martedì 2 giugno 2009

Una diserzione ben motivata

Qui di seguito una serie di articoli che contribuisce a ben motivare la scelta di disertare le urne anche quest'anno.


Un Paese per finta
di Carlo Bertani - http://carlobertani.blogspot.com/ - 2 Giugno 2009

E così, andremo a votare.

Usciremo di casa con la tessera elettorale come un tempo con la tessera annonaria: qualcuno convinto, tanti senza un perché. Pochi ci credono, tanti ci contano. E ci conteranno fino ai centesimi di percentuale: sospirando, gioendo, fregandosi le mani per l’ennesimo risultato raggiunto.
Domani sarà un altro giorno e nuovi visi, adombrati di vecchie abitudini, entreranno in sale che sanno di fumo e di cera per sedersi, finalmente, negli agognati posti dove qualcuno dirà loro cosa decidere. Gli altri, andranno al mare. Ma non c’è mare.

C’è coda, tanta coda, un’interminabile coda che inizia già dai passi appenninici e poi giù per la discesa: “Genova-Voltri 10 Km”, ma sono 10 Km interminabili, a passo d’uomo. Fermi. Fa caldo. I bambini chiedono dov’è il mare, perché non arriva, e giocano sui sedili dell’auto con secchiello e paletta. Finalmente: il mare.

Non è più mattina e già il sole volge ad Occidente, ma non importa: c’è il mare. Ma una bottiglia d’acqua costa quanto un’ora di lavoro, mangiare un po’ di pesce il salario di una giornata e non ci sono posteggi: devi lasciare l’auto sui primi contrafforti della collina e poi rifarti a piedi, all’indietro, la medesima strada. I bambini, intanto, frignano e chiedono dov’è il mare e perché non abbiamo portato anche il salvagente, quello grosso a forma di delfino.
Quelli che vanno al mare incrociano quelli che vanno a votare, ma tutti hanno stampato sul viso l’identico punto interrogativo: perché sono qui? Perché devo andare là?

Così, il dubbio si diffonde come il Festival di Sanremo e valica monti e vallate, mari e città: ma non c’è riva alla quale approdare, né mare per salpare.
C’è solo un grande Stivale colmo di gente che s’incrocia, in una terra dove non c’è più lavoro ma il succedaneo del lavoro, dove la cultura la fa solo più l’avanspettacolo, l’istruzione la fanno i passacarte, la spiritualità gli attori, la politica le comparse.
Costruiamo tante case per gente che non c’è, importiamo tanto petrolio per bruciarlo nelle code in autostrada, fingiamo una campagna elettorale per idee che mancano: c’inginocchiamo, preghiamo, c’arrabbiamo, difendiamo, imponiamo, raccontiamo. Ma che cosa?

Il velario delle veline copre l’insulsaggine del nulla. Chi governa non sa come governare e chi s’oppone non sa più a cosa opporsi, ma se tornasse a governare proporrebbe le medesime cose in salsa tartara, cosa ben diversa che farle in salsa piccante. Ovvio.
Quelli che vanno al mare osservano i visi dei cartelloni elettorali: foto truccate e ringiovanite con Photoshop, volti di giovani già pelati come il “Papi” e vecchi rinfanciulliti al Viagra. Tanto c’è la coda, e qualcosa devi pur guardare. Quelli che vanno a votare non guardano quei manifesti, altrimenti sceglierebbero la coda che va al mare.

Passi la frontiera e scopri d’esser uscito dal regno del nulla: anche là c’è la crisi economica, ma la gente continua a ballare, la sera, nei café chantant della Costa Azzurra, al suono di un’orchestrina. Da noi, nessun albergatore, ristoratore, bar o stabilimento balneare riesce più a permettersi qualcosa di più che un semplice campionatore, un organetto tuttofare con un tizio che preme tasti e ripete musichette pre-registrate. La musica per finta: intanto, chiudiamo le orchestre.

Grandi giochi internazionale decretano che l’Italia debba rilevare un pezzo di Germania in salsa statunitense, che Kaiserslautern dovrà diventare una sottospecie del Lingotto. Ma i tedeschi non ci stanno e, pur di non correre il rischio di precipitare nel regno del nulla, scelgono russi e canadesi: costruiranno auto per l’ex URSS. Marchionne, Auf Wiedersehen. A mai più: il nulla fa paura, e le auto costruite per finta non convincono più nessuno.

La nuova strategia? Vendere le Panda 4x4 nel mercato americano facendo credere che siano delle jeep, dei veri fuoristrada: vai, sulle strade che costeggiano il confine canadese, oppure sulle piste presso quello messicano, e corri non il tuo nuovo “SUV” mignon, made in Mirafiori, Torino, Italy.
Perché non abbiamo rilevato la Trabant, già che c’eravamo?

Intanto, nello Stivale, la benzina costa circa 1,30 euro, e quelli che vanno al mare o a votare sacramentano, perché sanno che – con il prezzo del petrolio intorno ai 60 $/barile ed il cambio euro/dollaro intorno ad 1,40 – la benzina dovrebbe costare, per davvero, 1,20. Invece, costa “per finta” 1,30, perché con quei soldi devono pagare la Robin Tax. Ovviamente, i 10 centesimi in più sono per davvero, mica per finta.

Una rossa con calze a rete gira lo Stivale per dire che sì, questo è il Paese del turismo, del rispetto per l’arte e per la natura: qui, sì che si rispettano gli esseri viventi! Per davvero, mica per finta!
Intanto, un montanaro con calzettoni di lana ha già depositato una proposta di legge per far sparare anche i sedicenni, a tutto, ma proprio a tutto: vuoi sparare alle specie protette, nei parchi, ai passerotti, alle lucertole, ai girini? Volta l’auto, esci dalla coda che va al mare ed immettiti in quella che va al seggio. Nel frattempo, carica la doppietta.

