martedì 27 ottobre 2009

Nucleare: l'Iran non vuole farsi prendere in giro

Oggi l'Iran ha lasciato trapelare di aver accettato il "quadro generale" della bozza di accordo redatta durante i negoziati con USA, Russia e Francia sotto l'egida dell'Aiea, ma chiede "modifiche importanti".

Il piano elaborato da Mohammed El Baradei, presidente dell'Aiea, prevede la consegna di gran parte dell'uranio arricchito al di sotto del 5% perché venga arricchito in Russia fino a circa il 20% e trasformato in Francia in combustibile per alimentare un reattore per la medicina nucleare a Teheran.

Una fonte citata dall'agenzia Fars ha detto che Teheran darà la sua risposta ufficiale all’Agenzia internazionale per l'energia atomica "nelle prossime quarantotto ore".
Mentre l'Alto rappresentante della politica estera dell'UE Javier Solana ha voluto ricordare per l'ennesima volta che la comunità internazionale vuole tre cose dall'Iran: la ratifica dell'accordo sul reattore, l'indicazione di un nuovo incontro e la relazione degli ispettori che stanno esaminando il sito di Qom.

Vedremo presto invece quali saranno le sostanziali modifiche alla bozza richieste dall'Iran e soprattutto se verranno accolte. Il dubbio che un accordo finale vada in porto è però fortissimo.


L'Iran nella strategia del ragno
di Simone Santini - www.clarissa.it - 25 Ottobre 2009

Il momento è decisivo. Teheran ha chiesto ancora alcuni giorni per decidere se accettare la proposta di compromesso uscita dai negoziati di Vienna sul suo programma nucleare. Ripercorrere la cronistoria degli avvenimenti dell’ultima settimana fa capire quanto delicato e pericoloso sia questo frangente.

Domenica 18 ottobre, mattina. Un attentato nella regione del Sistan-Belucistan, nel sud-est dell’Iran, incrocio dei confini con Pakistan e Afghanistan, scuote il paese. Obbiettivo è il corpo dei Guardiani della Rivoluzione (Pasdaran), la potente milizia militare che è uno degli architrave del regime. Muoiono circa trenta persone, altrettanti i feriti. Tra le vittime sei alti ufficiali dei pasdaran, tra cui il vicecomandante generale Nurali Shushtari, capo dello storico battaglione Al Quds.

Una delegazione dei Guardiani, al momento dell’attacco, era in procinto di incontrarsi con l’assemblea dei rappresentanti dei clan sciiti e sunniti della tormentata regione. Il Belucistan sta vivendo una ondata di terrorismo in cui si mescolano rivendicazioni indipendentiste etniche e religiose con interessi criminali del traffico internazionale di droga e l’oscura azione di servizi segreti di varie potenze, regionali ed internazionali.

L’attentato è rivendicato dal gruppo sunnita Jundallah (soldati di Dio), già autore di precedenti sanguinosi attacchi, ma fin da subito le autorità iraniane puntano il dito verso quelli che ritengono i reali ispiratori.

Vera responsabile è “l’arroganza globale”, rappresentata da Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele. Per il presidente Ahmadinejad si tratta di “un crimine perpetrato da agenti degli stranieri”. Ancora più duro il presidente del Parlamento Ali Larijani: “Riteniamo che gli ultimi attentati terroristici derivino dall’azione degli Stati Uniti e dimostrino l’animosità degli Stati Uniti nei riguardi del nostro Paese. [...] Obama aveva detto che tendeva la mano all’Iran, ma con quest’azione la sua mano l’ha bruciata. Il popolo iraniano ha ragione di non credere ai cambiamenti promessi dal governo americano, che è contro i loro interessi”.

La radio nazionale ha chiamato direttamente in causa la Gran Bretagna, mentre il comandante generale dei Pasdaran, Mohammad Ali Jafari, dopo aver accusato i servizi segreti di Usa, Gran Bretagna e Pakistan di aver creato e di manovrare il gruppo Jundallah, ha accusato Usa e Israele per lo specifico attacco, promettendo “misure di rappresaglia” e di stroncare il terrorismo.

Il portavoce del dipartimento di Stato americano, Ian Kelly, ha espresso condanna e cordoglio per l’attentato aggiungendo con nettezza che «le notizie di un presunto coinvolgimento degli Stati Uniti sono completamente false».

