacereporter - 29 Giugno 2009

Con l'arrivo del presidente legittimo dell'Honduras, Manuel Zelaya, in Nicaragua, è iniziata questa notte la riunione straordinaria dell'Alba, convocata dopo il golpe orchestrato dalla Corte Suprema e effettuato dall'esercito che ha costretto Zelaya a rifugiarsi all'estero e ha imposto quale capo di stato Roberto Micheletti. La ragione sarebbe evitare il referendum previsto per ieri che avrebbe portato a un'assemblea costituente che avrebbe profondamente cambiato il paese.

Ma la Corte Suprema si giustifica: Zelaya voleva far sì di venire rieletto per la seconda volta, per questo doveva essere destituito. I capi di stato presenti al summit, intanti, hanno ratificato il loro impegno per la democrazia e lo stato di diritto.
"Sono vivo per grazia di Dio", ha dichiarato Zelaya, raccontando l'assalto alla casa presidenziale ieri mattina da a parte di alcuni militari golpisti, che lo hanno condotto in Costa Rica.

Alle 5.30 locali di domenica (11.30 GMT) circa ottocento soldati armati fino ai denti hanno fatto irruzione in casa. "Se avete l'ordine di sparare, sparate - ha gridato a quel punto il presidente - perché ciò che state facendo oggi è un offesa per il popolo".
"Ho tutta l'autorità morale per e tutto l'appoggio internazizonale, dell'Organizzazione degli Stati americani e tutto il diritto costituzionale" di riprendere il potere in Honduras, ha quindi precisato davanti all'assemblea degli Stati dell'Alba il presidente hondureno, spiegando che appena l'Alba lo deciderà, lui sarà pronto a riprendersi le redini del paese. "Qui c'è un solo presidente e sta davanti a voi", ha esclamato, accusando alcune cupole militari del colpo di stato, precisando "i soldati sono del popolo".

Quindi Zelaya ha voluto ringraziare il presidente Daniel Ortega per l'invito al summit straordinario dell'Alba e l'intera comunità internazionale per la solidarietà, che ha mostrato il netto rifiuto del governo di Roberto Micheletti.
"Siamo riuniti stanotte di fronte alla tragedia di un popolo fraterno, il popolo dell'Honduras. Siamo convinti che gli honduregni e le nazioni latinoamericane non vogliono che si tinga con il sangue dei fratelli la patria di Morazan", ha quindi dichiarato Ortega. Intanto Hugo Chavez, che da subito si è schierato in difesa del presidente democraticamente eletto, minacciando persino un intervento militare contro i golpisti, ha aggiunto "questo golpe è destinato al fallimento".

Ha quindi invitato i popoli di tutto il continente americano a non limitarsi a condannare le azioni avvenute in Honduras, ma a esprimere la loro solidarietà alla nazione e a Zelaya. "Il Venezuela è pronto a dare una lezioni agli oligarchi" che hanno orchestrato il colpo di stato, ha sottolineato.
Anche il presidente dell'Ecuador, Rafael Correa, ha voluto intervenire in favore di Zelaya, invitando, sulla scia di Chavez, il popolo dell'Honduras a reagire contro "queste cupole di corrotti" che si sono unite per mettere a segno il golpe: "Liberate definitivamente il paese", ha detto. Quindi ha aggiunto: "Il presidente del Parlamento Roberto Micheletti (che ha preso il posto di Zelaya per manu militari) si sta mettendo in ridicolo con il mondo intero". Poi una rassicurazione al presidente legittimo: "Tu trionferai", e ancora "questi codardi devono essere sanzionati, per evitare l'impunità".

Dalle primissime ore della mattina la capitale dell'Honduras, Tegucigalpa, è sorvolata da elicotteri e aerei militari, mentre gran parte della città sta soffrendo interruzioni di energia elettrica e delle comunicazioni.
I canali di televisione e radio sono stati totalmente posti sotto silenzio per ore, dietro ordine del presidente golpista Roberto Micheletti. Questo non ha comunque impedito che centinaia di seguaci del presidente legittimo, Zelaya, si riunissero davanti al palazzo presidenziale, circondata da un impenetrabile cordone militare, per esigere il ritorno del capo di stato. Numerosi gli striscioni con gli slogan "militari golpisti".


Honduras: colpo di Stato. E Washington?

di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 28 Giugno 2009

Sono le sei del mattino a Tegucigalpa, quando duecento soldati golpisti circondano la casa del Presidente della Repubblica in carica, Manuel Zelaya. I golpisti entrano sparando, afferrano il presidente, lo colpiscono ripetutamente e lo trascinano a bordo di un camion militare. Lo portano in una base dell’aereonautica militare alla periferia della città e quindi a bordo di un aereo di Stato che decolla; destinazione San José de Costa Rica. Chiusa con la forza anche l’emittente vicina al governo, Canale 8. Sequestrati gli ambasciatori di Cuba, Venezuela e Nicaragua e la Ministra degli esteri honduregna Patricia Rodas. Dal Costa Rica Zelaya ha rilasciato un’intervista a Tele Sur dove si é detto “vittima di un sequestro, un colpo di Stato, un complotto di un settore dell’esercito”. Ha poi chiesto a Obama “di chiarire se ci sono gli Usa dietro il golpe. Se gli Usa negano l’appoggio ai golpisti, questo insulto al nostro popolo e alla democrazia può essere evitato”. Concetti ripetuti poche ore dopo in una conferenza stampa da San Josè. Da parte sua, Obama si è detto “profondamente preoccupato per l’arresto del Presidente” ed ha chiesto “a tutte le parti di rispettare le norme democratiche”. Parole blande e rituali. Non certo una condanna, almeno nei termini che sarebbe stato lecito attendersi.