Passi il confine – questa volta ad Est, in quello che un tempo era un regno “comunista” – e scopri che alle Kornati, parco naturale, una semplice legge recita “E’ proibito trarre dalle acque qualunque essere vivente”. Fine della legge: nessun comma truffaldino.
La legge è ancora di Tito ma nessuno, dai nazionalisti a scacchi ai socialdemocratici in salsa americana, ha osato cambiarla: mica sono fessi, dopo si ritroverebbero un gioiello naturale per finta.

Da noi, ci ha provato Soru a fare qualcosa del genere e lo hanno impallinato da più fronti: mentre il maggiordomo di Arcore guidava l’assalto frontale, le truppe cammellate dei rais democristi di un tempo, diligentemente migrati nel PD, gli toglievano la terra sotto i piedi. Adesso, andate in Sardegna: andateci in tanti, stampatene il ricordo nella mente finché ancora esiste, prima che arrivi la promessa mannaia del cemento!

Sui teleschermi va in onda a reti unificate la pubblicità dell’ENEL che far girar le pale, ossia gli aerogeneratori, ma l’Italia ha rifiutato alla grande di costruire aerogeneratori in mare, l’unico posto dove non ci sarebbero rompiscatole “esteti” come Sgarbi. Di più: ci sarebbe vento in abbondanza. Non s’ha da fare.

Noi li costruiamo in posti “sicuri”, solo dove i mammasantissima concedono il placet.
E la pubblicità, l’ENEL, le pale che girano? Gli investimenti sull’eolico, l’ENEL, è andata a farli in Texas: e allora…la pubblicità? Mandiamo la pubblicità che fa girar le pale…mentre c’appressiamo a ricevere tutta l’archeologia nucleare che nessuno, nel Pianeta, sa più a chi vendere! Se non esistessero gli italiani, così fessi – si fregano le mani nelle grandi holding dell’ingegneria nucleare – chi ci salverebbe la scrivania?

Anche la rumenta, la comune immondizia, è vera o falsa secondo i casi. Quando ci sono da vincere delle elezioni la rumenta spunta come i funghi a Napoli, per poi scomparire (nascosta in periferia) quando le elezioni le hai vinte. Non c’aspettavamo che ricomparisse a Palermo: ah, già…un Presidente di Regione ha messo alla porta proprio gli assessori del capoccia di Arcore…chissà perché. Roba loro: forse paura per lo strapotere della Lega, per la ventilata riforma federale…chissà..
Un tempo, ti recapitavano la testa di un maiale sotto casa: adesso, qualche tonnellata di rumenta. Eh, i tempi cambiano, e il copione della gran finzione viene aggiornato.

Nel gran can can elettorale vanno di moda i terremotati, perché il terremotato fa audience, fa notizia: se ti giochi bene il terremotato, è come calare un tris con tre jolly. E allora, vai con le interviste! Scava nel volto del terremotato per cavargli un anelito di speranza – a chi vive sotto una tenda, non è rimasto altro – per fargli dire che sì, che spera in Autunno di ricevere le chiavi di una casa. Ma è una casa per finta, perché nel decreto per l’Abruzzo – mica per scherzo soprannominato “Abracadabra” – c’è scritto che la ricostruzione terminerà nel 2032, e non si dice nemmeno dove prenderanno il becco di un quattrino. E quando inizierà? Ah saperlo…l’importante è superare queste elezioni: per quelle da qui al 2032 ci penseremo dopo.

Terminato il festival elettorale, noi insegnanti prenderemo posto nei banchi degli allievi, in una qualsiasi aula dell’istituto e faremo finta di fare gli scrutini. Apriremo i registri, consulteremo i colleghi, ascolteremo la solita tiritera dei Dirigenti Scolastici sulla “prevenzione dell’abbandono scolastico” ed inizieremo il magico rito della transustanziazione, quello che trasforma i quattro in sei. In caso contrario, i giornalisti delle testate locali e nazionali saranno già pronti, matita con punta affilatissima, per vergare e diffondere la notizia con toni allarmati: “Strage al Liceo xy” “Decimazione all’Istituto yz”.

Non sia mai che qualcuno osi correggere il copione, mutare l’abitudine alla finzione, perché nella gran commedia italiana devi vivere rispettando le regole: non importa se, nel frattempo, hanno falcidiato la scuola e più di quello non riesci a fare. Ciò che conta, è rispettare il copione: almeno, non la farai pagare ai ragazzi, quelli che di colpe ne hanno meno di tutti.

Anni fa, quando ero segretario del Consiglio d’Istituto, per un banale errore di battitura scrissi, nel verbale di una seduta, “facente finzione” al posto di “facente funzione”. Nessuno se n’accorse: in modo del tutto inconsapevole, avevo soltanto scritto la verità.



La truffa nucleare
di Daniele Rovai - Altrenotizie - 1 Giugno 2009

Il 28 maggio scorso, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha dichiarato che l’Italia “avrà il suo nucleare”. Saranno decisioni “assennate” e “suffragate da organismi democratici” ma se sarà necessario contrastare le “scontate proteste dei locali”, i siti prescelti saranno controllati anche dai militari. Insomma: il governo parla di scelta democratica voluta dalla maggioranza degli italiani, ma poi avverte che userà la forza se quegli stessi Italiani non vorranno ospitare quelle centrali a casa loro. Da quando in qua una scelta democratica viene fatta non con il confronto e il dialogo ma con l’arroganza e la prepotenza di chi in quel momento comanda? L’uscita del presidente del Consiglio ribadisce la volontà della maggioranza di realizzare un nucleare governativo, militarizzato, usando un’informazione non obbiettiva.

Governativo perché le scelte non saranno democratiche ed il governo avrà comunque l’ultima parola. Sarà il costruttore a scegliere il sito ideale tra quelli messi a disposizione presentando un progetto che sarà discusso all’interno di una Conferenza dei servizi allargata a tutte le parti interessate. Se però non si raggiungerà l’accordo, il governo potrà comunque sostituirsi agli enti locali nelle decisioni da prendere (art. 25, comma 2, lettera d) e dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale soggette a particolari forme di vigilanza (art. 25, comma 2, lettera a). A quel punto nessuno potrà opporsi all’autorizzazione unica che, dice la legge, sostituirà “ogni provvedimento amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, atto di assenso e atto amministrativo, comunque denominati”, costituendo “titolo a costruire ed esercitare le infrastrutture in conformità del progetto approvato”(art. 25, comma 2, lettera h).

