venerdì 16 ottobre 2009

Afghanistan: elezioni truccate, mazzette acqua e sapone

Ieri il Times ha pubblicato un articolo in cui accusa l'Italia di aver pagato mazzette ai talebani nella zona di Sarobi per evitare i loro attacchi. Le accuse poi si spingono finanche ad addossare all'Italia l'indiretta responsabilità per i 10 soldati francesi uccisi nell'attentato del 18 agosto 2008 alla base di Sarobi, subito dopo il passaggio del controllo dell'area dall'Italia alla Francia.

Naturalmente il governo italiano reagisce sdegnato per bocca di La Russa che definisce "spazzatura" tale articolo.
Anche Prodi interviene dichiarando "Sono accuse che non hanno alcun fondamento. Non ne so assolutamente nulla".

Oggi però il Times esce con un altro articolo in cui si afferma che l'Italia non ha pagato mazzette solo a Sarobi ma anche a Herat.
Comunque sia andata, non sarebbe una novità. Da sempre in guerra si adottano certi metodi che non sono un'esclusiva peculiarità italiana, visto che ad esempio sia gli americani che gli inglesi li hanno già messi in pratica non solo in Iraq ma anche in Afghanistan (se ne parla in un articolo qui di seguito).

Intanto sul fronte delle elezioni farsa per il nuovo presidente, secondo un'inchiesta sui brogli elettorali riportata dal Washington Post, Hamid Karzai avrebbe ottenuto il 47% delle preferenze, e non il 54,6%. E se ciò verrà confermato, Karzai sarebbe costretto al ballottaggio con Abdullah Abdullah.
Una notizia che troverebbe conferma anche dall'ambasciatore afghano negli Stati Uniti, Said Tayeb Jawad, secondo cui "è molto probabile" che in Afghanistan si ricorra a un secondo turno elettorale.

Elezioni quindi ri-truccate quel tanto per arrivare al ballottaggio.
Evviva la democrazia...


Afghanistan, "L'Italia pagava i Taliban". Il governo "Denunciamo il Times"
da www.repubblica.it - 15 Ottobre 2009

Arrivano accuse pesanti dal Times di Londra in edicola questa mattina. Il giornale britannico accusa i servizi segreti italiani e il governo Berlusconi di aver pagato delle "mazzette" ai capi taliban in Afghanistan per evitare attacchi terroristici alla base di Surobi, 65 chilometri a est di Kabul.

Immediata è stata la risposta di Palazzo Chigi, che ha smentito seccamente le accuse: "In relazione a quanto pubblicato oggi dal quotidiano britannico The Times circa l'impegno italiano in Afghanistan - si legge in una nota - si precisa che il governo Berlusconi non ha mai autorizzato né consentito alcuna forma di pagamento di somme di denaro in favore di membri dell'insorgenza di matrice talebana in Aghanistan, né ha cognizione di simili iniziative attuate dal precedente governo".

L'accusa del Times. Secondo il Times , i pagamenti clandestini degli 007 italiani contribuirono alla morte di 10 soldati francesi coinvolti in un attentato il 18 agosto 2008 alla base di Surobi, dove erano subentrati agli italiani un mese prima. Il giornale londinese afferma che gli italiani tennero nascosta la storia dei pagamenti ai francesi, i quali però, vedendo che i colleghi italiani si muovevano con una certa tranquillità, non presero particolari precauzioni. La mancata conoscenza dei pagamenti li avrebbe indotti in errore, portandoli "ad una valutazione errata dei possibili pericoli e quindi alla catastrofe che ne è seguita".

Il quotidiano britannico sostiene di aver appreso queste informazioni da "fonti militari occidentali". Le somme, si legge nell'articolo, ammontavano a "decine di migliaia di dollari", che gli italiani "versavano regolarmente ai singoli comandanti nella zona di operazione delle loro truppe". Secondo il Times, gli americani "sapevano" e avevano manifestato il loro dissenso al governo italiano. In particolare, l'ambasciatore statunitense a Roma, Donald Spogli, avrebbe esposto le proprie lamentele al governo Berlusconi proprio poche settimane prima dell'attacco al contingente francese.