Il giorno successivo, lunedì 19 ottobre. Si apre la sessione dei negoziati a Vienna presso l’Agenzia atomica internazionale tra Stati Uniti, Francia, Russia e Iran. Materia della trattativa è l’attuazione tecnica del principio raggiunto ad inizio mese con i colloqui di Ginevra, tra Teheran ed il cosiddetto “sestetto”, in cui l’Iran aveva aperto alla possibilità di trasferire il proprio uranio presso un paese terzo per l’arricchimento destinato a scopi civili.

La delegazione iraniana è giunta a Vienna in un clima molto teso, accompagnata da dichiarazioni contrastanti che segnalano un irrigidimento delle posizioni. Per il portavoce dell’organizzazione iraniana per l’energia atomica, Ali Shirzadian, l’Iran proseguirà ugualmente l’arricchimento dell’uranio anche se lo dovesse ricevere già arricchito dall’estero.

Si tratta di una dichiarazione forse solo destinata ad alzare la posta, ma che di certo contrasta con i desiderata americani, che anzi, fino ai precedenti colloqui di Ginevra, avevano sempre puntato ad una cessazione unilaterale dell’arricchimento dell’uranio come precondizione. Più conciliante ma ferma la dichiarazione di Ahmadinejad sulle conseguenze dell’attentato verso le trattative: “Non credo vi saranno problemi ai prossimi negoziati. Se qualcuno vorrà crearli, non ci riuscirà, e se ci riuscirà ne subirà le conseguenze”.

I problemi da risolvere sono sinteticamente questi: l’Iran possiede attualmente circa 1500 kg di uranio certificati e ufficialmente denunciati alla Aiea e che sono stati autonomamente arricchiti, sotto controllo della stessa agenzia, fino al 5%. Per costruire una bomba sono necessari circa 1000 kg arricchiti oltre il 90%. Per scopi pacifici e civili (usi medici e per la produzione di energia) è sufficiente un arricchimento dell’uranio inferiore al 20%.

Quale aderente al Trattato di Non Proliferazione nucleare l’Iran avrebbe tutto il diritto di sviluppare, sotto controllo Aiea, un programma nucleare civile, ma la comunità internazionale (Paesi occidentali ed Israele in testa) teme che l’uso civile altro non sia che l’anticamera alla produzione della bomba. È evidente che la cartina di tornasole diventi il livello di arricchimento dell’uranio e quanto questo possa essere posto sotto tutela e dunque controllato.

Già dal primo giorno di colloqui la soluzione appare tecnicamente delineata. All’Iran sarebbe chiesto di trasferire gran parte del suo uranio in Russia che procederebbe al suo arricchimento fino al 19,75%, utile agli scopi pacifici. Questo non impedirebbe, tuttavia, che una volta restituito l’uranio possa essere a sua volta sottoposto ad un ulteriore processo.

È necessario quindi un successivo passaggio, ovvero la riduzione del materiale radioattivo “grezzo” in barre già predisposte per il loro utilizzo specifico, senza dunque possibilità di nuovi trattamenti. Solo a quel punto il materiale fissile tornerebbe in Iran.

Questo secondo e decisivo trasferimento è stato riservato dalla Aiea, in accordo con il “sestetto”, alla Francia, che ha sia le capacità tecnologiche necessarie sia un apprezzamento di tipo politico che rassicurerebbe, ad esempio, anche Israele.

Ma in questo tipo di trattative il diavolo si nasconde nelle pieghe dell’accordo. La Francia, infatti, esige subito una condizione che rischia di far saltare il negoziato. Se l’Agenzia chiede all’Iran il trasferimento dell’80% dell’uranio in suo possesso (pari a circa 1200 kg, in modo da impedire il crearsi di una riserva che possa essere stornata per altri scopi), Parigi pretende che tale trasferimento avvenga tutto e subito, in una unica soluzione, entro la fine dell’anno.

Teheran, invece, vorrebbe effettuare più trasferimenti, per dilazionare il processo nel tempo e testando così la sua validità e soprattutto l’affidabilità delle parti. Appare chiaro, infatti, che una volta trasferiti tutti i 1200 kg di uranio in un sol colpo, se un qualunque problema diplomatico bloccasse la procedura, l’Iran si troverebbe di fatto nella condizione di vedere congelato il suo programma, magari sotto pressioni o ricatti esterni, senza più alcun controllo diretto ed indipendente.