Militarizzato perché sarà permesso anche all’esercito di costruirsi, o di far costruire ad un privato, una o più centrali atomiche nei “siti militari, le infrastrutture e i beni del demanio militare o a qualunque titolo in uso o in dotazione alle Forze armate” (art.39, comma 1). Un informazione non obbiettiva, perché dell'argomento si parlerà solo dopo che la legge sarà licenziata prevedendo certamente “una opportuna campagna di informazione alla popolazione italiana sull’energia nucleare”, ma “con il particolare riferimento alla sua sicurezza e alla sua economicità.” (art. 25, comma 2, letttera q).

Diciamola tutta: l’Italia è un paese nucleare da sempre e in questi decenni, senza bisogno di aspettare la nuova legge, c’era la possibilità di costruire impianti di II generazione. Nessun referendum ha chiuso quell’avventura e nessuno di quei vecchi siti è stato mai smantellato. Tutto è come trent’anni fa e, per esempio, se un governo in questi decenni avesse voluto riaccendere Caorso, lo avrebbe potuto fare seguendo la normativa scritta nel decreto legislativo 230 del 15 marzo 1995. Questo documento non solo definisce gli ambiti per la gestione delle sorgenti radioattive usate nella medicina nucleare ma norma, anche, le modalità per la costruzione, l’esercizio e lo smantellamento delle centrali nucleari (Cap. VI, da art. 36 a art. 58). Ed è tuttora valido.

In pratica, non essendoci alcuna legge parlamentare che vieti la costruzione di centrali atomiche sul nostro territorio – al contrario con la legge n. 133 del 6 agosto 2008 si è permesso all’Enel di fare nucleare all’estero disconoscendo un quesito posto dal referendum del 1987 che lo aveva proibito – le regole nucleari da rispettare sono quelle europee. In pratica nei nostri vecchi siti atomici sono vigenti ancora le prescrizioni nucleari degli anni ’70 e, come ha candidamente dichiarato il presidente di EDF - il colosso elettrico francese partner dell'Enel in questa rinascita nucleare italiana - la soluzione migliore “sarebbe mettere le nuove centrali a fianco di quelle vecchie, per le quali i siti erano già stati scelti con cura molti anni fa". Una tesi sposata da Giancarlo Aquilanti di Enel per il quale “sarebbe logico ripartire dai siti che ospitavano centrali nel periodo in cui l’Italia sfruttava l’energia nucleare”.

La nuova legge che il governo si farà approvare tra breve dal Parlamento in realtà non serve a far ripartire l’avventura nucleare. Per quello bastano e avanzano le norme radioprotezionistiche europee recepite nel 1995 con il decreto legoslativo 230, centrali nucleari comprese. Quello che serve é invece la necessità di velocizzare e rendere più snello - qualcuno potrebbe dire più moderno - un iter legislativo burocratico che trova la sua giusta definizione nella ricerca della concertazione, ma che per un governo “del fare” rappresenta solo un impedimento. Lacci e lacciuoli che la nuova legge spazzerà via

E infatti nel disegno legge la parte radioprotezionistica è appena accennata - e si rifà a quella esistente in Europa (art. 29, comma 4) e rappresentata dal D.lo 230 - mentre sono ben definite quelle norme che trasformano scelte democratiche in decisioni coercitive. Esempio lampante, la nascita di una Agenzia di Sicurezza Nucleare che solo nominalmente garantirà un controllo “terzo” sull’attività. Sarà infatti formata da solo 100 tecnici prelevati dell’Apat Nucleare (oggi Ispra) e dell’Enea - cioè gli attuali enti di controllo radiopotezionistico (età media 50 anni) - con assegnati fondi risibili per l’attività che sarà chiamata a fare - si tratta di 500 milioni di euro per il 2009 e di 1.500 milioni per il 2010 ed il 2011 (art. 29, comma 18).

Dopo si vedrà. Neanche fondi ex novo, ma soldi che saranno stornati dalle risorse dell’Apat Nucleare (ora Ispra Nucleare) e dell’Enea. In pratica soldi che saltano da un ente ad un altro che porteranno, insieme al trasferimento dei tecnici, all’indebolimento delle nostre strutture di controllo radioprotezionistiche.

Originariamente l’Agenzia non era nemmeno prevista. E’ stato il PD che ha presentato l’emendamento per crearla. L’idea era quella di contrastare l’esagerata delega che il governo si era procurato promuovendo la nascita di un ente autonomo di controllo. Invece l’Agenzia risponderà solo al governo che ne determinerà gli indirizzi (art 29, comma 15) ed informerà annualmente il Parlamento “sulla sicurezza nucleare” (art. 29, comma 8).

Una conclusione che ha visto il PD astenersi al momento del voto alla Camera con il responsabile per l’ambiente, Ermete Realacci, arrampicarsi sugli specchi spiegando come il voto di astensione sia stata motivato dal fatto che “un grande paese industrializzato come l'Italia deve avere una Agenzia nucleare degna di questo nome” (e detto da un esponente ambientalista non è poco!) ma che questa volontà “non deve essere certo spacciata per un consenso al tipo di scelta nucleare che il governo vuole fare”.

Non potendo bocciare una loro proposta ecco il “ni” che fotografa benissimo le voglie nucleari di un partito che solo a parole si dice antinucleare. Valga l’affermazione trionfale di Matteo Colaninno, che in occasione del voto di astensione, ha dichiarato al Sole 24 Ore del 9 ottobre 2008 come il suo partito sia “risultato essenziale per l'istituzione dell'agenzia, originariamente non prevista dal governo senza la quale nessuna discussione seria sull'uso dell'energia nucleare sarebbe credibile”.