La reazione di Palazzo Chigi. "Accuse infondate", risponde Palazzo Chigi. "A riprova di ciò - recita la nota - è sufficiente ricordare che soltanto nella prima metà dell'anno 2008 i contingenti italiani schierati in Afghanistan hanno subito numerosi attacchi e, specificamente nell'area del distretto di Surobi, il 13 febbraio 2008, nel corso di uno di questi è rimasto ucciso il Sottotenente Francesco Pezzulo".
"Si esclude altresì - conclude palazzo Chigi - che l'Ambasciatore degli Stati Uniti a Roma abbia, all'inizio del mese di giugno 2008, inoltrato al Governo italiano un formale reclamo da parte del suo Paese in relazione ad ipotetici pagamenti in favore dell'insorgenza talebana".

La risposta di La Russa. "Ancora una volta il giornale londinese raccoglie spazzatura": questo il commento del ministro della Difesa Ignazio La Russa. "Le informazioni date oggi dal Times con parole nemmeno di probabillità ma di certezza sono assolutamente spazzatura e come tali vanno considerate", ha precisato il ministro, che ha annunciato l'intenzione del governo italiano di procedere per vie legali. "Ho dato incarico al mio capo di Gabinetto di procedere ad affidare ai legali il compito di denunciare il Times: questa è la mia valutazione".

"La notizia in base alla quale pagavamo i Taliban per non essere attaccati - ha proseguito il ministro La Russa - è offensiva per i nostri morti e per i nostri militari. Nessun organo dello Stato ha mai operato come dice il Times. E per questo ritengo odioso che un giornale che sta operando con un sentimento di anti-italianità abbia dato una notizia senza verificarla. Non fa onore alla testata". L'intento, secondo il ministro, è di gettare fango sul nostro Paese: "mi sembra una delle tante cose che si leggono sulla stampa estera finalizzate a denigrare L'Italia", ha affermato La Russa.

Pdl: "Un altro attacco della stampa estera". "Non ne sappiamo nulla": così Fabrizio Cicchitto, componente del Pdl nel Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir), ha commentato quanto riportato oggi dal Times. "Mi sembra una delle tante cose singolari che compaiono sulla stampa estera", ha aggiunto Cicchitto. "In ogni caso - ha osservato Cicchitto - il crimine che verrebbe attribuito ai nostri 007, cioè di aver lavorato per evitare guai alle nostre truppe, non è secondo me un crimine, ma fa parte del loro lavoro".

Dall'Afghanistan difesa dell'Italia. "Non è possibile, non è vero": ha commentato Fawzia Koofi, vice presidente della Wolesi Jirga, la camera bassa del Parlamento afghano. "In Afghanistan - ha precisato la Koofi in un colloquio con Adnkronos International - circolano molte accuse tra le forze Nato, con i Paesi che puntano il dito uno contro l'altro. Solitamente si tratta di accuse prive di fondamento". Poi l'invito alla cautela: "In un momento delicato per l'Afghanistan, in cui si devono ancora conoscere i risultati definitivi delle elezioni presidenziali del 20 agosto, non è il caso che all'interno della comunità internazionale si inizi con un meccanismo di accuse uno contro l'altro". "Simili atteggiamenti - ha proseguito - non contribuiscono a migliorare la situazione".

Nato e Forze armate francesi "non al corrente". Il portavoce dello stato maggiore delle Forze armate francesi, l'ammiraglio Christophe Prazuck, ha definito "infondato" l'articolo del Times. "Non disponiamo di alcuna informazione che confermi quanto scritto dal Times in merito alla responsabilità indiretta dell'Italia nell'attacco che ha portato alla morte dei 10 soldati francesi", ha dichiarato Prazuck. Secondo l'ammiraglio francese, portavoce si tratta di "voci già sentite che non sono mai state confermate".
Anche la Nato si è detta "non al corrente" dei presunti pagamenti effettuati dai servizi segreti italiani. Per il generale Eric Tremblay, portavoce dell'Isaf, è più frequente che sia il governo afghano a stringere "accordi locali" di questo tipo con i talebani.

