mercoledì 28 ottobre 2009

Miasmi italioti

Qui di seguito una serie di articoli sulla vomitevole attualità italiota.

Gli strati di merda continuano ad accumularsi uno sull'altro e a pesare sempre più.









Cronache dalla barbarie

di Carlo Bertani - http://carlobertani.blogspot.com - 28 Ottobre 2009

Se “l’imbarbarimento” della vita politica italiana fosse solo l’inciviltà che abbiamo sotto gli occhi, potremmo ridere allegramente e nutrirci di sole vignette, che sono – talvolta – esilaranti. Si va dalla carta d’identità di Brunetta, nella quale si vedono solo i capelli, a quelle “meteorologiche” su Berlusconi, il quale – non contento delle mille baggianate che fa raccontare dalle sue TV – s’inventa pure una tempesta di neve su Mosca per non incontrare il suo Ministro dell’Economia. Di questo passo, il nuovo Fascismo Mediatico ci racconterà pure che l’Umbria ha dichiarato guerra alle Marche, e qualcuno ci cascherà.

Non è nemmeno troppo “barbaro” che il Presidente del Consiglio vada a puttane, facendole pagare da un faccendiere della Sanità pugliese, il quale ha probabilmente ricevuto quei soldi dalle commesse di un’amministrazione di centro-sinistra dopo, chiaramente, aver fornito “carne fresca” anche nelle Puglie di “sinistra”.

In questa barbarie casereccia, c’è anche un rispettabilissimo Presidente di Regione che non va a puttane, perché preferisce i trans, e non si sa se li paga con soldi suoi o con mazzette, se ci va con l’auto di servizio oppure con la sua “Panda”, e se i carabinieri che lo scoprono sono delle “mele marce” oppure sapientemente imbeccati. Da chi? Perché?
Ecco, allora, che puttane e trans s’incrociano quando il Presidente del Consiglio telefona al Presidente di Regione:

«Attento Presidente, c’è un video che circola dove sei ritratto mentre te la spassi con “una” che ha un bel batocchio fra le gambe.»
«Non mi dica, Presidente: ma…come ha fatto a saperlo?»
«Me lo ha raccontato – Presidente – un caro amico giornalista – un Direttore, caro Presidente, sia chiaro – il quale s’è visto offrire la “merce” in cambio di denaro.»
«Ma…Presidente, spero che il Direttore non abbia accettato…»
«Certo, Presidente, io sono un uomo d’onore: visto che quel giornale è mio e che quel Direttore è un mio dipendente, puoi stare tranquillo, in una botte di ferro. Come Attilio Regolo.»
«Non so come ringraziarla, Presidente»
«Beh, non farlo sapere i giro – sai – perché non mi piace avere a che fare con quelli che se la spassano con i “batocchi”…io, le mie pulzelle, le faccio urlare di piacere tutta la notte. Come faccio? Una pastiglia, una doccia gelata e via, con il mio medico personale a disposizione nella stanza accanto.»
«Ma, adesso – Presidente – come posso fare?»
«Eh, caro Presidente, stacca qualche assegno dal tuo carnet per tacitare la cosa.»
«Mah, Presidente, e se la cosa non funzionasse, se il ricatto…»
«In quel caso – da Presidente a Presidente – giungerò in tuo soccorso e partirà l’indagine interna dei Carabinieri: le chiameremo “mele marce”, le cacceremo dall’Arma…e via. Ah, solo un’ultima cosa: se staccare gli assegni non dovesse funzionare, alla fine della questione ti toccherà staccare la spina che ti lega alla Regione Lazio.»
«Certo, Presidente: si tratta di una rinuncia che…»
«Non preoccuparti: ti faremo Presidente di una nuova fondazione, quella delle Pari Opportunità Sessuali: oggi una femmina, domani un trans, dopodomani un uomo barbuto, la settimana prossima una giovanetta, poi una capra…tutti uguali di fronte al sesso!»
«Non so come ringraziarla, Presidente…»
«Eh, caro Presidente, quando si è nella stessa barca…oddio, proprio la stessa…con quei “batocchi” no, però…ci si deve pure dare una mano fra di noi, altrimenti, se si sfalda la nostra casta…ci rendiamo conto di dove potremmo andare a finire? Lo sa quanti comunisti con le zanne sono pronti ad assalirci, nascosti nelle cantine di Roma, nelle foreste alpine, sotto i mari? Lo sa? Lo sa che ho dovuto appioppare una bella “tassa” agli italiani – sotto forma di decoder, cavi SCART, antenne e TV da sostituire, quella baggianata della Legge Gasparri e del digitale terrestre… – per consentire loro d’ascoltare Emilio Fede, per continuare la crociata anticomunista? Lo sa?»
«Eh sì, lo so Presidente: sapesse che fatica ho dovuto fare per togliermi di torno qualcuno di quei comunisti dalla Regione…erano della sottospecie domesticus, per fortuna, non i ferox da lei indicati…però…»
«Certo, Presidente, la capisco: resistere!resistere!resistere!»
«Grazie, grazie ancora Presidente.»

Se la barbarie fosse solo questa, potremmo sorridere (amaro) e passar oltre, senza curarci troppo di quanto avviene fra “pulzelle e batocchi”. Oppure credere al minuetto fra Bossi, Berlusconi e Tremonti…al partito “nuovo” che Bersani ha appena battezzato, e che già invecchia e si sfalda mentre è ancora sullo scalo…no…sarebbe soltanto il consueto corollario di una civiltà morente, che rovinerà da sola, senza nemmeno il classico “dito” per la spinta finale. Come dite? Che, crollando, ci trascineranno nell’abisso? Eh, qui no: permettetemi di dissentire, perché nell’abisso ci siamo già oggi.

Il 16 Ottobre 2009, un giovane romano – Stefano Cucchi di 31 anni – viene arrestato per la detenzione di una “modesta quantità di droga”: non viene specificato di quale droga si trattasse. Grazie alla legge partorita dall’oggi “Illuminato” (per qualcuno) Gianfranco Fini e dal compare Carlo Giovanardi (rimasto un ninnolo parlante da sacrestia), quel ragazzo poteva avere anche solo pochi grammi d’hascisc. Destinazione: Regina Coeli.