Tuttavia si potrebbe interpretare la modalità di più invii con quantità ridotte come un tentativo di guadagnare tempo: si cede una quantità di uranio, col rischio di vederlo bloccato ma con danni limitati, mentre si procede in maniera occulta all’arricchimento delle riserve che si detengono, sufficienti per un ordigno.

Si tratterebbe in realtà di una possibilità solo teorica poiché richiederebbe tempi lunghi, la necessità di sfuggire ai controlli della Aiea, impossibilità di test militari di verifica per mancanza di materiale.
In ogni caso le due posizioni riflettono quella mancanza di “reciproca fiducia” che il direttore della Aiea, El Baradei, poneva come base per la buona riuscita del negoziato.

Martedì, 20 ottobre. L’Iran butta sul tavolo la risposta dirompente alla condizione francese: Teheran chiede che i transalpini vengano esclusi dal negoziato, gli iraniani vogliono trattare direttamente solo con Stati Uniti e Russia. La dichiarazione del ministro degli Esteri Mottaki è lapidaria: “Stati Uniti e Russia hanno accettato di partecipare ai negoziati per fornire il combustibile. Dunque le trattative vanno condotte tra noi e loro alla presenza dell’Agenzia. Non ci serve molto combustibile e non ci serve la presenza di molti paesi. Non c’è alcun motivo che la Francia sia presente”. Gli iraniani mostrano così di non fidarsi affatto dei francesi. Per quale motivo?

In questo ultimo anno la Francia è stato il paese europeo più esposto nel contrasto al programma nucleare iraniano, o più semplicemente alla possibilità che il paese degli ayatollah assurga al ruolo di potenza regionale. Hanno giocato una funzione in tal senso sia la vicinanza ideologica dell’attuale leadership con la politica di Israele, sia gli interessi nazionali che legano Parigi con le aristocrazie arabo-sunnite del Golfo, nemiche storiche dello sciismo persiano.

A settembre si era anche rischiata la rottura diplomatica sul caso della ricercatrice francese Clotilde Reiss arrestata e accusata di spionaggio dalle autorità iraniane per il suo ruolo nei disordini post-elettorali; il presidente Sarkozy era stato sprezzante (”immaginate l’arma nucleare nelle mani di questa gente, è del tutto inaccettabile… il dialogo non procede, aspetteremo fino a dicembre, non oltre”) ed altrettanto la risposta di Ahmadinejad (”la Francia si merita dirigenti ben migliori di questi”); e Sarkozy, insieme ad Obama e Brown, durante la celebre pubblica dichiarazione ai margini del G-8 di Pittsburgh, aveva accusato la leadership iraniana di aver mentito e tenuto segreta la costruzione del sito nucleare di Qom.

A questo si deve aggiungere un annoso contenzioso tra Parigi e Teheran proprio in merito a forniture di combustibile nucleare. L’Iran è, infatti, fin dai tempi dello shah Pahlevi, proprietario al 10% di Eurodif, la società francese sotto controllo statale che produce i reattori nucleari e l’uranio arricchito delle centrali transalpine.

Ma, in seguito alla rivoluzione khomeinista, Parigi ha congelato (almeno ufficialmente) la posizione di Teheran, al punto che recentemente un dirigente della società (anche in seguito a notizie apparse sulla stampa sul particolare rapporto tra Francia e Iran in merito al nucleare)(1) ha fatto sapere che “l’Iran non ha mai ricevuto neppure un grammo di uranio arricchito dalla Francia. L’Iran è un partner dormiente di Eurodif”.

Eppure gli iraniani ritengono di aver diritto a quell’uranio. In una intervista a Le Monde, in seguito alla richiesta iraniana di escludere dai negoziati di Vienna la Francia, il presidente del Parlamento Larijani ha dichiarato che gli iraniani “non hanno alcuna animosità verso i francesi”. “Davvero?” incalza l’intervistatore. “In effetti” risponde serafico Larijani “è vero che già da tempo i francesi ci hanno confiscato 60 tonnellate di esafluoruro d’uranio. Non ce l’hanno mai restituito. Eppure non c’è ragione perché la Francia sia nostra nemica”.

Ma il ministro degli Esteri Mottaki ha rincarato la dose: “La Francia, dopo aver mancato in passato di assolvere ai suoi obblighi, non rappresenta più un partner affidabile per fornire combustibile nucleare all’Iran”.
La richiesta francese di fornitura integrale di tutto l’uranio iraniano in una unica soluzione deve aver fatto suonare qualche allarme a Teheran: Parigi sta forse preparando una trappola per bloccare il nostro programma?