Funzionario afgano conferma.
"Molti Paesi della Nato impegnati in Afghanistan pagano gli insorti per fare in modo che i loro soldati non vengano attaccati; tra questi c'è anche l'Italia". Lo ha rivelato all'agenzia di stampa francese (Afp) un alto funzionario afgano, che ha preferito mantenere l'anonimato. "Sappiamo con certezza che le forze italiane hanno pagato l'opposizione armata a Surobi per non essere attaccate", ha dichiarato un'altra fonte militare citata dalla Afp. "Accordi simili - ha aggiunto l'intervistato - esistono anche nella provincia di Herat, secondo le nostre informazioni, da parte delle forze italiane lì schierate". E conclude: "Si tratta di una pratica comune tra i soldati che operano nelle zone rurali dell'Afghanistan, salvo che tra i britannici e gli americani".

In Francia i socialisti chiedono chiarimenti. I socialisti del Psf hanno chiesto al governo francese di far luce sull'articolo del Times. Il capogruppo del Psf in Parlamento, Jean-Marc Ayrault, ha invitato il ministro della Difesa, Hervè Morin, a chiarire eventuali responsabilità dell'Italia nella morte dei 10 soldati francesi nell'agosto del 2008. "E' una cosa molto grave; se è vero chiedo immediatamente che il ministro compaia davanti alla Commissione Difesa e dica quello che sa".

Idv, "il governo riferisca in Aula".
Fabio Evangelisti, vicepresidente dell'Italia dei Valori alla Camera, ha esortato il governo a riferire in Aula al più presto sulla reale portata delle affermazioni riportate dal Times. "I contorni della vicenda - ha dichiarato Evangelisti - appaiono di per sè gravi e degni della massima attenzione e valutazione da parte del nostro governo".


Il Times rincara la dose: gli italiani pagarono i talebani anche ad Herat
da www.corriere.it - 16 Ottobre 2009

Il Times di Londra non solo non smentisce l'accusa. Ma rincara la dose. Nonostante le minacce di querele del ministro della Difesa Ignazio La Russa. E nel numero di oggi spiega: non solo furono dati soldi dagli italiani ai talebani a Sarobi, ma anche nella zona di Herat. E secondo il quotidiano britannico le nostre truppe pagarono anche un capo terrorista poi ucciso dagli americani.

LA STORIA - Secondo il Times nel mese di luglio del 2008, i talebani che agivano nell’area di Sarobi, a est di Kabul, furono avvertiti di un repentino cambio di strategia nella loro lotta contro le truppe della Nato: i loro leader locali, secondo le notizie arrivate ai combattenti islamici, avevano raggiunto un accordo con le forze italiane, in base al quale i soldati non avrebbero messo piede sul territorio controllato dai talebani in cambio di un astensione dagli attacchi. E’ il quotidiano britannico Times a fornire nuovi dettagli sul presunto accordo tra italiani e talebani, dopo che lo stesso quotidiano britannico aveva pubblicato giovedì la notizia di supposti pagamenti agli studenti del Corano da parte dei servizi segreti del nostro paese.

LA NUOVA VERSIONE - Giovedì un comandante talebano della regione di Sarobi ha spiegato al Times come fu raggiunto questo accordo. «Ci fu riferito che comandanti di alto rango avevano incontrato i soldati italiani ed avevano raggiunto un accordo sul fatto che gli uni non avrebbero attaccato gli altri», ha detto Mohammad Ismayel, capo talebano di medio rango, conosciuto semplicemente come Comandante Ismayel.