I genitori – immaginiamoli come tutti i genitori, preoccupati, ansiosi – chiedono subito un colloquio con il figlio in carcere, e lo ottengono per il 23 Ottobre: una settimana per avere il colloquio, eh, l’amministrazione carceraria è lenta…si deve avere pazienza…

Dove, invece, la Giustizia è rapidissima è nel comminare la pena di Morte, come abbiamo ricordato nel nostro “Il Miglio Verde Italiano” [1], ed i genitori – che, immaginiamo, attendono trepidando di parlare con il figlio, di chiedere spiegazioni, sapere come sta… – sono immediatamente “dirottati” all’obitorio dell’Ospedale Pertini (reparto carcerario), perché – quando si dice la sfortuna! – Stefano è improvvisamente spirato nella notte fra il 22 ed il 23 Ottobre. Perché era in ospedale?
Aveva improvvisamente avvertito dei “dolori alla schiena” ed i premurosi carcerieri s’erano immediatamente allertati per farlo ricoverare, affinché ricevesse le necessarie cure. Come no.

I “dolori alla schiena” che il figlio aveva manifestato, si trasformano – meraviglia di una transustanziazione carceraria – in un viso tumefatto, distrutto, quasi irriconoscibile per i poveri genitori che devono, invece di parlare con il figlio, ottemperare all’obbligo del riconoscimento. Qualcuno si rende conto della sofferenza che c’è dietro ad una storia del genere?
E questo caso è solo uno fra i tanti.

Aldo Bianzino, un falegname umbro di 44 anni, viene arrestato in piena notte il 12 Luglio 2007 per la stessa ragione: Bianzino, forse uno degli ultimi hippies, aveva delle piantine di marijuana nell’orto. Condotto nel carcere di Capanne (PG), viene trovato morto nella notte fra il 13 ed il 14 Luglio dello stesso anno, due giorni dopo l’arresto [2].

Nel caso di Bianzino, il “lavoro” è stato eseguito bene: il povero falegname è morto per traumi interni, emorragie invisibili dall’esterno, costole rotte, ecc. Un “lavoro” che solo dei “professionisti” del crimine possono eseguire, gente che ha a disposizione tutto il “necessario” ed ha tempo per farlo.

La vicenda è stata pubblicata anche sul blog di Beppe Grillo, perché è l’apoteosi della disgrazia, di un Fato perverso che sembra allearsi a questi massacratori d’innocenti: la moglie di Branzino – Roberta Radici – muore pochi mesi dopo – ricordiamo, forse, che i nostri “vecchi” dicevano “è morto di crepacuore”? – e lascia solo il figlio Rudra, minorenne.

Non ci dilunghiamo in altri casi, perché sarebbero soltanto delle fotocopie con lievi differenze: chi colpito in modo “professionale” da qualcuno che è stato ben preparato per quelle evenienze, oppure s’utilizza il laissez faire carcerario d’antica memoria. Si muore in una cella, soli, pestati a sangue da qualcuno che non sai se è un detenuto od un agente in borghese, si muore sputando l’anima con un punto interrogativo che serra lo stomaco, che chiede incessantemente perché?perché? perché proprio a me?

Bianzino, Cucchi e tutti gli altri che lasciano la pelle nelle carceri, nelle strutture psichiatriche come Mastrogiovanni, sulla strada come Aldrovandi non sono altro che il manifestarsi – evidente! Solo chi non ha occhi può accampare scuse! – che il “Garage Olimpo” italiano sta funzionando a meraviglia. Uccidono, senza remore, chiunque caschi nella loro rete, facendo ben attenzione a salvare quelli che non devono morire.

Sabato notte, 24 Ottobre 2009, un giovane torna ad Ostia dopo aver trascorso la serata a Roma: non c’è nulla di strano nel suo comportamento – forse, affermano i giornali, “è solo elegantemente vestito” – e ciò basta a tre pezzi di merda (scusate il necessario turpiloquio), che sono appoggiati al muro della stazione Lido Nord per assalirlo, pestarlo a sangue (costole rotte, setto nasale, ecc) al grido di “Frocio, Comunista” [3].

Il commento del sindaco Alemanno è che si tratta di “una vicenda preoccupante” e che ci vuole “più lavoro nelle periferie”. Alla prossima dirà che si tratta di un gesto “esecrabile”, e poi via con tutti i sinonimi dello Zingarelli: finché ci sono aggettivi, c’è speranza.

Da più parti si sostiene che il Belpaese ben si presti per le “sperimentazioni”: qualcuno, addirittura, lo chiama il “Laboratorio Italia”. E, allora, di cosa vi meravigliate? Stiamo qui a discutere se sia meglio andare a puttane od a trans, e se sia lecito esigere – sempre – il rispetto della privacy?

Chi ha rispettato la “privacy” di farsi uno spinello per Aldo e per Stefano? Gli stessi che vanno a puttane e poi sentenziano a morte – sì, perché le leggi le fanno loro – dagli scranni del Parlamento? E qualcuno parla ancora di rispetto per gli energumeni che ci governano?

Per caso, qualcuno rammenta il caso del deputato UDC Cosimo Mele [4], sorpreso durante un festino a “luci rosse” e cocaina in via Veneto: in quel caso, non era tanto una questione morale, quanto l’accusa di spaccio. Ebbene? Cosimo Mele ha ricevuto lo stesso trattamento di Cucchi e Bianzino? E qualcuno, ancora, invoca una “pietosa” e molto anglosassone privacy per questi signori?

Si può parlare a vanvera del Trattato di Lisbona e poi, quando i suoi prodromi – il “Laboratorio Italia” – si manifestano sotto i nostri occhi, non vederli, oppure continuare con un’alzata di spalle facendo i “superiori”, in nome di una morale che dovrebbe essere condivisa, e viene invece derisa?

Gli assassini di Cucchi, Bianzino, Mastrogiovanni, Aldrovandi e tanti altri sono la ferita inferta da questa classe politica di mefitici saltimbanchi ai grandi principi di garanzia del Diritto, dall’Habeas Corpus alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. In quale Paese, un simile stillicidio d’omicidi di Stato non avrebbe suscitato indignazione, ribellione, dimissioni?

In tutti, salvo nel “Laboratorio Italia”, quell’appendice di terra slanciata nel Mediterraneo dove le condizioni sono “ottimali” per sperimentare i frutti del Trattato: una sorta di “Garage Olimpo”, trasposto dall’Argentina dei generali all’Italia dei pretoriani.

E qualcuno, ancora, si “scalda” per difendere il diritto di questa gente ad avere una “privacy”? La loro libertà d’uccidere mentre si garantiscono lusso e piaceri a iosa? Lo faccia pure, ma non s’aspetti d’avermi al suo fianco.

