domenica 4 ottobre 2009

Quando una manifestazione contro la stampa autoimbavagliata?

Qualche articolo sulla manifestazione per la cosiddetta libertà di stampa che si sarebbe dovuta tenere 2 settimane fa, ma era stata rinviata per i sei soldati italiani uccisi in Afghanistan.

Si è però comunque tenuta ieri a sole 24 ore dal disastro di Messina dove sono stati già accertati finora più di 20 morti.

Complimenti vivissimi agli organizzatori...


Contro la dittatura del Caimandrillo non basterà Tocqueiville

di Giulietto Chiesa - www.megachipdue.info - 3 Ottobre 2009

Ci sono andato e sono contento di esserci andato. C'era un sacco di gente, moltissimi giovani. Una speranza.

Non c'era una linea politica, ma questo lo sapevo. E non perché ci fosse un pluralismo di idee, ma perché questo spicchio d'Italia, pieno di indignazione, di preoccupazioni, di inquietudini, fatto di gente normale che paga le tasse, e cerca di difendersi, non ha ancora capito perché è finito dove è finito, cioè in un postribolo.

Né glielo hanno detto molti di quelli che hanno parlato, o che hanno mandato le loro adesioni.

Va detto che non c'era Mentana, e non pare abbia aderito, per fortuna. Ma ha aderito Lucia Annunziata (applausi) e anche Gad Lerner (applausi tiepidi). Ha aderito e ha perfino parlato il Del Boca, presidente dell'Ordine dei Giornalisti. Ed è stato il momento in cui ho sentito l'impulso irresistibile di andarmene e, infatti, me ne sono andato.

Brevi note che dicono molto della giornata. Che ha mostrato l'esistenza di un'altra Italia, impotente però, senza rappresentanza alcuna.

Il momento più alto del pomeriggio, in assoluto per me, è stato quando Neri Marcorè ha letto un brano di Alexis De Tocqueville, attorno al tema della dittatura della maggioranza e della facilità con cui un popolo sazio può essere costretto in una “servitù facile”.

È accaduto che Tocqueville ha ricevuto almeno cinque applausi a scena aperta. Per uno che ha scritto certe cose tra il 1830 4 il 1840 si tratta di una performance notevole. Gli italiani non sono un popolo sazio, anzi si potrebbe solo dire che gran parte di quelli che hanno votato fascista, leghista, razzista, subcultura, sono tutt'altro che sazi. Ma gli è stata fatta odorare (direbbe Michael Moore) la carota.

C'era, comunque, in Tocqueville, la prognosi precisa.

Ma non poteva esserci la diagnosi e la cura, perché Alexis non conosceva la televisione. Le cause del disastro stavano e stanno, però esattamente in quella scatola e in chi l'ha manovrata così bene. Solo che da quel palco, per quella piazza piena di speranze, non è venuta una sola parola per una nuova strategia. Peccato. Una manifestazione non fa primavera. Domani il Caimano ricomincerà come prima.


L'inganno, l'ipocrisia e i guinzagli d'oro

di Gabriele Zamparini - http://zamparini.wordpress.com - 3 Ottobre 2009

Una “splendida piazza piena di allegria” l’ha chiamata Eugenio Scalfari; “una festa” gli ha fatto eco Giovanni Valentini. Certo fa un certo effetto vedere scendere in piazza il fondatore di Repubblica, il direttore che gli e’ succeduto alla guida del quotidiano-partito, Ezio Mauro, e poi Franceschini, Veltroni, D’Alema, Bersani, Di Pietro, Epifani e la CGIL, l’ARCI, le ACLI, Roberto Saviano e il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, Marco Travaglio e Gianni Minà, Nanni Moretti e Fausto Bertinotti, Stefania Sandrelli e Teresa De Sio, fino all’Ordine fascista dei giornalisti e alla Federazione Nazionale della Stampa (FNSI), che ha ufficialmente organizzato l’evento. Tutti insieme, con allegria. E poi le bandiere, tante e tanti gli striscioni.

Chissa’ cosa direbbe Gramsci di questa “festa” e del trattamento riservatogli dal giornale da lui fondato, l’Unità; appeso a sei palloncini rossi, etereo, lo si vede svolazzare sopra i tetti di Roma dalla prima pagina dell'Unità online di oggi.

E’ ancora estate a Roma, il cielo limpido, e con un po’ di musica e tanta retorica è facile ingannare gli italiani onesti e in buona fede; si perché di questo si tratta: un inganno avvolto d’ipocrisia.

Se per i sei soldati ammazzati in Afghanistan si è rinviata la manifestazione che doveva tenersi due settimane fa’, i 24 morti e 37 dispersi (cifre provvisorie) di Messina dovranno accontentarsi del minuto di silenzio che ha preceduto “la festa” e “l’allegria”. Sarebbe stato meglio evitare quel minuto senza senso; ma tant’è, questa è l’Italia, il paese – l’unico al mondo, a nostra conoscenza – dove si saluta il feretro con scroscianti applausi.

L’inganno vero è che la c.d. libertà di stampa possa essere difesa dai molti sepolcri imbiancati presenti oggi alla manifestazione di Roma e dall’ atteggiameto omertoso della corporazione giornalistica italiana”, come lo chiama il giornalista americano Wolfgang M. Achtner nel suo libro Penne, Antenne e Quarto Potere, pubblicato nel 1996 da Baldini e Castoldi con una prefazione di Giorgio Bocca.