«Siamo stati informati nello stesso tempo che non avremmo dovuto attaccare le truppe della Nato», ha aggiunto. Ismayel ha confermato di non essere a conoscenza dei termini esatti dell’accordo o di eventuali pagamenti ai leader talebani ma ha asserito che l’accordo vigeva in tutte le postazioni italiane a Sarobi. «Quando sono arrivati i soldati francesi hanno cominciato ad attaccarci», ha detto il comandante talebano al Times. «Noi non sapevamo che si trattava di soldati francesi e pensavamo che gli italiani avevano rotto l’accordo e cominciato a combattere. Dopo abbiamo ricevuto informazioni che non si trattava di italiani e che erano francesi. Così abbiamo cominciato a combattere contro di loro», ha ricordato Ismayel.

Intanto, un alto ufficiale del governo afgano ha confermato al Times che Ghulam Akbari, capo dei ribelli ucciso la settimana scorsa nella provincia di Herat dalle forze speciali americane, era uno di coloro che avrebbero ricevuto denaro dal governo italiano. Il funzionario ha spiegato a condizione dell’anonimato che Akbari era stato pagato per sospendere gli attacchi contro gli italiani. «Ha ricevuto soldi che ha utilizzato per reclutare nuovi combattenti», ha affermato la fonte afgana. «Ha ricevuto cure mediche da personale italiano e denaro: il governo italiano era in contatto regolare con lui attraverso gli agenti dell’intelligence. E’ stato un lungo impegno. C’erano anche iniziative di altro tipo», ha aggiunto senza precisare oltre.

LA POSIZIONE FRANCESE - Intanto il ministro della Difesa francese, Herve Morin, ridimensiona la versione del Times dicendo che ritiene priva di fondamento l'insinuazione che i 10 soldati francesi, uccisi in Afghanistan nell'agosto 2008, morirono a causa del fatto che il contingente di Parigi non fosse stato informato che i servizi segreti italiani pagavano i talebani per evitare attentati. «Non c'è alcuna ragione di dubitare della parole del governo italiano», ha detto Morin ai reporter. «Le autorità italiane hanno già risposto», ha aggiunto Morin. «La loro risposta è sufficiente e non c'è bisogno di insistere con loro. Io non ho alcuna ragione di non avere fiducia nel governo italiano».


Il negoziato che c'è. Lo guidano un generale e un ex del mullah
di Davide Frattini - Il Corriere della Sera - 16 Ottobre 2009

Le linee per trattare con i talebani seguono le tre «d»: definire, dialogare, desistere

Barba all’henné, turbante e occhio guercio. Degli anni al potere con i tale­bani, Arsalan Rahmani ha conservato l’atteggiamento austero, uno sfregio in comune con il mullah Omar, i contatti con gli ex colleghi di regime. Scappato in Pakistan e ritornato nel 2005, è anco­ra nella lista punitiva delle Nazioni Uni­te, ma è entrato in quella dei «modera­ti » che il presidente Hamid Karzai con­sidera indispensabili per tentare un ne­goziato con i vertici della shura di Quet­ta, il governo-Stato maggiore degli in­tegralisti.

Un anno fa, mese di Ramadan, il se­natore afghano si è seduto al tramonto con il re saudita Abdullah per rompere il giorno di digiuno e ascoltare le richie­ste della delegazione talebana, guidata alla Mecca da Mohammed Tayyib Agha, cugino e portavoce del mullah Omar. Che avrebbe portato a tavola la garanzia di aver spezzato l’alleanza con Al Qaeda. Rahmani non le vuol chiama­re «trattative dirette, sono dei contatti sul terreno, che ci permettono di far ar­rivare i messaggi fino al vertice».

An­che perché — ammette — i fondamen­talisti non sono pronti ad accettare un vero negoziato, «fino a quando le trup­pe internazionali non lasceranno il Pae­se». La villa di questo ex ministro del re­gime sta in mezzo ai palazzi del potere. Dall’altra parte della strada, c’è l’ufficio per la Pace e la Riconciliazione, il piano voluto da Karzai e guidato dal suo men­tore Sibghatullah Mojaddedi, che è sta­to il primo presidente dopo il ritiro so­vietico.