Note:

[1] Vedi : http://carlobertani.blogspot.com/2009/10/il-miglio-verde-italiano.html
[2] Fonte: http://www.informa-azione.info/perugia_morte_in_carcere
[3] Fonte: http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/aggressione-ostia/aggressione-ostia/aggressione-ostia.html
[4] Fonte: http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=14968


Scandali e politica: dietro l’angolo di questa “Repubblica”
di Giancarlo Chetoni - www.rinascita.info - 27 Ottobre 2009

Da dove vogliamo cominciare tanto per stare agli ultimi giorni?
Dalla Lonardo, da Bassolino, dal prefetto Pansa, da Mastella, da Marrazzo, dagli “amici” e “compagni” collusi con una trionfante delinquenza ad ampio spettro che si annida, che trae forza e impunita legittimità dai Poteri Forti?

Da “Cosa Nostra” dalla Camorra, dalla ‘Ndrangheta, dalla Stidda, dalla Sacra Corona Unita, dai Casalesi o dal beverone salvifico costruito dai media di Saviano?

Vogliamo partire dal Pd o dal Pdl, dall’associazione per delinquere, e tutto il resto, o dai ricatti e dalla frequentazione dei trans alle strisce di coca? Dal generale Mori o dalla mafia di Ciancimino? Dal Nord o dal Sud? E’ vero o non è vero che Feltri l’ha mandata a dire su “ Il Giornale” anche a Fini tanto da costringere la terza carica dello “Stato” a utilizzare il patrocinio preventivo dell’on. Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera dei deputati?
L’avevamo detto e scritto.

I miasmi a ben annusare li si sentiva già da un bel po’ di tempo nell’aria. Nelle chiese davanti alla morte si batte le mani, si avvolge nel tricolore le salme degli scomparsi nel fango delle frane ma non quelle dei terremoti. La Repubblica delle Banane ha ormai la buccia color giallo cadavere. Nella gente c’è malessere, sofferenza, estraneità. Stati d’animo che si macerano, per ora, silenziosi all’orlo.

La verità è che gli italiani, non ce la fanno più a sopportare le rapine, i parassiti, i saccheggiatori di tutte le risme, il taglieggiamento, la violenza, l’arroganza, i privilegi di casta, le menzogne, l’arbitrio dei “vip”, la crescente povertà che taglia il fiato e getta alle ortiche la dignità delle famiglie, che brucia l’etica e l’avvenire dei figli. Eugenio Scalfari in un fondo di domenica 25 ottobre sul giornalone di De Benedetti titola così: aria torbida da fine regno… pensando al presidente del Consiglio Berlusconi che non gli va a genio.

Per noi “papi” o “mortadella” pari sono. Le lobbie che tengono in piedi il “Cavalier di Arcore” o hanno sponsorizzato il “professor Nomisma “ nella Corsa a Palazzo Chigi sono le stesse. Le menzogne, le eterne pastette delle riforme, le leggi elettorali truffa, i trasformismi, i rituali, malati, marci della “politica”, il bla bla delle “istituzioni” non bastano più a tenere sotto controllo le metastasi che aggrediscono il Paese.

Se ci mettiamo i delitti di Garlasco a partire da quello di Via Poma, il pastone diventa stordente, avvelenato, capace di uccidere. Il respiro dei Palazzi è corto e affannoso, come quello dei moribondi. La banda suona sulla coperta del Titanic.

Il porno Marrazzo ha avuto l’esplicito sostegno del ministro degli Interni, del leghista, duro e puro, Maroni. Ecco cosa dice l’inquilino del Viminale, lo riportiamo virgolettato, sul governatore del Lazio: “la sfera privata deve essere preservata dalla scontro politico, la vita personale è personale, ognuno può fare quello che vuole. Essendo vittima di un ricatto Marrazzo non credo che debba dimettersi”. Sentito? (Infatti… non si è dimesso, ma sospeso… per restare fino all’ultimo aggrappato alla poltrona).
Ognuno può fare quello che vuole. Più chiaro di così si muore.

Giudizio condiviso dal ministro della Giustizia Alfano, dal capogruppo dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto rammaricato per le annunciate dimissioni dell’ex conduttore di “Mi manda Rai 3”. A “sinistra” tra gli sponsor e i candidati alla segreteria del Pd la preoccupazione che dilaga è quella che l’affaire, puzzolente come una fogna stagnante, di Via Gradoli tagli le gambe alla “partecipazione popolare “ alla scelta del neo-segretario Pd. Marrazzo, a sorpresa, incassa anche la solidarietà del capogruppo dei senatori del Pdl Gasparri.

Papi con Noemi e le sue puttane, pardon … escort, a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli ci fa un autentico figurone, naturalmente lasciando fuori gli amici di Tarantini che hanno gli stessi vizietti afrodisiaci dei (delle?) brasileros Natalina e Brenda, affittate a 3.000 euro a botta da Marrazzo quando milioni di uomini e di donne, disoccupati, precari o pensionati cercano disperatamente di mettere insieme pranzo e cena.

Nelle dichiarazioni di Maroni e nelle difese di ufficio della “maggioranza”, affiora, al di là dell’improponibile e del ridicolo, una paura folle: la tenuta del sistema politico e istituzionale dell’ Italietta.

Nella stanza di Villa Piccolomini, sede di rappresentanza della Regione Lazio, accanto alla colossale scrivania dell’ ex (?) presidente della Regione Marrazzo che se la fa con i trans, c’è in angolo la bandiera della Unione Europea e quella del Bel Paese.

Sulla parete damascata di velluto rosso c’è una gigantografia in cornice a foglia d’oro di Giorgio Napolitano, il Padre della Patria, il Comandante Supremo delle Forze Armate e del Consiglio Superiore della Magistratura che per Marrazzo come per Fini ha sempre avuto un debole.

Ci auguriamo, vi auguriamo, che delle gocce di imprevedibile possano far tracimare, oggi, domani, il prima possibile, il bidone di percolato ormai all’orlo, qualunque cosa possa esserci dietro l’angolo.


Coincidenze parallele
di Teo Lorini - www.ilprimoamore.com - 26 Ottobre 2009

Molte riflessioni si stanno dipanando in queste ore dal complicato garbuglio di omissioni e ricatti, video apparsi e scomparsi, smentite e ammissioni che ha per protagonista il presidente PD della regione Lazio, Pietro Marrazzo.