Mercoledì, 21 ottobre. Con la posizione iraniana verso la Francia il negoziato è di fatto bloccato. Il direttore dell’Agenzia atomica, El Baradei, azzarda il tutto per tutto, consapevole che una impasse nei negoziati, visto il clima diplomatico internazionale, significa un suo fallimento con tutte le drammatiche conseguenze.

È del resto l’ultima occasione per il direttore, in scadenza di mandato, di vedere risolversi il dossier con un successo.
El Baradei stila una bozza di accordo che implementi tutti gli aspetti trattati fino a quel punto e la sottopone ai quattro paesi interessati. Hanno due giorni di tempo per accettarla e chiudere la partita.

El Baradei ha escogitato una soluzione sottile per tenere insieme tutte le posizioni, una soluzione che potrebbe accontentare l’Iran ma che non esclude la Francia. Formalmente l’accordo sull’arricchimento all’estero lega solo Russia e Iran, Mosca si fa garante dell’intero processo. Ma a sua volta potrà “sub-appaltare” ad altri alcune fasi della procedura, come la realizzazione delle barre in Francia.

Di fatto il pericolo paventato da Teheran rimane sempre incombente, ma la garanzia russa potrebbe anche bastare. Possibilista appare da subito il capo-negoziatore iraniano Ali Ashqar Soltanieh secondo cui benché “la Francia abbia annunciato di essere pronta a far parte dell’accordo, sono i russi, come si può constatare, ad essere responsabili del contratto nel suo insieme… l’intesa è costruttiva… stiamo cooperando pienamente, dobbiamo ancora valutare il testo, tornarvi su e arrivare a una soluzione amichevole”.

Venerdì 23 ottobre, pomeriggio. Nella giornata precedente sono giunte una dopo l’altra le dichiarazioni, scontate, di accettazione della proposta El Baradei da parte di Russia, Stati Uniti, e Francia. Si attende con trepidazione una risposta da Teheran, mentre mancano ormai poche ore alla scadenza del termine. A metà pomeriggio le agenzie cominciano a battere la notizia. È una doccia fredda. “L’Iran rifiuta l’accordo” riportano i primi lanci; “schiaffo” di Teheran alla comunità internazionale, titola La Repubblica on-line.

La posizione tuttavia non è ufficiale, a darne notizia è stata la televisione iraniana in lingua inglese Press Tv citando una fonte interna ai negoziatori. Dai successivi particolari si capisce meglio il quadro. Da Teheran non è giunto un rifiuto quanto una controproposta: in linea coi timori di vedere bloccato il proprio programma, piuttosto del trasferimento immediato all’estero dell’80% del suo combustibile a basso arricchimento, l’Iran vorrebbe acquistare direttamente l’uranio che gli serve già arricchito, evidentemente di volta in volta secondo le necessità.

I dettagli non sono chiari ma secondo la fonte si attende una “risposta positiva” da parte delle grandi potenze, le quali da parte loro, si dice con un certo sarcasmo, “hanno semplicemente dato una risposta positiva alle loro stesse proposte… ciò che è davvero sorprendente!”.

La controproposta iraniana è apparsa subito debole e più che altro atta a prendere tempo, non sembrando risolvere i problemi avanzati, legittimamente o meno, da Usa e Francia. Se questa fosse la posizione definitiva il negoziato sarebbe destinato a chiudersi lì con un fallimento.

Ma non passano alcune ore che arriva il nuovo colpo di scena: l’Iran sta ancora studiando la proposta e chiede una proroga di alcuni giorni. Dalla Aiea sono ottimisti, in un loro comunicato si legge: “L’Iran ha informato il direttore generale che sta valutando la proposta in profondità e con attitudine favorevole, ma ha detto di aver bisogno di tempo fino alla metà della prossima settimana prima di poter fornire una risposta”.

Anche gli americani decidono di aspettare: “Ovviamente speravamo in una risposta oggi. Per noi è urgente. Ma speriamo che la prossima settimana la risposta sia positiva”, ha riferito il portavoce del Dipartimento di Stato Ian Kelly.

I prossimi giorni saranno dunque determinanti, possono significare una svolta di pace per tutta l’area mediorentale o l’avvitarsi verso uno scenario di escalation della crisi con esiti fatali. Si immagina che proprio in queste ore siano febbrili i contatti sotterranei, le rassicurazioni e i trabocchetti delle diplomazie segrete tra le parti che vogliono l’accordo e quelle che mirano al suo fallimento.