Gli americani hanno tagliato i fondi al progetto, perché i tre milioni di dollari per comprare i pastori con il fucile avrebbero stipendiato solo i fede­lissimi di Mojaddedi. I funzionari ri­spondono alle critiche con i numeri dei «convertiti»: 950 prigionieri di Guantanamo e Bagram rilasciati sotto la garanzia dei boss tribali, 22 esponen­ti talebani (e 8.300 combattenti) che hanno scelto di garantire con il pollice bagnato d’inchiostro l’appoggio al go­verno centrale.

Di quelli che restano (l’esercito inte­gralista è ancora stimato tra gli 11 ei 20 mila uomini) si occupa adesso Graeme Lamb. Il generale ha rinunciato alla pensione davanti a un piatto di fajitas, quando in un ristorante messicano dal­le parti del Pentagono, Stanley McChry­stal, comandante della coalizione in Af­ghanistan, gli ha chiesto di ripetere l’operazione-diplomazia che l’ex uffi­ciale dello Special Air Service britanni­co aveva già coordinato per lui in Iraq, negoziando con le tribù sunnite. Le linee per trattare con i talebani so­no state trasmesse dalla squadra di Lamb ai militari sul campo. Seguono le tre «d»: definire, dialogare, desistere.

I soldati «definiscono» l’influenza e il potere di un comandante integralista, «dialogano» con lui per costruire un rapporto di fiducia, fino a farlo «desi­stere » dai combattimenti. Il Consiglio per la sicurezza nazionale — scrive il Los Angeles Times — vuole usare gli agenti della Cia come intermediari e la lealtà verrebbe comprata in contanti.

E’ quello che hanno fatto i britannici nel 2007, secondo rivelazioni del quoti­diano Times . Allora quei 3 milioni di dollari spesi al mercato delle alleanze avevano infastidito i vertici americani, adesso la strategia sembra diventata ac­cettabile, «anche se non ha prodotto i risultati che ci aspettavamo», ammette un diplomatico del Foreign Office.

I ta­lebani avevano ridotto l’intensità degli attacchi solo per un breve periodo. Co­me già avvertiva sessant’anni fa Sir Olaf Caroe, governatore per Sua Mae­stà della North-West Frontier Provin­ce: «Il primo pagamento viene effettua­to e l’atmosfera generale di buona vo­lontà sembra promettere una pace pe­renne. Non è mai stato così».


Mazzette del Sismi ai talebani
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 15 Ottobre 2009

I servizi segreti italiani pagavano mazzette ai talebani per mantenere tranquille le zone attorno a Kabul dove, fino al luglio 2008, operavano i soldati del nostro contingente, per evitare che gli insorti attaccassero le nostre pattuglie. Tale pratica non venne comunicata ai francesi quando questi subentrarono nella zona al posto degli italiani: il risultato fu il tragico attacco talebano del 18 agosto 2008, costato la vita a dieci soldati d'oltralpe.

Lo ha denunciato oggi il Times di Londra, specificando che i pagamenti italiani ai talebani sono stati scoperti dalla Cia per mezzo di intercettazioni telefoniche che provavano il ricorso a questo sistema anche nella zona di Herat.
Intercettazioni che nel giugno 2008 - scrive il Times - provocarono anche una protesta dell'ambasciatore statunitense a Roma, Ronald Spogli.

Sospetti già nel 2007 dopo il rapimento di due agenti del Sismi. Proprio nella provincia di Herat, come ricorda anche il quotidiano londinese, due agenti del Sismi erano stati rapiti nel settembre 2007 mentre stavano trattando con dei capi talebani.
Si trattava dei capi talebani della valle di Zirkoh, nel distretto di Shindand, dove gli italiani sovrintendevano alla costruzione di un ponte.