A cominciare dalla constatazione (ovvia ovunque tranne che in Italia) per cui è inammissibile che sia esposto a ricatti il titolare di una carica politica di quel livello e –a maggior ragione- il detentore di un ancor più importante incarico. Perché allora Marrazzo si sospende dalla carica e non lo fa invece il primo ministro che da mesi ha ammesso, con l'ardito eufemismo "non sono un santo", di essere un puttaniere e del quale sono, per di più, provati gli intensissimi rapporti con un corruttore sotto inchiesta per induzione alla prostituzione, ma anche per detenzione di cocaina a fini di spaccio?

Più a fondo ancora ci si potrebbe chiedere, come fa Piergiorgio Paterlini, se tutto si possa ridurre alle usurate categorie della 'debolezza', degli ormai logori vizi privati e delle sempre più implausibili pubbliche virtù o se invece non si debba almeno tentare un'esplorazione più ampia, nei campi ancora ostinatamente tabù "del desiderio, dell'identità, del sesso che si paga".

L'affaire Marrazzo, però, non è solo l'occasione per ragionamenti e argomentazioni ma è anche un fatto di cronaca che si sostanzia di dati e risultanze. Dal primo lancio dell'Ansa sulla vicenda, i giornali hanno raccolto e rilanciato un numero molto ampio di informazioni, non sempre in perfetta coerenza le une con le altre. Quanti sarebbero i video? Quali i nomi delle transessuali con cui Marrazzo si accompagnava? Quanti i carabinieri coinvolti? Quanti direttori di giornale erano in possesso del filmato tramite il quale Marrazzo veniva ricattato?

Agli inquirenti che si dovranno orizzontare in tanta complessa materia non sarà però sfuggito il ricorrere, nel materiale di indagine, di un elemento suggestivo. L'incontro nel quale Marrazzo sarebbe stato filmato dai carabinieri che lo hanno ricattato si è svolto a Roma, in un appartamento sito in via Gradoli 96.

Chi ha più di trent'anni non faticherà a riconoscere questo indirizzo. La mattina del 18 aprile 1978, in pieno svolgimento del sequestro Moro, nell'appartamento sito al secondo piano, interno 11, di via Gradoli 96 qualcuno trova il modo di incastrare tramite una scopa la bocchetta della doccia e di puntarla verso una fessura fra le piastrelle del bagno. Una volta aperto il rubinetto, l'acqua filtra nei muri, allaga le intercapedini sino a quando una vasta macchia si allarga sul soffitto dell'appartamento di sotto, dove l'inquilina è costretta a chiamare prima l'amministratore e poi i pompieri.

È in questo modo che viene scoperto il covo brigatista in cui è alloggiato, con il nome falso di Mario Borghi, nientemeno che Mario Moretti, il capo delle Brigate Rosse. Su quel ritrovamento tutt'altro che casuale, si è parlato a lungo, tanto nelle varie commissioni parlamentari d'inchiesta, quanto in libri di storici, politici e saggisti intenzionati a indagare i troppi misteri d'Italia in cui non è difficile supporre l'intervento dei Servizi segreti. È il caso, ad esempio, del celebre tramezzo di un altro covo BR, quello milanese di via Montenevoso.

In quel bilocale che i carabinieri al comando di Dalla Chiesa "scarnificarono mattonella per mattonella", rimase però occultata una copia completa del Memoriale di Aldo Moro, comprensiva delle pagine in cui Moro rivelava alle BR l'esistenza di una struttura clandestina, Gladio, creata dalla Nato in funzione antisovietica e ignota persino al Parlamento italiano. Rimaste celate (dietro il citato tramezzo) per oltre 12 anni, quelle pagine riapparvero nel 1990. All'indomani, guarda caso, della disgregazione del blocco sovietico.

Nel caso del covo di via Gradoli, però, il ruolo degli apparati è qualcosa di più di una fantasticheria per amanti delle cospirazioni. Come ampiamente documentato dal senatore Sergio Flamigni in Il covo di Stato (Kaos edizioni, 1999), lo stabile dove Moretti aveva affittato sin dal dicembre 1975 un appartamento in cui visse per tutto il primo mese del sequestro Moro, era amministrato da un sistema di scatole cinesi di società-ombra, immobiliari, fiduciarie e finanziarie, connesse ai servizi e ad essi in toto riconducibili.

"In pratica" scrive Flamigni "nella primavera del 1978 ben 24 appartamenti della palazzina di via Gradoli 96, sede del covo BR, erano di proprietà di società immobiliari nei cui organismi societari figuravano alcuni fiduciari del servizio segreto civile (Sisde). A Roma e circondario si contano più di un milione di abitazioni, ma le BR morettiane che progettarono e attuarono il sequestro di Aldo Moro insediarono il covo-base dell'operazione proprio in via Gradoli 96, in un'abitazione letteralmente circondata da appartamenti la cui proprietà era controllata da fiduciari del servizio segreto del Viminale."

Interessante anche la figura dell'amministratore del palazzo, Domenico Catracchia, professionista di fiducia del Sisde e amministratore dei beni di Vincenzo Parisi, il futuro capo del Servizio che aveva acquistato nel settembre 1979, appena un anno dopo il delitto Moro, proprio l'appartamento-covo di via Gradoli. Interrogato dalla Digos lo stesso giorno della "scoperta"

"Catracchia dichiarò: «Sono amministratore dello stabile sito in via Gradoli n° 96. Riscuoto gli affitti di tutti gli appartamenti del suddetto stabile, tranne quello nella palazzina Imico, scala A, int. 11, 2° piano, che è di proprietà del sig. Ferrero-Bozzi, il quale lo ha affittato direttamente all'inquilino», cioè al capo delle BR che dovevano preparare il sequestro Moro […] Di norma gli inquilini pagano l'affitto direttamente al proprietario, ma in via Gradoli 96 questa regola valeva esclusivamente per il capo delle BR, Mario Moretti.

A questa macroscopica incongruenza gli inquirenti non prestarono alcuna attenzione, né prestarono attenzione allo strano ruolo del Catracchia il quale, riscuotendo personalmente gli affitti pagati dagli inquilini, garantiva di fatto una copertura agli effettivi proprietari degli appartamenti. In pratica, il ruolo operativo di Catracchia faceva da schermo alle società immobiliari e agli studi commercialisti che le gestivano".

Insomma, la palazzina in cui nasce lo "scandalo Marrazzo" è un edificio ben noto ai servizi. Gli stessi servizi da cui, secondo diversi analisti, proverrebbe la velina che definiva Dino Boffo "noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato" e che Vittorio Feltri allegò disinvoltamente a un vero certificato giudiziario (quasi si trattasse di documenti ufficiali di pari valore) nella serie di articoli che portò alle dimissioni del direttore di 'Avvenire'.
Dopo quella vicenda, diverse voci dell'entourage del premier sono tornate a minacciare l'esibizione o il recupero di succulenti fascicoli da adoperare alla bisogna.