Il Ddl 1195 sarà discusso alla Camera per il terzo ed ultimo passaggio subito dopo le elezioni europee. C’é la volontà di fare presto, come ha ricordato Scajola alla recente assemblea degli industriali, per permettere ai privati, entro la fine dell’anno, di presentare le domande di costruzione. Come aveva detto lui stesso l’anno prima a quella stessa assemblea, la prima pietra sarà posta entro la fine della legislatura. E per adesso i tempi sono ampiamente rispettati.


Nucleare, agli italiani non piace
di Alessandro Iacuelli - Altrenotizie - 29 Maggio 2009

Il mensile La nuova ecologia, in collaborazione con Lorien Consulting, ha svolto uno studio su un vasto campione di italiani circa la produzione energetica del nostro Paese. Lo studio è stato presentato la mattina del 27 maggio a Roma, al Forum QualEnergia, iniziativa promossa insieme a Legambiente e al Kyoto Club. Il risultato potrebbe apparire più che sorprendente a quelle figure - praticamente tutte - del Governo italiano che vantano e ostentano un grande consenso da parte degli italiani anche sulle politiche energetiche. Secondo la ricerca, le fonti alternative piacciono a 8 italiani su 10, il 75% vorrebbe che l'energia fosse prodotta da solare e fotovoltaico, il 60% degli italiani e' contrario al nucleare, per 7 su 10 e' pericoloso. Oltre la metà si opporrebbe "con tutte le forze" alla costruzione di una centrale atomica vicino a casa propria. In generale, le questioni ambientali preoccupano il 68,7% dei cittadini, più del rischio terrorismo e guerre al 22,1% e del problema casa al 4,9%.

Continuando a sfogliare i risultati del sondaggio, si scopre che i sostenitori del nucleare prevalgono tra coloro che si dicono elettori di centrodestra (25,1%), l'energia solare raccoglie consensi superiori al 65% in ogni categoria di elettorato, anche se è più forte nel centrosinistra (82,7%). Il nucleare trova più estimatori tra gli ultra 64enni e coloro che hanno 45-54 anni, il solare ha la massima punta di consenso (93,4%) tra i giovanissimi, quelli della fascia d'età 18-24 anni. Il sondaggio indica infine che il 57,7% degli intervistati sarebbero disponibili a pagare per l'energia prodotta da fonti rinnovabili, contro il 32,3% di contrari.

La fotografia dell'Italia al tempo della crisi economica rivela anche un'altra faccia del Paese: quella che conosce i piani di rilancio dell’economia verde proposti del presidente degli Stati Uniti, ma anche una serie di cittadini intenzionati a costruirsi un futuro più pulito. Dice infatti l'amministratore delegato di Lorien Consulting, Antonio Valente, che dallo studio appare "una consapevolezza che emerge con forza anche quando si tocca un tema di grande attualità come il nucleare".

Finanza, ambiente e fonti rinnovabili sono i temi del momento e in questo quadro dell'attualità succede che clima, limiti delle risorse e nuove fonti, diventano i principali fattori con cui gli opinion leader devono confrontarsi. Il Forum è così stato un'occasione per dare una risposta ai problemi energetici: dai cambiamenti climatici ai limiti delle risorse. Elementi di riflessione anche per i cittadini, consumatori d'energia, che grazie alla loro consapevolezza possono divenire protagonisti delle scelte energetiche. Nonostante questa banale riflessione, non si ha l'impressione che gli opinion leader governativi abbiano la capacità di ascoltare, su questi temi. O quanto meno l'ascolto non trova riscontro nelle politiche reali, volte sempre a massimizzare gli importi degli appalti a privati, e se una centrale nucleare costa di più...

Eppure sembra che l'interesse dei cittadini, almeno quelli intervistati nel campione, prenda a cuore molto di più il mix formato da energia solare ed eolica quello che sta nel cuore degli italiani. Non solo. Il dato forse più significato emerso dall’indagine, come già anticipato, è quello relativo ai sacrifici che gli italiani sono disposti ad affrontare pur di garantirsi un futuro ambientale e dei sistemi di produzione energetici puliti. "Anche in tempi in cui si tende a diminuire il budget quotidiano, gli italiani dichiarano un'aperta disponibilità a pagare di più per garantirsi energie pulite e sostenibili", ha continuato Antonio Valente durante il suo intervento al Forum.

Anche secondo il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, lo scarso indice di gradimento del nucleare dovrebbe fare riflettere: "Nonostante la recente pressione mediatica, la stragrande maggioranza del campione intervistato, a prescindere da fattori anagrafici, socio-economici e di appartenenza politica, definisce l'energia nucleare cara e pericolosa, e privilegia le fonti rinnovabili. Solo una minoranza indica il nucleare come fonte da preferire; minoranza che, di fronte all'ipotesi di abitare vicino a una centrale o a un deposito di scorie radioattive, avrebbe comunque seri dubbi". Il Forum QualEnergia, giunto quest'anno al secondo appuntamento, propone tra i temi la crisi economica e gli stili di vita sostenibili e, nei propositi degli organizzatori, vuole essere un’occasione per dare una risposta ai problemi energetici: dai cambiamenti climatici ai limiti delle risorse.

La crescente attenzione degli italiani per le energie rinnovabili è anche il tema di un rapporto presentato dalla Fondazione Sviluppo sostenibile, presieduta dall'ex ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, secondo cui entro il 2020 un kilowattora su tre (pari al 33%) dell'energia elettrica può essere prodotto utilizzando fonti energetiche rinnovabili. "L’attuale obiettivo di produrre entro il 2020 solo un kilowattora su quattro, pari al 25%, di energia elettrica utilizzando fonti energetiche rinnovabili", sostiene Ronchi, "sarebbe infatti un freno alla crescita del solare, dell'eolico e delle biomasse: si può fare di più". Il 33% di rinnovabili, che corrisponde a 108 terawattora (Twh) di produzione nazionale (partendo dai 58 prodotti nel 2008), comporta l’obiettivo di 50 nuovi TWh rinnovabili da produrre entro il 2020. Tale obiettivo è impegnativo ma, secondo la Fondazione Sviluppo Sostenibile, raggiungibile nel modo seguente: 22 Twh di nuovo eolico, 11 Twh di nuove biomasse e biogas, 7 Twh di nuovo solare, 5 Twh di nuovo idroelettrico.