Allora era al governo Romano Prodi, e Arturo Parisi era ministro della Difesa.
"Con il mio collega - rivelò poi uno dei due agenti segreti, liberati con un blitz delle teste di cuoio britanniche - avevo preso contatti con tutti gli esponenti della valle, compresi i talebani, per assicurare che durante la fase dei lavori non ci fossero violenze nei confronti degli impiegati della società costruttrice".
Uno dei due agenti, Lorenzo D'Auria, che era rimasto gravemente ferito durante la liberazione, morì pochi giorni dopo.

Altro che ‘conquista di cuori e menti'... Secondo una fonte Nato anonima citata dal Times, "l'intelligence italiana pagava decine di migliaia di dollari a singoli comandanti degli insorti per evitare vittime che avrebbero causato problemi politici in patria". "Non ci si può formalizzare su queste cose - ha commentato un ufficiale alleato a Kabul - perché è sensato comprarsi i gruppi locali per mantenere bassi i livelli di violenza. Quello che è folle e non informare di questo i propri alleati".

Altri due ufficiali Nato hanno raccontato al quotidiano britannico che nell'estate dell'anno scorso le truppe francesi che subentrarono a quelle italiane nel controllo del distretto di Surobi, a est di Kabul, non sapendo che i talebani erano stati tenuti buoni dagli italiani a suon di dollari, "pensarono di trovarsi ad operare in una zona tranquilla, dove gli italiani usavano portare i giornalisti per mostrare il successo delle loro operazioni umanitarie volte a conquistare il cuore e le menti degli afgani".

La smentita del governo. La Russa: "Spazzatura". "Ancora una volta il giornale londinese raccoglie spazzatura", la secca smentita del ministro della Difesa, Ignazio La Russa. "Il Governo Berlusconi - aggiunge una nota di Palazzo Chigi - non ha mai autorizzato né consentito alcuna forma di pagamento di somme di danaro in favore di membri dell'insorgenza di matrice talebana in Afghanistan, né ha cognizione di simili iniziative attuate dal precedente governo. A riprova di ciò, è sufficiente ricordare che soltanto nella prima metà dell'anno 2008 i contingenti italiani schierati in Afghanistan hanno subito numerosi attacchi e, specificamente nell'area del distretto di Surobi, il 13 febbraio 2008, nel corso di uno di questi è rimasto ucciso il Sottotenente Francesco Pezzullo. Si esclude altresì - prosegue la nota - che l'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma abbia, all'inizio del mese di giugno 2008, inoltrato al governo italiano un formale reclamo da parte del suo Paese in relazione ad ipotetici pagamenti in favore dell'insorgenza talebana".


Afghanistan, Obama al bivio
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 14 Ottobre 2009

Sono giorni cruciali per il futuro dell'Afghanistan.
Mentre a Kabul si attende il verdetto della Commissione Onu che sta verificando i brogli elettorali alle elezioni presidenziali del 20 agosto per sapere se ci sarà o no il ballottaggio, a Washington il Premio Nobel per la pace, Barack Obama, sta decidendo come rispondere alla richiesta di rinforzi giunta dal generale Stanley McChrystal, comandante delle operazioni militari alleate in Afghanistan.

Mandare al fronte altri 40 mila soldati come chiedono militari e opposizione repubblicana?
Mandarne solo 10-15mila come suggeriscono il ministro della Difesa, Robert Gates, e il ministro degli Esteri, Hillary Clinton?

Non mandarne affatto come chiede il vicepresidente Joseph Biden assieme alla gran parte del Partito Democratico?

O addirittura iniziare un graduale ritiro come chiedono sempre più cittadini americani impensieriti dall'incubo di un nuovo Vietnam?

Ritirare truppe invece che mandarne ancora. Quest'ultima opzione pare sia già stata scartata dal presidente, nonostante i sondaggi che mostrano la crescente contrarietà popolare a questa guerra (due americani su tre non voglio mandare più truppe) e i numerosi pareri di esperti e analisti che suggeriscono un netto cambio di strategia rispetto agli errori commessi da George Bush.

Notevole, tra questi, l'articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista Foregin Policy, edita dal Washington Post, intitolato ‘Definire la vittoria per vincere una guerra. Dopo quasi dieci anni di guerra in Afghanistan, gli Stati Uniti non hanno ancora definito cosa intendono per successo".