Berlusconi in persona aveva dichiarato: "da editore ho stracciato molti servizi e fotografie" e, più di recente, ha annunciato che ne sarebbero venute fuori "delle belle" sul giudice della sentenza Mediaset-Cir. Alla lista delle dichiarazioni si aggiunge Feltri, che ha ricevuto una querela da Gianfranco Fini per aver minacciato esplicitamente di ripescare un dossier a luci rosse su un esponente di Alleanza Nazionale, né poteva mancare Emilio Fede che il 21 giugno in uno dei suoi strabordanti editoriali ha parlato di "scheletri negli armadi" chiedendo: "Li vogliamo aprire?".

Qualcuno potrebbe argomentare che il primo a essere fatto oggetto di curiosità e reportage è stato Berlusconi. Ma mentre i maneggi del premier con prostitute, attricette, candidate e così via emergono per così dire "in diretta", per effetto di valide inchieste giornalistiche e (non di rado) per il suo stesso cospicuo contributo (come ad esempio le molte contraddizioni del 5 maggio di Porta a Porta, puntata: "Adesso parlo io"), per i personaggi poco graditi al governo, le rivelazioni imbarazzanti o, meglio, il loro ripescaggio arriva sempre "in differita", al momento opportuno.

È il caso di Boffo, la cui condanna per molestie risaliva al 2004 e, ora, di Piero Marrazzo: il video del ricatto, (che secondo il Corriere pare fosse in circolazione già in agosto, tanto da essere oggetto di un'inchiesta giudiziaria) viene alla luce ora, in prossimità di elezioni regionali che si preannunciano molto tese, soprattutto per la pretesa della Lega di avere una presidenza di Regione (verosimilmente quella del Veneto).

Quella di fabbricare dossier sugli avversari, magari con l'aiuto degli apparati di intelligence è un'antica tradizione italiana. Nella storia della Repubblica si può risalire almeno sino al 1964 e alla lista di "enucleandi" stilata dal Sifar per ordine del generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, spalleggiato da importanti esponenti della DC. Ma anche nell'attuale maggioranza ci dev'essere chi non disprezza tale tecnica, almeno a giudicare dall'imponente centrale di dossieraggio fasullo scoperta il 5 luglio 2006 in via Nazionale a Roma e gestita da un funzionario del Sismi, Pio Pompa, assunto direttamente dal generale Niccolò Pollari, a sua volta nominato ai vertici del servizio nell'autunno 2001 da Silvio Berlusconi.

Gli editoriali parlano sempre più spesso di "imbarbarimento", di "torbidi", di "ultimi giorni dell'impero". L'affaire Marrazzo è un'altra tappa di questo declino, ma lo spettro di coincidenze che vi aleggia intorno partendo dalla palazzina di via Gradoli, colora di bagliori ancor più foschi tutto quanto il contesto. Un Contesto che, coincidenza per coincidenza, pare opportuno rileggere. A sollievo, almeno parziale, della concitazione di questi complicatissimi mesi.

La ragion di Stato, signor Cusan: c'è ancora come ai tempi di Richelieu. E in questo caso è coincisa, diciamo, con la ragion di Partito…


Appuntamento in via Gradoli
di Antonella Randazzo - http://lanuovaenergia.blogspot.com - 27 Ottobre 2009

Ritengo che i personaggi politici debbano essere giudicati soltanto per ciò che riguarda la “cosa” pubblica, e non per le vicende private. Non mi sembra indice di civiltà il mettere alla gogna un personaggio per le vicende private. Ovviamente, non è il massimo avere come autorità personaggi che fanno uso di droga e che partecipano a festini a luci rosse.

Stando alle parole dei “trans” che ricevono in via Gradoli a Roma, sarebbero tanti i personaggi della politica e dello spettacolo che frequentano via Gradoli, e pagherebbero in media 1500 euro per “appuntamento”. La cifra si alzerebbe se viene fatta richiesta, oltre che di sesso, anche di droga. Qualcuno conferma che il "vizietto" di Marrazzo sarebbe assai diffuso in ambienti politici e non solo.

Spiega il giornalista e presidente dell'Italia dei Diritti Antonello De Pierro: "Molti politici in questo momento stanno tremando. Soprattutto se viene confermata la holding del ricatto messa in piedi dai quattro carabinieri. Altri politici potrebbero essere ricattati. All'epoca c'era un noto personaggio di Centrodestra che aveva lanciato una crociata contro i trans. Ma aveva ricevuto delle foto che ritraevano il figlio in compagnia di un trans e aveva quindi fatto marcia indietro... Più volte ho ricevuto informazioni su molti personaggi famosi della politica, dello spettacolo e dello sport, dediti a queste debolezze private... I trans lavorano per strada, per esempio in via Gradoli, ma hanno anche inserzioni sui giornali. I politici preferiscono gli stranieri, perchè li riconoscono meno. Ma alcuni si fidano e vanno anche con i trans italiani" (vedi http://www.affaritaliani.it/politica/marrazzo_palazzo_trans261009.html).

Lo squallore di tutto questo però non deve farci dimenticare che quando un personaggio viene messo alla gogna mediatica è perché sta facendo qualcosa non in linea con i suoi padroni.
In questi giorni, i personaggi politici sembrano essersi trasformati, grazie alle colpe del collega, in cavalieri senza macchia, additando il “reo” e punendolo con espulsione ed ostracismo.

Qualcuno ha detto che nell’attuale sistema i personaggi che avranno ruoli importanti saranno quelli “ricattabili”, ovvero che nella propria vita (anche privata) hanno comportamenti che la maggior parte dei cittadini giudica negativamente, specie se, come Marrazzo, si vantano di essere cattolici e di credere nei valori della famiglia.

Perché devono essere ricattabili? Perché, se dovessero voler uscire dal recinto può scattare lo “scandalo” che li distruggerà irreversibilmente.
Questo spiegherebbe perché fra milioni di italiani onesti, che credono veramente nei valori morali e della famiglia, sarebbero scelti personaggi di cui, all’occorrenza, si può svelare la moralità non ineccepibile.