Staremo a vedere, nei prossimi mesi, come il governo, impegnato in una corsa al nucleare tanto velleitaria quanto improponibile e costosa, riuscirà ad ignorare questi dati ed a mascherare un ampio consenso dietro le proprie, interessate, scelte.



La bomba "Abruzzo" nel Paese dove gli ordigni non esplodono
di Alessandro Tauro - http://alessandrotauro.blogspot.com/ - 30 Maggio 2009

In un paese normale, un paese fatto di individui interessati a qualcosa che non sia soltanto gossip o reality, un paese caratterizzato da una classe politica che, seppure spesso corrotta, sappia come scrivere una legge, in un paese di questo tipo le notizie che sto per riportare avrebbero dato vita ad un terremoto politico di dimensioni quasi irreali.

E curiosità vuole che sia un terremoto, il terremoto, quello vero, ad essere la causa dei fatti che seguiranno.

Ma questo terremoto, come i cittadini abruzzesi temevano sin dal 6 aprile scorso, ha già lasciato il passo ad argomenti reputati "molto più importanti" (il caso Noemi Letizia, i sondaggi di Re Silvio, le finti crisi del governo siciliano di Lombardo, gli scazzi tra Franceschini e i Piersilvio d'Italia e l'aereo di Schifani) e ha portato, ancora una volta, le popolazioni terremotate d'Italia verso l'oblio.

Un oblio che potrebbe essere giustificato se tutta l'emergenza terremoto venisse combattuta e risolta in modo coerente. Sappiamo bene che non è così e lo sapremo meglio nelle prossime righe.

FONDI PER LA RICOSTRUZIONE

I fondi messi a disposizione dal governo per la ricostruzione dell'edilizia privata consistono in 3,1 miliardi di euro disponibili per il periodo che va dal 2010 al 2032 e 2,9 miliardi (aggiunti al decreto solo dopo il passaggio al Senato) disponibili solo dal 2033.
Escludendo questo secondo fattore di spesa (perché è alquanto stupido nonché offensivo immaginare famiglie che rientrino in possesso delle proprie abitazioni nel 2050), i fondi realmente previsti per la ricostruzione ammontano a 3,1 miliardi spalmati in 24 anni.

Per fare un paragone operativo, prendiamo in considerazione il terremoto dell'Umbria e delle Marche dell'autunno 1997. Il governo Prodi stanziò allora per l'edilizia privata 3,5 miliardi per il solo periodo 1998-2008.

3,5 miliardi in 10 anni per 22604 sfollati nel 1998, secondo quanto deciso dal primo governo Prodi.
3,1 miliardi in 24 anni per oltre 65000 sfollati nel 2009, secondo quanto deciso dal quarto governo Berlusconi.

A questo punto dubito che sia necessario un economista per spiegare la profonda diversità di trattamento riservata alle due martoriate popolazioni.

LA REGIONE ABRUZZO SAPEVA

La frase che si è sentita ripetere più spesso in queste settimane è stata: "I terremoti non si possono prevedere".
E' una frase che ha un suo senso, una sua spiegazione scientifica finora mai rovesciata con certezza. Ma è una frase che ha una sua importanza se si stabilisce che sia colpa del terremoto se oltre 300 persone hanno perso la vita nel capoluogo abruzzese e dintorni.
Ma non è così. Il terremoto non uccide, non nel 2009. Con le conoscenze edilizie di oggi, ad uccidere è l'incuria, la dabbenaggine e l'affarismo dell'uomo.

Ad uccidere, tra i tanti, sono stati i vertici della Regione Abruzzo che si sono susseguiti dal 2003 al 2009.
Nel 2003 la Regione Abruzzo commissionò alla Collabora Engineering SpA (una società con capitale misto pubblico-privato, finita sotto inchiesta per presunti interessi illeciti da parte della classe politica regionale abruzzese) un lavoro di censimento di tutti gli edifici pubblici d'Abruzzo allo scopo di valutare i costi di verifica ed adeguamento strutturale degli edifici.
Si temeva che diversi edifici non avrebbero potuto sopportare calamità gravi come un terremoto e si fece quindi una valutazione dei costi per la messa in sicurezza degli edifici, che terminò nel 2006.
Nel 2006 era già pronta la lista: 135 edifici nel solo Comune dell'Aquila che necessitavano di un immediato lavoro di messa in sicurezza. 3 anni fa.

La lista è inquietante: si va dal Terminal ARPA al Teatro Stabile, dall'Asilo Nido alla Prefettura, dall'Ospedale San Salvatore alla Casa dello Studente (in particolare questi ultimi due edifici in lista dimostrano come le autorità sapessero tutto fino in fondo).
Si sapeva tutto. Era tutto scritto nero su bianco. La cosa più buffa? Non è un documento segreto. E' reperibile pubblicamente sul sito del SIGEOIS (Sistema Informativo per la Gestione degli Edifici e delle Opere Infrastrutturali Strategiche), accessibile dal sito della regione Abruzzo.
Basta iscriversi, fare una query di ricerca sui vari comuni abruzzesi ed ecco pronti date, cifre, proprietà e elenco dei problemi strutturali. E sono in mano alla regione Abruzzo da oltre 3 anni.

Le cifre sono spaventose. Per la messa in sicurezza dell'Ospedale San Salvatore servivano oltre 48 milioni di euro. 48 milioni per un edificio il cui costo finale si è assestato sui 100 milioni e che doveva essere, secondo le varie normative, rispondente ai requisiti anti-sisma.
Basterebbe questo per capire la quantità di reati edilizi compiuti nella costruzione dello stabile.

Ma se andiamo ad analizzare un edificio che aveva la stessa priorità di messa in sicurezza, qui l'indignazione si trasforma in incredulità. Sconcerto.
Perché se le cifre richieste per "assicurare" l'ospedale comunale erano, effettivamente, insostenibili in poco tempo, la storia cambia se si parla della Casa dello Studente, ristrutturata ben 3 volte sotto la direzione della Regione di Giovanni Pace (PDL), e rimasta comunque pericolante.
Ma qui il costo per la messa in sicurezza era di 1,470 milioni di euro. Un milione e mezzo di euro è il prezzo della vita di 11 ragazzi, studenti universitari.