Gli autori del pezzo, David Axe, Malou Innocent e Jason Reich, partono dal presupposto che l'intervento militare in Afghanistan deciso dopo l'11 settembre 2001 è motivato dalla necessità di difendere gli Stati Uniti dalla minaccia del terrorismo islamico internazionale di Al Qaida.

"I nemici sono i terroristi, non i talebani". "I talebani e altri gruppi armati locali, come quelli della rete di Jalaluddin Haqqani o dell'Hezb-i-Islami di Gubuddin Hekmatyar, e altre formazioni indigene pashtun, rappresentano una minaccia irrilevante alla sovranità e alla sicurezza degli Stati Uniti. Quindi, portare avanti una campagna di controinsurrezione contro questi militanti non è una pressante questione di interesse nazionale. Di fatto, prolungare la presenza militare Usa in Afghanistan su vasta scala e allargare artificialmente il numero dei nemici, rischia di unire contro gli Stati Uniti questi gruppi guerriglieri, altrimenti irrilevanti. Un regime islamico come quello talebano, magari incoraggiato a moderare le sue frange più militanti, potrebbe diventare un alleato accettabile per gli Stati Uniti", come lo è già stato nella seconda metà degli anni '90, aggiungiamo noi, quando i leader del regime talebano al potere venivano addirittura ricevuti al Dipartimento di Stato e al quartier generale della Cia.

Il parallelo con la situazione somala. Gli articolisti di Foregin Policy sorvolano su questo e, più diplomaticamente, riportano l'esempio della Somalia. "Anche lì Washington ha confuso Al Qaida con un regime nazionalista, quello delle Corti Islamiche che, nonostante l'applicazione della sharìa malvista in Occidente, nel 2006 governavano in maniera efficiente buona parte del paese e godevano di un largo consenso popolare. Le Corti Islamiche erano di fatto la migliore opportunità di stabilità che la Somalia abbia avuto negli ultimi decenni. Ma l'amministrazione Bush non ha saputo distinguere del Corti da quel pugno di rifugiati di Al Qaeda che nel frattempo aveva trovato rifugio in alcuni remoti villaggi somali; distruggere i terroristi implicava distruggere le Corti Islamiche. La disastrosa invasione etiope, sostenuta dagli Stati Uniti, ha scatenato una guerra che non ha facilitato le operazioni contro Al Qaida, ha solo rafforzato i sentimenti anti-occidentali della popolazione locale e la fazione armata somala più radicale, quella di Al Shabaab".

"Solo forze speciali per combattere Al Qaeda". "Sostenere il governo del presidente Hamid Karzai a Kabul non facilita in alcun modo le operazioni contro Al Qaida. Semmai, distrae dall'obiettivo, concettualmente più semplice, di trovare e uccidere terroristi. Senza la protezione degli Usa e della Nato, il regime di Karzai verrebbe, presto o tardi, rovesciato dai talebani, ma questo non vorrebbe dire ‘aver perso' la guerra. Perché la guerra è contro il terrorismo, non contro i governi islamici.

Gli Stati Uniti dovrebbero prepararsi a fare la pace e a trattare con i talebani, incoraggiandoli a scaricare i loro elementi più estremisti. Dopodiché andrebbero formate piccole squadre di forze speciali che, assieme a milizie locali, si muoverebbero agilmente su quel difficile terreno e colpirebbero il ‘vero' nemico con efficacia e rischi minimi.

Operazioni militari su piccola scala condotte in collaborazione con Cia, Fbi e agenzie d'intelligence regionali. Invece di accrescere il numero di truppe, gli Stati Uniti dovrebbero ridurre la loro presenze militare e adottare obiettivi più limitati. Invece che provare a proteggere i villaggi afgani dai talebani, gli Usa dovrebbero concentrarsi sullo smantellamento delle cellule di Al Qaeda, in Afghanistan e Pakistan".