Ma cosa avrebbe fatto Marrazzo di così grave da meritare la gogna mediatica sui suoi “vizietti”?
Probabilmente lo sapremo meglio in futuro, ma oggi possiamo constatare che egli aveva talvolta assunto posizioni non popolari fra il gruppo politico, facendo emergere che l’economia italiana era in agonia a causa delle banche, che col pretesto della “crisi” erano diventate assai avare, costringendo non poche aziende a fallire.

Il 24 Settembre 2009, Marrazzo fece una dichiarazione:
“Bene esito tavolo credito, ora le banche accelerino i tempi. Ritengo senza dubbio positivo l’esito del tavolo del credito: abbiamo voluto far sedere attorno allo stesso tavolo le associazioni imprenditoriali e i principali istituti bancari di Roma e del Lazio con l’obiettivo di fare il punto, insieme, su un capitolo determinante come quello del credito. La portata della crisi che sta investendo le imprese, come evidenziato anche dal rapporto presentato oggi dalla Cna, impone risposte immediate. Da parte nostra le risorse e gli strumenti ci sono. Ora però il momento di accelerare i tempi e renderli pienamente operativi. Ecco perché abbiamo ritenuto opportuno sollecitare il sistema bancario a fare la sua parte, perché è proprio sul versante della liquidità, e quindi del credito, che si fondano le necessarie azioni per consentire al tessuto imprenditoriale di uscire dalla crisi.”(1)

Di sicuro non sono stati pochi i momenti di contrasto fra Marrazzo e l’attuale governo, nonostante le strombazzate su un presunto “avviso preventivo” di Berlusconi sembrerebbero suggerire una specie di “solidarietà” fra l’ex presidente regionale e l’attuale capo di governo, che, com’è noto, di “scandali sessuali” è ormai saturo.
Tutti i giornali di regime hanno stigmatizzato l’ex presentatore, mettendo in risalto la “ricattabilità”. I partiti hanno rafforzato la gogna mediatica.

Sicuramente Marrazzo, negli anni del suo mandato, ha talvolta agito in modo diverso rispetto alla comune tendenza politica. Ad esempio, quando ha accolto i rappresentanti dell’Associazione Italia-Palestina e dell’Avad, Associazione Volontaria Assistenza Disabili. Con la collaborazione della Mezzaluna Rossa Palestinese in Italia, si rendeva possibile l’accoglienza in Italia, assieme ai loro familiari, dei bambini di Gaza che avevano bisogno di cure mediche. Il presidente Marrazzo ha sostenuto tale progetto, in tempi in cui persino i vecchi fascisti si recano in Israele a fare cordoglio.

Di certo Marrazzo, salito al potere nella Regione Lazio, si trovò ad affrontare diverse “patate bollenti”. Ad esempio, quella del settore sanità, quella edilizia e quella relativa ai prestiti bancari.
Egli fece capire che la “crisi” era dovuta a problemi di accesso al credito, e per questo decise di utilizzare la Banca Impresa Lazio (Bil) per garantire l’accesso al credito alle piccole e medie imprese.

Per quanto riguarda la sanità, Marrazzo decide di assumere ad interim l'assessorato alla sanità, in modo tale da poter affrontare “di petto” le varie disfunzioni e gli indebitamenti della sanità regionale. L'indebitamento della spesa sanitaria sarebbe stato di almeno 9 miliardi e 700 milioni. Marrazzo cercherà di far scendere il disavanzo, controllando le strutture sanitarie.

Egli suo malgrado avrà a che fare con lo scandalo sollevato dalla "Lady Asl", al secolo Anna Iannuzzi, le cui confessioni faranno emergere nel luglio 2006 falsi mandati di pagamento e tangenti pagate per ottenere privilegi illeciti nell' ambito della sanità romana. Finiranno sotto inchiesta diversi uffici del consiglio regionale Lazio, in particolare l'ufficio di Giulio Gargano, consigliere di Forza Italia.

Oltre al Gargano, saranno arrestati l'ex capo di gabinetto della Regione Lazio della precedente Giunta, Marco Buttarelli e diverse altre persone. La corruzione di questi politici faceva lievitare il costo della sanità. Marrazzo si pose l’obiettivo di rendere più “trasparente” il costo delle strutture sanitarie, cercando di porre rimedio al debito accumulato negli anni.

Senza dubbio l’operato di Marrazzo può essere in più aspetti criticato, non si vuole certo sostenere che egli sia stato sempre a servizio dei cittadini, come dovrebbero essere tutti i politici in una vera democrazia. Occorre tener presente che il gruppo di potere attuale è spesso intransigente, e pretende dai suoi servitori politici una sottomissione totale. Quelli che sgarrano prima o poi pagano.

Marrazzo più volte aveva parlato di una politica utile ai cittadini, che non promette “imprese faraoniche” ma piccoli aiuti concreti. Egli spiegava: "La crisi c'è e non sono certo le parole che possono contenerla (serve) una risposta dal basso (strumenti come) il reddito minimo garantito, la formazione permanente, politiche di garanzia al credito".(2)

Marrazzo sembrava intenzionato a mantenere le sue promesse, avversato da più parti.
Aveva incentivato il credito alle piccole e medie imprese, creato il “piano casa” e il reddito garantito. Le critiche sollevate furono diverse, anche dagli stessi consiglieri regionali. Il diktat dei banchieri impone di sottrarre quante più risorse possibili al pubblico, per pagare l’enorme debito e per mantenere inalterato il loro potere.

Nonostante gli ostacoli, Marrazzo riuscirà a fare approvare il “piano casa” e la proposta di legge sull'assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2009/2011 della Regione Lazio, nell’agosto scorso. L’obiettivo era, come aveva dichiarato l'assessore al Bilancio della Regione Lazio Luigi Nieri, quello di sostenere gli “sforzi su pochi ma significativi interventi.

Investire sulle politiche abitative, sostenere il reddito di chi è in difficoltà, agevolare il credito alle imprese significa offrire soluzioni concrete per affrontare la grave crisi che stiamo vivendo. In questo modo vogliamo dare vita ad un circuito economico virtuoso. Con questo assestamento si completa positivamente e si rafforza il piano anti-crisi avviato con le ultime finanziarie regionali. Un impegno eccezionale che non ha compromesso la politica di risanamento di questi anni".(3)

Con il “piano casa”, spiegava l'Assessore alle Politiche della Casa, Mario Di Carlo, "La Regione si è impegnata nella costruzione di 30mila nuovi alloggi, che saranno edificati sia da operatori pubblici che privati. Le famiglie che vi accederanno pagheranno una quota di 500-550 euro al mese per una casa dal valore di 150mila euro. Quando avranno terminato di pagare potranno decidere se restare semplici inquilini, lasciando che l'Ater acquisti la casa, o se diventare loro stessi i proprietari riscattandola. Questo sarà possibile grazie a un voucher di 15mila euro che la Regione metterà all'inizio del contratto.”(4)

Lo scorso 16 ottobre, il “piano casa” è stato bocciato dal governo, che ha impugnato un solo articolo. Marrazzo era deciso ad andare avanti revocando l’articolo bocciato. Egli aveva dichiarato: “La legge e' comunque in vigore e noi ci stiamo riservando o di presentare una delibera con la quale revocheremo solo quell'articolo oppure di prendere altre strade".(5)

Alemanno ha talvolta criticato Marrazzo, parlando di “inutili sacrifici dei cittadini romani”, e mostrando di non gradire il suo "obsoleto welfare”.