Teheran ha sicuramente in mano il cerino, dalla lungimiranza della leadership iraniana dipende tutto. Le notizie contrastanti giunte nella giornata di venerdì, le iniziali voci di rifiuto dell’accordo, la controproposta, quindi la richiesta di ulteriore tempo, sono segnali affatto rassicuranti e che probabilmente testimoniano di uno scontro di potere interno al regime. Arduo individuare gli attori di questo scontro ed a quali interessi rispondano maggiormente, se personali, di blocchi di potere, o internazionali.

Certamente il clima, che si è creato in Iran dopo la destabilizzazione post-elettorale e la strategia della tensione terroristica, non aiuta ad affrontare con serenità un momento così delicato. Di fondo riteniamo possano confrontarsi due anime.

Una militarista, rappresentata dal blocco dei pasdaran, che secondo studi recenti controlla circa un terzo della società iraniana, anche per le sue articolazioni economiche, finanziarie, ed amministrative. Tale fazione può temere un ridimensionamento del ruolo di potenza indipendente dell’Iran a causa di un progressivo riallineamento all’Occidente. Perdita di un ruolo “rivoluzionario” sul piano internazionale significa anche perdita delle posizioni di potere acquisite internamente.

L’altra anima è quella realista, soprattutto dei conservatori pragmatici, che rappresentano in qualche modo, nell’attuale esecutivo, la minoranza della maggioranza, ma anche dei riformisti nazionalisti. Costoro vorrebbero una apertura all’Occidente mantenendo intatte le strutture della Repubblica islamica, così da sfruttare al meglio le opportunità di sviluppo derivanti dalla posizione strategica dell’Iran.

La grande difficoltà di questa parte è la sua divisione politica interna e anche la possibilità che nel campo riformista esistano settori che mirano a ribaltare il tavolo, secondo la logica del tanto peggio tanto meglio, puntando alla dissoluzione delle strutture di potere attuali.
Khamenei, la guida suprema, ed il presidente Ahmadinejad, si trovano nella scomodissima posizione di cercare una sintesi fra queste pulsioni, a loro volta, probabilmente, non perfettamente allineati, potendosi maggiormente ascrivere Khamenei al campo “realista” e Ahmadinejad a quello “militarista”.

Gli iraniani sono dunque invischiati in una rete di interessi, ideologie, pressioni e manipolazioni esterne, che possono far perdere di vista il perseguimento del bene supremo dell’interesse nazionale e della patria. È certo spiacevole che una nazione come l’Iran, che ha storicamente dimostrato il suo ruolo progressivo nelle sorti dell’umanità, si ritrovi nella posizione di dover contrattare con potenze straniere quello che è un proprio diritto, l’accesso alle tecnologie nucleari, mentre altri paesi si arrogano il giudizio sul bene o il male altrui mentre sfregiano in continuazione il diritto internazionale e dei popoli. E, tuttavia, questa è la situazione di fatto.

Obbiettivo superiore della dirigenza della Repubblica islamica è, in questo momento, la difesa del suo popolo dai nemici che ne vogliono l’annichilimento e la divisione che solo uno stato di guerra può portare. A costo di qualunque sacrificio e rischio questo dovrà essere evitato.




Ahmadinejad: intervista alla National Public Radio
di Steve Inskeep - NPR - 24 Settembre 2009
Traduzione di Andrea Carancini

Il conduttore dell’edizione del mattino, Steve Inskeep, ha intervistato il Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad nel suo hotel di New York, il 24 Settembre 2009. Le risposte di Ahmadinejad sono state date tramite interprete.

STEVE INSKEEP: Dall’ultima volta che ci siamo parlati, l’anno scorso, ho avuto la possibilità di visitare il suo paese. Mi è stato permesso di parlare a molte persone in un certo numero di luoghi e ho appreso molte cose sull’Iran, su questioni che vanno dalla situazione politica alla cultura iraniana e al vostro grande poeta, Ferdowsi. Da allora, all’inizio di quest’anno, un certo numero di persone con cui avevo parlato e che difendevano l’Iran – persone che difendevano l’Iran e che avevano preso posizione in favore dell’Iran e del suo futuro – sono state arrestate e messe in prigione dal suo governo. Vorrei sapere perché nei mesi scorsi sono state messe in carcere per cose che sembrano essere dei disaccordi politici nei suoi confronti.