La regione sapeva tutto. La regione di Giovanni Pace (PDL) e quella di Ottaviano Del Turco (ex PD). E probabilmente anche quella di Gianni Chiodi (PDL).

IL PIANO C.A.S.E.

Uno degli argomenti più controversi sulla gestione "terremoto" è rappresentato dalle casette d'emergenza, da costruire nei prossimi mesi, il cosiddetto piano C.A.S.E.
L'elenco delle promesse fatte e disfatte su questo tema mettono in luce la assoluta inesistenza di piani concreti e l'insicurezza costituita dai due protagonisti della ricostruzione: il premier Silvio Berlusconi e il Direttore del Dipartimento Protezione Civile Guido Bertolaso.
Basta dare una semplice occhiata al seguente elenco.

1 maggio 2009 - Guido Bertolaso: "3 mila case pronte entro settembre o ottobre".
1 maggio 2009 - Silvio Berlusconi: "Le case saranno pronte entro l'inverno"
2 maggio 2009 - Silvio Berlusconi: "Disponibili per i primi di dicembre, ma mettiamo in conto dei ritardi"
6 maggio 2009 - Sito della Protezione Civile: "Le case saranno pronte prima dell'inverno"
6 maggio 2009 - Silvio Berlusconi: "A settembre le prime case. Per dicembre disponibili tutte per 12 mila persone"
8 maggio 2009 - Guido Bertolaso: "Entro il 30 ottobre contiamo di dare una sistemazione a chi non ha una casa"
14 maggio 2009 - Silvio Berlusconi: "Entro il primo novembre case per 13 mila persone"
29 maggio 2009 - Silvio Berlusconi: "La speranza è che entro la fine di novembre non ci siano più tende".

La speranza. Benvenuti in Italia, dove il governo non utilizza il potere esecutivo quando serve. Ma si limita a sperare.
E a proporre vacanze in crociera per gli sfollati. Per quanti? 65 mila persone? O solo quelli in tendopoli? Con quali risorse economiche, visto che il decreto sui fondi in Abruzzo non prevede nemmeno una sicura copertura finanziaria?
Mancano i soldi per la ricostruzione, ma per un viaggio con Costa Crociere quelli ci sono sempre.

IL MANCATO CONTROLLO SU FONDI E APPALTI

Il 20 aprile il ministro Renato Brunetta, tronfio e fiero del maxi-sostegno popolare, dichiarava:
"La ricostruzione in Abruzzo dovrà obbedire a criteri di efficienza e trasparenza e tutto questo sarà possibile se verrà messo tutto il sistema on line. Se tutti i beneficiari, le ditte, se tutti gli appalti e le spese saranno on line noi avremo 60 milioni di controllori. Un controllo vero e reale, non burocratico, fatto di carte attraverso le carte".

Ancora oggi, però, sui siti internet del governo non c'è alcuna traccia, riferimento o resoconto dei 45 milioni raccolti con le donazioni. Non c'è un'indicazione delle destinazioni e né, tantomeno, di chi si occuperà dell'assegnazione. Per non parlare dei criteri.

I controllori non saranno 60 milioni, come annunciava entusiasta Ministro Insulto, ma saranno un po' di meno. Cinque.
Una commissione di cinque elementi scelti dal governo controllerà la destinazione dei fondi. Una commissione che vede la presenza di spicco del senatore democratico abruzzese Franco Marini, l'uomo che non fu capace nemmeno di controllare cosa stava facendo il suo partito nella sua regione.

Per dimostrare però l'attaccamento ai principi di trasparenza, il premier Berlusconi ha annunciato che la prima gara tra le 13 finora lanciate è stata vinta da un'azienda abruzzese con sede a 5 chilometri da L'Aquila.
Fine delle informazioni. Fine della trasparenza.
L'annuncio è stato fatto, ma l'ufficialità ancora non c'è.
Chissà cosa ci aspetterà per le altre 12, quando anche la stampa si stancherà di riferire le varie assegnazioni. E chissà a cosa andremo incontro quando le ditte si divertiranno a subappaltare il 50% dei lavori (secondo quanto permesso dal governo in via eccezionale per l'Abruzzo, quando invece la normativa nazionale fissa un tetto del 30%).

LO SCIOPERO SEGRETO

In questi giorni tante e tante sono le testimonianze in rete di chi vive in prima persona, da triste protagonista, la vita nelle tendopoli, e parla del regime militare imposto, della Protezione Civile che stabilisce norme e regole nel dominio più assoluto, della mancanza di servizi e del rigido controllo su riprese, foto, incontri e visite di parenti ed amici.

In rete è possibile reperire una quantità stratosferica di queste informazioni. In TV un po' meno. In TV si mostra solo ciò che è consentito mostrare. E nulla che vada al di là della tendopoli di Piazza D'Armi.

E così, assieme alla vita regolare di gruppo in tenda, si ignorano anche notizie come la protesta dei familiari degli studenti vittime del terremoto contro l'assegnazione "honoris causa" delle lauree alla presenza trionfante pre-elettorale del premier allo sciopero annunciato dai Vigili del Fuoco contro la mancata assistenza del governo in termini di uomini e risorse.
Promesse, quelle del ministro Maroni, fatte settimane fa e completamente dimenticate nel corso dei giorni, secondo le accuse di tutti gli organi sindacali dei VdF.
Ma se chi lavora e dedica anima e corpo da mesi all'aiuto alla popolazione di migliaia senza tetto arriva a scioperare contro il decreto del governo, possiamo immaginare quale possa essere il sentimento della popolazione abruzzese.

Ma Mr. 75% non se ne preoccupa. Chissà se avrà ragione...