Perdendo l’incarico regionale, Marrazzo non sarà più nemmeno il commissario straordinario della Sanità regionale, e questo probabilmente susciterà la reazione positiva di qualcuno. E forse anche il "piano casa" potrebbe non dare l'esito sperato.

In conclusione, non riteniamo che Marrazzo fosse un paladino degli interessi collettivi, altrimenti non sarebbe stato messo al potere, ma riteniamo che egli abbia fatto qualcosa che ha irritato i suoi padroni, attivando il linciaggio mediatico. Altrimenti non si spiega come mai tanto livore da parte di parecchi personaggi politici, in un paese in cui il livello di corruzione è molto alto e di “festini a base di sesso e di droga” a cui partecipano politici si hanno diversi precedenti.

Crediamo che Marrazzo sia stato travolto dalla bufera, non per motivi “morali” com’è stato fatto credere, ma per motivi di potere. Quello che ha fatto di “sconveniente” per i suoi padroni e che non gli è stato perdonato potrà emergere molto presto: quando al suo posto verrà messo un personaggio che agirà in modo diverso rispetto al predecessore proprio sui fatti “scottanti” che hanno attivato il linciaggio mediatico.

NOTE:

1) www.regione.lazio.it/binary/web/home_comunicati.../tavolopmi.pdf
2) http://date.it.sourcews.com/9-27-4
3) http://www.consiglio.regione.lazio.it/consiglioweb/news_dettaglio.php?id=1207&tblId=NEWS
4) www.regione.lazio.it
5) Fonte: Adnkronos/Labitalia, 16 ottobre 2009.


"Una Porsche al figlio di Clemente" il pressing dei Casalesi sul ministro
di Conchita Sannino - La Repubblica - 23 Ottobre 2009

Liberi di imporre nomi, elargire posti, consulenze, incarichi. O, per i nemici, di vessare, intimidire, escludere. Tutto sembrava consentito nella terra, geografica e politica, di Mastelleide. Dalle mille pagine dell´ordinanza emerge l´impressionante “paesaggio” delle istituzioni piegate all´arbitrio e alla strategia del consenso.

«Circondati da coglioni»

All´agenzia regionale Arpac sono in ansia. La delibera non è ancora pronta, le carte che servono ad avere lo “stato di avanzamento” di alcuni lavori tardano. Si sfogano al telefono l´ingegnere Carlo Camilleri, consuocero di Mastella, e Luciano Capobiano, direttore generale dell´Arpac. Capobianco: «Sì, abbiamo risolto…». Camilleri: «Posso fare a meno di disturbarti. Ma qui siamo circondati da coglioni». Capobianco: «Quando tieni la gente brava stai tranquillo, qui ci vuole una perizia di variante…». E... parlando di altri uffici: «Ma scusa so´ 35mila euro e nessuno se ne fotte, 35 mila euro (da incassare, ndr) e non mi scrivete del frigorifero, cioè stronzate».

Mastella: «Quello non è dei nostri»

«Scusa ma questo Massaccese di Casoria chi è?». L´allora ministro Clemente Mastella, il 7 maggio 2007, parla al telefono con Capobianco. Quest´ultimo è pronto a rassicurare: «È dei privati, non è nostro». E Mastella: «Ah, non siamo noi ah…non è nostro, va bè».

«Tu sai, questa è la politica»

Giuseppe De Lorenzo è il responsabile del servizio psichiatrico diagnosi dell´Asl Benevento 1 che riferisce di aver subito «continue e reiterate vessazioni» da parte dei Mastella, anche per aver denunciato «il degrado della struttura e le condotte omissive dei dirigenti». Di quel medico ribelle i Mastella vogliono liberarsi a ogni costo. Gli fanno sapere che deve farsi da parte. Racconta De Lorenzo al pm: «Mi rivolsi a Mario Scarinzi (ex direttore generale della Asl, oggi indagato-ndr) gli chiesi se veramente volevano farmi fuori per far posto a questa giovane collega di Ceppaloni. Lui ascoltò in silenzio e al più, ogni tanto, mi diceva: “Tu, sai, questa è la politica”».

I casalesi e la “fetta di torta”

Scrive il gip: «Un episodio di estrema gravità attesta non solo che il consigliere regionale Nicola Ferraro era “al servizio dei Mastella”, ma anche l´esistenza di inquietanti collegamenti tra lui ed esponenti della criminalità organizzata, cui (Ferraro, ndr) si rivolge per fare acquistare un´autovettura modello Porsche Cayenne, valore di 90mila euro, a Pellegrino Mastella, pagata in contanti con 77mila euro».

Ecco, infatti, cosa racconta il pentito Michele Froncillo, già elemento di spicco del clan Belforte di Marcianise, in un interrogatorio del 13 agosto scorso. «Ho conosciuto Nicola Ferraro nella veste di imprenditore: nel 1999, infatti, la società di Ferraro, la Ecocampania, aveva vinto l´appalto nel comune di Santa Maria Capua a Vetere per la raccolta dei rifiuti. Si instaurò tra noi un rapporto di conoscenza, fino a quando Ferrari non decise di fare politica per l´Udeur. Il Ferraro mi disse che era in ottimi rapporti proprio con Clemente Mastella, faceva favori, sovvenzionava qualsiasi spesa servisse al partito nella zona, come l´acquisto di pacchetti di voti nel casertano».