Parole semmai che chiariscono l’atteggiamento dell’ambasciatore statunitense, che con straordinario e certamente casuale tempismo, aveva lasciato l’Honduras poche ore prima del golpe per urgenti impegni a Washington. Evidentemente l’ambasciatore esegue ordini. Con questo nuovo “agire non agendo”, la nuova amministrazione Usa, che a Teheran sostiene di non interferire, a Tegucigalpa invece interferisce, dando il via libera ai golpisti. Da due giorni, infatti, le strade della capitale erano invase dai militari in assetto di guerra agli ordini dei vertici politici e militari golpisti. Se Obama si fosse “preoccupato” prima, visti anche i legami di totale dipendenza delle forze armate honduregne da quelle Usa, avrebbe potuto fare ben altro che ordinare al suo ambasciatore di lasciare il paese. Il Parlamento hondureno ha ora nominato il suo presidente quale presidente del paese. Non é legale, é ridicolo. Vedremo se Obama lo riconoscerà. Sarà questo a determinare, fuori dalle parole, le intenzioni della Casa Bianca.

Durissima invece la presa di posizione dell’Organizzazione degli Stati Americani, che per bocca del suo Segretario Generale, Manuel Insulza, hanno condannato con parole di fuoco il golpe e intimato l’immediato rilascio del Presidente. Stessa posizione l’ha assunta l’Unione Europea, che in una dichiarazione emessa al margine del vertice di Corfù, afferma che “questa operazione costituisce una violazione inaccettabile dell’ordine costituzionale in Honduras e la Ue chiede l’immediata liberazione del Presidente ed il rapido ritorno alla normalità costituzionale”. Ma all'autoproclamato nuovo presidente Micheletti, é Hugo Chavez a dire le parole più dure: "Se la nostra ambasciata viene occupata e il nostro ambasciatore viene aggredito, interverremo militarmente per diffendere la sovranità del Venezuela. Non permetteremo che dei gorilla occupino la scena diplomatica. L'autoproclamato presidente Micheletti o finisce agli arresti o all'esilio. Non lo lasceremo nemmeno giurare da presidente".

Zelaya aveva indetto una consultazione popolare per verificare la possibilità di votare, insieme alle elezioni per la Presidenza e per il Parlamento, un’Assemblea Costituente che riformasse la Costituzione vigente, scritta su dettato dell’allora ambasciatore Usa John Negroponte, direttore delle operazioni terroristiche statunitensi in America centrale negli anni ’80. Zelaya aveva chiesto alle forze armate di sostenere logisticamente la consultazione, ma queste si erano rifiutate categoricamente. Il presidente decise quindi di rimuovere il Capo di Stato Maggiore della Difesa, ma la Corte Suprema ordinò il reintegro del militare.

Ma quella della consultazione popolare per riformare la Costituzione, per i poteri oligarchici e militari dell’Honduras è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ben altre le “colpe” di questo Presidente che a livello internazionale si era impegnato in una politica completamente opposta a quella fino ad oggi seguita da un paese considerato da sempre la portaerei statunitense in centroamerica: ingresso nell’ALBA, rapporti strettissimi con Ortega, Chavez e Morales.

Coerentemente con ciò, in politica interna aveva decisamente invertito la rotta storica del suo partito. Manuel Zelaya, infatti, sin dal suo insediamento, aveva preso le distanze dall’oligarchia nazionale e dai militari, chiudendo affari privati a spese dello Stato, perseguendo l’evasione fiscale delle grandi imprese, eliminando il monopolio dell’importazione dei combustibili che rendeva multimilionaria una sola impresa, combattendo l’importazione di armi e medicine che l’editore dei due principali giornali svolgeva in libertà da decenni e, insieme a questo, cancellando i contratti che vedevano assegnare decine di milioni di dollari annui dei fondi presidenziali ai suoi giornali. Ha invece aperto la casa presidenziale ai settori popolari, inaugurando un auditorio pubblico dove i funzionari e i ministri del suo governo dovevano rispondere alle domande che poneva la popolazione.

Nonostante non avesse una maggioranza parlamentare a suo sostegno - sostituita da un rapporto strettissimo con i settori popolari e i sindacati - Zelaya riuscì ad imporre per decreto un incremento sostanziale del salario minimo. Tutto questo, ovviamente, ha inasprito lo scontro con i poteri oligarchici e militari del paese e i media, in mano a poche famiglie, non hanno cessato un momento di attaccarlo e deprestigiarlo in ogni modo.

Persino la volontà d’indire la consultazione popolare per riformare la Costituzione è stata presentata solo come opportunità di cercare la rielezione alla presidenza, mentre si trattava di cancellare una Carta che consegna, né più né meno, il Paese ai suoi padroni, impedendo per legge qualunque pronunciamento popolare, qualunque referendum, sia per questioni di politica estera che interna. Che possano essere i settori popolari a parlare o a poter riscrivere la Costituzione, a costoro non passa nemmeno per la testa. I settori popolari devono stare zitti e a casa, il loro Presidente in esilio. Questo è l’Honduras, la Repubblica delle banane che volle farsi Paese. Vicino, forse troppo vicino, al muro del "giardino di casa".