FONTI:
Osservatorio Costruzione della Regione Umbria
Legge 61 del 30 marzo 1998
Le inchieste su Abruzzo Engineering

La lista degli edifici da mettere in sicurezza


Lotta alla mafia
di Roberto Galullo, ANSA e Elia Banelli - www.pressante.com - 1 Giugno 2009

Black-out sui conti dei mafiosi - di Roberto Galullo

Basta disattivare una password per rafforzare Cosa Nostra. Una sequenza di numeri e lettere che dal 5 marzo è stata tolta alla Procura di Palermo che, da oltre due mesi, non può più monitorare e sequestrare i conti correnti bancari dei boss.

Mentre la repressione va avanti senza sosta – con un'azione investigativa costante anche sul fronte dei rapporti deviati tra mafia e politica, decine di processi in corso e centinaia di arresti di boss e affiliati che sfiancano l'esercito delle cosche - la lotta ai capitali mafiosi, vale a dire il cuore dell'azione di contrasto, fatica.

Con quella password – che apre i file dell'Anagrafe dei rapporti finanziari – magistrati e polizia, sotto copertura dal 5 gennaio al 4 marzo, accedevano ogni giorno ai conti, ai depositi, ai dossier titoli e alle transazioni da un capo all'altro del mondo di Cosa Nostra. «Dalla sera alla mattina – spiega il procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato – i ministeri della Giustizia e dell'Economia ce l'hanno tolta per motivi burocratici dopo avercela data, per grazia ricevuta, a distanza di 18 anni dalle previsioni legislative. La restituzione di quella password, a noi e a tutte le Procure, è la maniera migliore per onorare con i fatti e non a parole la memoria di Giovanni Falcone, della moglie e della scorta, morti 17 anni fa a Capaci».

«Con questa revoca – prosegue Scarpinato – siamo tornati agli anni in cui bisognava fare richiesta di informazioni a ogni singola banca. Nelle regioni del Sud c'è un problema ulteriore: il tessuto creditizio è profondamente inquinato, molte operazioni sospette vengono fatte sparire e non manca chi avvisa i boss delle indagini in corso. In questi mesi, a causa di questo scippo, abbiamo perso l'occasione per sequestrare miliardi. Scandalo nello scandalo, la password non è stata data neppure alla Banca d'Italia che ha il compito di contrastare il riciclaggio dei capitali sporchi».


Tutti pronti per l'Expo...

(ANSA)- MILANO, 25 MAG- La Commissione antimafia nata in seno al Consiglio comunale di Milano, e' stata revocata con una delibera proposta dal centrodestra. Il voto ha scatenato la polemica in aula con l'opposizione che ha deciso di abbandonare i banchi del Consiglio, facendo di fatto venir meno il numero legale.

Una poltrona antimafia all'amico del boss - di Elia Banelli

Raffaele Pippo Nicotra, ex sindaco Dc di Acicatena (un piccolo comune vicino ad Acireale, nella provincia di Catania), è balzato agli onori della cronaca nel maggio 1993 per essersi opposto con grande foga alla decisione di un Questore che negò la celebrazione dei funerali per la morte di Maurizio Farace, cognato di Sebastiano Sciuto, un boss vicinissimo a Benedetto Santapaola (il capo della famiglia catanese di Cosa Nostra).

Nuccio Sciuto, detto “Nuccio Coscia”, oltre a vantare buone relazioni con l’imprenditore Ilario Floresta, eletto sugli scranni di Montecitorio sotto le insegne di Forza Italia, era anche il referente di Santapaola nel territorio acese.

La solidarietà del sindaco Pippo Nicotra si manifestò con il rifiuto di far coprire i manifesti di lutto per il picciotto cognato del boss, e con l’incursione in caserma per far annullare il divieto ai funerali (imposto dalla Questura locale) con tanto di minaccia al capitano.

La ferma opposizione delle forze dell’ordine non gli impedirono di recarsi personalmente al cimitero per abbracciare il boss, episodio che un mese dopo costrinse il prefetto a rimuoverlo dalla carica di sindaco e di consigliere comunale, con il Comune in seguito sciolto per mafia.

In un qualsiasi paese civile la carriera politica di questo personaggio si sarebbe conclusa senza troppi affanni. Ma siamo in Italia e tutto si ricicla (tranne la monnezza).

Pippo Nicotra viene così rieletto qualche anno dopo e si dedica ad un’altra pratica tipica del nostro paese: il trasformismo. Cambia più volte casacche: Nuovo Psi, Nuova Sicilia, Mpa e infine al Pdl per approdare al Parlamento regionale.

Ecco, quale ruolo potrebbe ricoprire un personaggio dai trascorsi in odore di mafia?

Naturalmente la Commissione anti-mafia!

Inoltre è stato eletto, dall’assemblea dei sindaci, alla presidenza del Consorzio etneo per la legalità e lo sviluppo, che gestisce i beni confiscati alla mafia in provincia di Catania.

Se le oscure frequentazioni del passato non fossero sufficienti, Pippo Nicotra ha ricevuto nelle scorse settimane un avviso di garanzia dalla Dda di Catania per favoreggiamento aggravato alla mafia ed in particolare al clan Santapaola, per aver negato durante un interrogatorio di essere stato vittima di un’estorsione.

Insomma l’uomo giusto al posto giusto, poi dicono che in Italia non c’è meritocrazia.


Il caso dei voli di Stato. Da Mastella a Apicella, corsi e ricorsi dei privilegi

di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella - Il Corriere della Sera - 2 Giugno 2009

«Tempo di rumba, tempo di te / Ballo e non ballo: ma perché?», si chiede Mariano Apicella in una canzone. Pare ora per quelle foto che lo mostrano mentre scende da un volo-blu, dei giudici potrebbero farlo «ballare» sul serio. Tanto più che in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti il menestrello del Cavaliere confidava già tutto: «Quando lui ha bisogno mi telefona Marinella, la segretaria: “Mariano, se non hai problemi il dottore ti vorrebbe stasera”. Io vado a Roma, poso la macchina a Ciampino e parto con lui sull’aereo presidenziale. Quasi sempre per la Sardegna, qualche volta per Milano». A spese dei cittadini.