Poi Froncillo passa al capitolo della Porsche. «Mi disse il Ferraro che, tra i vari favori che aveva fatto al Mastella, vi era anche il regalo della Porsche Cayenne che aveva acquistato da Tommaso Buttone (cognato del boss Belforte, ndr). La cosa mi venne confermata dallo stesso Buttone e da Camillo Belforte. Il pagamento venne effettuato, da parte del Ferraro, con il versamento di una somma di circa 75mila euro. Non so dire se furono utilizzati assegni o contanti. Avvenne tra il 2004 e il 2005: era il periodo delle elezioni cui si presentò candidato Udeur Nicola Ferraro. Le preciso che l´intero clan di Marcianise si era messo a disposizione delle esigenze elettorali dell´Udeur e del Ferraro. Noi mandavamo affiliati a fare attacchinaggio di manifesti, facevamo propaganda per l´Udeur: perché lo stesso Ferraro ci aveva detto che avrebbe ricambiato, facendoci avere “la nostra fetta di torta”. Usava lo stretto dialetto casalese: dopo l´elezione avrebbe pensato “a tutti i cumpegni”».

Aggiunge il pentito: «Ferraro ricopriva di attenzioni il Mastella, ivi compreso il regalo della Porsche. Una volta venne presso di me Sebastiano Ferraro, cugino di Nicola, noto affiliato al clan dei casalesi (ma è stato candidato sindaco per l´Udeur a Casale nel 2007, ndr), a portarmi tranche di 5mila e 6mila euro a seconda delle esigenze della campagna elettorale».

«Una banda degli onesti»

Nello sfogo dell´ex assessore regionale Udeur, Andrea Abbamonte, con Carlo Camilleri, intercettato nella telefonata del 19 marzo 2007, un campionario di definizioni a uso interno. Abbamonte spiega come ha messo in riga il vertice dell´Arpac, Capobianco: «Gli ho detto: guarda, sei stronzo tre volte, stai attento a come gestisci i Cococo che tu passi ‘nu guaio, ti hai fatto la delibera e hai chiesto il parere della funzione pubblica, quando io ti ho detto che non lo dovevi chiedere quel parere, e mi hanno detto pure che sei l´elemento debole, perché io, i miei me li tengo sotto la palla, perché sono cococo confessati e comunicati, e tu rompi ‘o cazzo dalla mattina alla sera, tu, la tua famiglia, tuo fratello a destra e a sinistra». Abbamonte aggiunge, su altre “inadempienze” di Capobianco: «È talmente cretino che va a scrivere tutto in una delibera». Camilleri: «Un superficialone, mi ha deluso, bum bum e poi non capisce ‘nu cazzo».

Ancora più avanti, discutono di un convegno cui ha partecipato Mastella. Abbamonte: «Clemente si è fatto portare in un agguato perché questi del Pon Sicurezza spendono 10 milioni di euro per servizi sui beni confiscati e regalano all´assessore Abbamonte che va al convegno una Montblanc, per farti capire come sono spesi i soldi (…)». L´ultima frase, prima che i due chiudano la telefonata, è quasi un auto epitaffio: «Il Ministero dell´Interno e questi del Pon sono una banda degli onesti, per non dire altro».


La rossa passa col rosso
di Thomas Mackinson - L'espresso - 22 Ottobre 2009

Autovelox, semafori: i ministri li ignorano. Così Gelmini e Lunardi si fanno togliere le multe. E anche la Brambilla che noleggia pure Mercedes con autista a spese nostre.

I semafori non contano, gli autovelox possono aspettare, l'ecopass non li riguarda: tanto la multa non si paga. E non si paga nemmeno l'auto: è tutto a carico dei contribuenti. Alla Prefettura di Milano, un tempo capitale morale, si sono abituati alle istanze di parlamentari e ministri per chiedere l'annullamento delle sanzioni.

Da Michela Vittoria Brambilla a Mariastella Gelmini, dall'onorevole pdl Maurizio Bernardo a Pietro Lunardi: basta una lettera su carta intestata per far sparire tutto. E magari, dietro quella multa c'è altro. Ad esempio il caso della Brambilla, che... ha fatto spendere 500 euro al giorno per noleggiare una Mercedes con autista, incaricata di accompagnarla da casa al lavoro, 80 chilometri in tutto. A rivelarlo è una multa per un semaforo non rispettato presa a Milano il 19 febbraio scorso e prontamente cestinata "per motivi istituzionali".

Il verbale viene notificato qualche mese più tardi al titolare della concessionaria che ricorre al prefetto, chiedendo l'annullamento: "La vettura è adibita al trasporto dell'onorevole Brambilla". Per dimostrarlo allega copia della fattura e del contratto di servizio con la prefettura di Lecco. Da questi documenti emerge il costo per il contribuente: l'auto è rimasta a disposizione di MVB per 19 ore consecutive, i chilometri percorsi sono stati 210 in più rispetto al pattuito e alla consegna il conto è di 530 euro per un solo giorno.

A farsi condonare le multe ci provano davvero tutti. Maurizio Bernardo, il deputato del Pdl che tra mille polemiche ha riscritto le regole della magistratura contabile in senso restrittivo, ha sfruttato il suo status per evitare una multa da 74 euro. L'onorevole, nato a Palermo ma eletto in Lombardia, a febbraio ha percorso in motorino la via di casa riservata ai bus: ma quando è arrivata la notifica dell'infrazione, ha chiesto di non pagare "in qualità di parlamentare lombardo e titolare di pass rilasciato dal Comune che autorizza a transitare nelle corsie preferenziali e nelle Ztl".

Peccato che i pass valgano solo per le auto e non siano nominali ma legati sempre alla targa. E non si è ancora visto uno scooter di Stato...

Il ministro Mariastella Gelmini invece passava sul cavalcavia Monteceneri a cento all'ora a bordo della sua Bmw. Difficile farla franca. Il viale è telecontrollato e falcidia migliaia di milanesi. E infatti il 24 ottobre 2008 il ministro riceve il suo verbale. La Gelmini prende carta intestata e scrive al prefetto. Nella comunicazione adduce "impegni istituzionali improrogabili" e la multa è già un ricordo.

Solo qualche mese prima era toccato al padre della patente a punti, l'ex ministro Pietro Lunardi.

Stavolta l'immunità è pretesa per un divieto di sosta da 36 euro. Il 5 marzo 2008, in piena campagna elettorale, la sua auto viene multata perché staziona senza autorizzazione in un parcheggio destinato ai residenti. Lunardi impugna la solita carta intestata alla Camera e fa battere il seguente testo per il prefetto: "Il sottoscritto in carica per la XVI Legislatura, fa presente che l'auto veniva da lui utilizzata ed era in possesso di regolare permesso di libera sosta nel Comune di Milano". Ma libera sosta non significa lasciare l'auto nel posto riservato ad altri cittadini.