Quanta ironia, già nel titolo, “No all’informazione al guinzaglio”; sono gli stessi che hanno sempre scodinzolato e fatto a gara per il guinzaglio d’oro piú costoso. “E’ una vecchia storia, questa!”, fa notare Marco Pannella, che di lotte per un’informazione libera ha qualche esperienza. “Si replica di nuovo oggi. Quelli che parlano di bavaglio alla liberta’ di stampa oggi, sono gli stessi contro i quali per decenni, in questi 40 anni, mi sono battuto e ho dovuto lottare perche’ togliessero il bavaglio alla liberta’ di stampa!”

Lo scriveva già Orwell nel 1945, “sono i liberali che temono la libertà e gli intellettuali che vogliono infangare l’intelletto”.

P.S. Abbiamo appena letto Beppe Grillo che, intervistato dal nuovo quotidiano il Fatto, spiega cosí la sua assenza alla manifestazione di Roma:

Ma no, mi vien da ridere. Su questo ha ragione lo Psiconano. Noi ci abbiamo fatto tre referendum, sulla libertà d’informazione, per bloccare la legge della fattucchiera Gasparri che ha consegnato tre tv a Berlusconi. Loro invece ci fanno una manifestazione che è finta, solo perché il Nano non risponde a dieci domande sulla fica. Ma stiamo scherzando? I giornalisti che manifestano per la libertà di stampa mi fanno pensare a una puttana che cerca di tornare vergine.


Orwell, la libertà di stampa e il paese dei gattopardi

di Gabriele Zamparini - http://zamparini.wordpress.com - 16 Settembre 2009

“If liberty means anything at all it means the right to tell people what they do not want to hear.” [Se libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuole sentire]

Cosí scriveva George Orwell nel 1945 in un breve saggio, The Freedom of the Press [La libertà di stampa], prefazione al suo racconto Animal Farm [La fattoria degli animali] che – il destino non è senza ironia – doveva rimanere censurata per 27 anni. Solo nel 1972 infatti quella prefazione, The Freedom of the Press, venne pubblicata in The Times Literary Supplement. Il saggio conclude:

“Ma almeno lasciamo perdere il nonsenso sul difendere la libertà contro il Fascismo. Se libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuole sentire. La gente comune ancora vagamente sottoscrive a quella dottrina e agisce di conseguenza. Nel nostro paese (…) sono i liberali che temono la libertà e gli intellettuali che vogliono infangare l’intelletto: è per attirare l’attenzione su questo fatto che ho scritto questa prefazione”.

Le parole di Orwell rimbombano nell’Italia di oggi come campane che annunciano la morte della Repubblica: sono coloro che si proclamano liberali che hanno paura della libertà e gli intellettuali che vogliono infangare l’intelletto. La classe degli intellettuali italiani, da molto tempo organizzatasi in casta, ha praticato l’auto-censura e taciuto l’essenziale.

Sempre pronti ad acclamare il vincitore dalle colonne dei giornali della borghesia piu’ ignorante d’Europa, sempre disponibili ad apparire in TV per soddisfare un’ego fuori controllo e far ingrassare il conto in banca, gli intellettuali italiani, con pochissime, nobilissime eccezioni, sono stati alla finestra o si sono uniti all’orgia di potere che ha ridotto libertà e democrazia in fin di vita nel nostro paese.

Silvio Berlusconi non è la patologia all’interno di un sistema sano; Berlusconi rappresenta la fisiologia di un sistema in cangrena da decenni. Un sistema di potere chiuso, asfittico, immobile, corrotto, autoreferenziale, omertoso, ignorante, isolato dal resto del mondo, proietatto verso il passato, contrario a qualsiasi riforma.

Un sistema familistico e tribale che rifiuta il diritto di cittadinanza, la competizione, la meritocrazia, la legalità e dove il nome di famiglia e l’appartenenza al clan sono la valuta accettata nelle universita’, negli ospedali, nelle redazioni dei giornali, in televisione, nello spettacolo, nell’industria e nella finanza.

C’è chi vorrebbe addossare a Berlusconi la responsabilità di tutto questo, la personificazione del male. E’ tipico delle società primitive semplificare, deformare, mitizzare la realtà, imprigionarla e nasconderla agli occhi profani con l’aiuto di dei e demoni. Ora l’uomo forte a cui affidarsi, il duce, l’unto dal Signore; ora il capro espiatorio da sgozzare e sacrificare agli dei.

E’ una vecchia storia che si ripete e che gli intellettuali preferiscono dimenticare insieme ai nomi di quei dodici professori universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista. Dodici uomini su 1250 professori ordinari che non riuscirono a tradire il loro amore per la libertà e l’intelletto nemmeno sotto gli stivali di Mussolini.

Quei nomi meritano di essere ricordati: Ernesto Bonaiuti, Mario Carrara, Gaetano de Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco ed Edoardo Ruffini, Lionello Venturi, Vito Volterra.

Espressione di poche famiglie che la controllano a proprio uso e consumo, la casta dell’informazione, istituzionalizzata nell’Ordine Fascista dei giornalisti (solo in Italia!), sembra abbia scoperto – in un sol colpo d’illuminazione – la libertà di stampa e il popolo italiano, chiamando a raccolta il secondo per difendere la prima.

Un popolo di sudditi che scende in piazza e si lascia guidare dai collaborazionisti di un regime che non conosce soluzione di continuità da quasi novant’anni è uno spettacolo patetico anche nel paese dei gattopardi. Ma almeno lasciamo perdere il nonsenso sul difendere la libertà contro il Fascismo.