Si dirà: che c’entra? L’aereo pubblico partirebbe lo stesso e un passeggero in più non incide di un centesimo!
È esattamente ciò che disse Clemente Ma­stella, nel settembre 2007, dopo essere stato denunciato dall’Espresso mentre saliva col fi­glio sul volo di Stato che portava Francesco Rutelli a Monza per il Gran premio di F1: «Mio figlio non lo vedo mai, che male c’è se l’ho por­tato al Gran premio? Tanto, se in aereo erava­mo 10 o 15 non cambiava niente».

Eh, no, è una questione di principio, titolò la Padania: «L’inGiustizia vola al Gran Pre­mio ». Il Giornale berlusconiano rincarò: «Non dicevano di voler tagliare i costi della politica? Forse usare l'aereo di Stato più farao­nico che ci sia per assistere al Gp di Monza non è il miglior modo di risparmiare. O no? Per dire: il Gran premio lo trasmettevano pu­re su RaiUno, il cui segnale, ci risulta, dovreb­be arrivare fino a Ceppaloni». E Alessandra Mussolini, furente: «Ho messo sul sito gli indi­rizzi e-mail di Rutelli e Mastella per consenti­re a tutti i cittadini di coprirli di “Vergogna!”»

Dice oggi Palazzo Chigi che i «passaggi» of­ferti al cantautore personale del Cavaliere («Mi disse: “Vorrei avere qualcuno che mi fa un po’ rilassare nei fine settimana”») sono as­solutamente legittimi: «La disciplina dell'im­piego degli aerei di Stato è stabilità dalla Diret­tiva 25 luglio 2008, regolarmente registrata al­la Corte dei Conti, che ne detta le regole per tutte le Autorità ammesse ad usufruirne».

E cosa dice questa legge, che spazzò via quella più restrittiva fatta dal governo Prodi per argi­nare un andazzo che nel 2005 aveva visto im­piegare i voli di Stato per 37 ore al giorno con una spesa di 65 milioni di euro pari al costo di 2.241 (duemiladuecentoquarantuno) biglietti andata e ritorno al giorno (al giorno!) da Mila­no a Londra con la Ryanair?

Dice quella legge (bollata allora da Libero con il titolo «Onorevoli e vip: Silvio allarga gli aerei blu» sotto l’occhiello: «Voli di Stato: la Casta mette le ali») che quelli che Luigi Einau­di chiamava «i padreterni» possono imbarca­re persone estranee «purché accreditate al se­guito della stessa, su indicazione dell'Autori­tà, anche in relazione alla natura del viaggio e al rango rivestito dalle personalità trasporta­te ». Di più: «L'imbarco di persone estranee al­la delegazione non comporta quindi alcun ag­gravio degli oneri comunque a carico dell'era­rio ». Appunto: la tesi di Mastella.

Obiezioni? Ma per carità: la legge è legge. E non ci permettiamo di dubitare che sia stata rispettata fino in fondo. Un conto è il rispetto delle regole formali, però (tanto più se queste sono state cambiate apposta) e un altro è l'op­portunità. È probabile che lo stesso Berlusco­ni avesse tutti i diritti mesi fa di prendere l’eli­cottero della protezione civile per andare a far­si un massaggio alla beauty farm di Mességué in Umbria, come documentò un filmato del TG3.

L’opportunità, però è un’altra cosa. E di­spiace che anche questi episodi, gravi o secon­dari che li si consideri, confermino una certa «rilassatezza» sui costi e i privilegi della politi­ca. Come se la rovinosa sconfitta della sinistra alle elezioni dell'aprile 2008 avesse già saldato il conto tra la politica e i cittadini indignati.

Che la sinistra, incapace di capire l'insoffe­renza montante, meritasse la batosta, lo han­no ormai ammesso in tanti. Compreso Fausto Bertinotti, finito nel mirino proprio per i voli blu: «I nostri gruppi dirigenti? Sganciati e lon­tani dalla realtà dei lavoratori, autoreferenzia­li, così si è venuta formando anche a sinistra una vera e propria casta, un ceto politico inte­ressato solo alla propria sopravvivenza».

Sarebbe davvero un peccato se la destra, che in gran parte cavalcò quei sentimenti di indignazione e oggi, secondo il Pd, triplica (da 150 a oltre 400 ore medie al mese) quei voli blu che ieri bollava con parole di fuoco, pensasse che la grande ondata di insofferenza si sia allontanata per sempre. Peggio ancora se pensasse che non c'è più bisogno di una ro­busta moralizzazione del sistema. Certo, alcu­ne misure sono state prese. La Camera e il Qui­rinale, quest'anno, dovrebbero costare meno dell'anno scorso. Ma già al Senato, ad esem­pio, non sarà così. E molti episodi rivelano una sconfortante indifferenza nei confronti dei tagli e soprattutto delle riforme ancora ne­cessari.

Basti pensare alla recentissima denuncia dei «portaborse» secondo i quali i presidenti delle Camere, dopo avere «annunciato solen­nemente un giro di vite radicale contro lo scandalo dei collaboratori parlamentari assun­ti in nero», hanno riciclato «parola per paro­la, i contenuti di una missiva analoga spedita il 28 marzo 2007» e da loro stessi giudicati «inadeguati».

O all’assenteismo dei nostri eu­ro- parlamentari, 10 dei quali sono tra gli ulti­mi 20 nella classifica. O alla decisione di vara­re l'area metropolitana di Reggio Calabria no­nostante sia per abitanti al 44º posto tra gli agglomerati urbani perfino dietro Aversa, Va­rese, Chiari, Vigevano…

O ancora alla timidez­za nel prendere di petto temi politicamente spinosi come la gestione di carrozzoni quali la Tirrenia o l’Amia, la società che dovrebbe occuparsi dei rifiuti da cui è sommersa a Paler­mo e i cui capi (tra i quali il presidente, pro­mosso a senatore) andavano negli Emirati Ara­bi a «vendere» la raccolta differenziata «alla palermitana» spendendo anche 500 euro a pa­sto.