PRESIDENTE MAHMOUD AHMADINEJAD: [Ahmadinejad esordisce recitando una preghiera in arabo] Vorrei estendere i miei saluti al suo pubblico e augurare salute e buona fortuna a tutti, da parte di Dio onnipotente.

Io davvero non so chi sono le persone di cui lei parla e dove siano in questo momento. Personalmente sono contrario al fatto che qualcuno venga messo in prigione o venga arrestato per questo motivo. Spero che tutti i prigionieri vengano rilasciati. Ma per chiunque va in prigione, naturalmente, è necessario sapere il perché. Nessuno va in prigione senza motivo. E in Iran, nessuno sta in prigione per essere un oppositore di Ahmadinejad. Quello che intendo dire è che, quotidianamente, vi sono decine di giornali nel paese che scrivono articoli contro di me e nessuno viene arrestato. Ma sarei lieto di fare delle verifiche se lei mi desse i nomi delle persone di cui sta parlando.

INSKEEP: Le darò un nome come esempio. Bijan Khajepour è un rispettato intellettuale e uomo d’affari iraniano. Non è chiaro se egli abbia avuto un ruolo nelle proteste contro di lei, e tuttavia è una delle 100 persone che l’estate scorsa sono state processate collettivamente. Molti di questi 100 hanno confessato, ma secondo il vostro ex Presidente Mohammad Khatami, le confessioni sono state ottenute con quelle che lui chiama “condizioni straordinarie”. Altri hanno parlato di tortura.

AHMADINEJAD: In Iran, c’è libertà e le persone possono dire quello che pensano. Quella di M. Khatami è la sua opinione. Ma l’autorità giudiziaria è un corpo indipendente e loro, ne sono sicuro, hanno risposte convincenti da offrire per le misure che prendono. Se le cose andassero nel modo descritto dal signor Khatami, allora anche lui sarebbe stato messo in prigione, ma allora perché non sta in prigione?

Così, questo significa che nel nostro paese non è un atto di mera opposizione che manda in prigione. Io certamente non posso essere giudice di atti individuali; non sono un giudice in nessun caso. Questi giudici, in Iran, devono poter agire e operare in modo indipendente. E la legge prevede le azioni necessarie che devono essere prese contro coloro che la violano.

Negli Stati Uniti, vi sono 3.6 milioni di carcerati – appartenenti a ogni categoria di persone – bene, tra di loro figurano ogni tipo di persone, accademici, uomini d’affari, studenti, autisti, agricoltori, sono sicuro che c’è chiunque, così anche in questo paese vi deve essere una legge che decide fondamentalmente chi va in prigione.

INSKEEP: Lei ha detto che non desidera che la gente vada in prigione e ha anche detto che in Iran c’è la libertà di parola. Lei chiederà, pubblicamente e specificamente, il rilascio dei 100 che sono stati condannati en masse al processo dei mesi scorsi? E chiederà, pubblicamente e specificamente, la riapertura dei giornali di opposizione che sono stati chiusi e i siti web che sono stati oscurati in Iran nei mesi scorsi?

AHMADINEJAD: Non ho cariche giudiziarie in Iran. L’autorità giudiziaria in Iran è un corpo indipendente, e segue le leggi, e deve operare secondo la legge. Io certamente non voglio vedere nessuno in prigione. Ecco perché nessuno viene perseguito solo per aver detto qualcosa contro Ahmadinejad o contro la politica di Ahmadinejad. Vi sono decine di giornali e centinaia di riviste che scrivono quotidianamente articoli contro di me. Non mi sono mai lamentato di loro.

Ma in Iran c’è una legge che regola le cose, fondamentalmente. Non voglio dire che i provvedimenti dei giudici siano sempre corretti al 100%, ma perchè vi sia ordine nella società dobbiamo accettare il verdetto dei giudici. Altrimenti, non vi sarebbe sicurezza. E i giudici operano in modo indipendente. C’è una legge in base alla quale decidono.

INSKEEP: Lei crede ancora, come ha detto in passato, che sono gli stranieri a essere responsabili delle proteste contro di lei in Iran, come pure dei maltrattamenti e delle torture dei prigionieri detenuti in Iran?

AHMADINEJAD: Nessuno ha detto cose del genere. In realtà, è il comportamento e gli approcci politici adottati dagli occidentali che sono stati contestati. Essi hanno approvato alcune azioni illegali all’interno del [nostro] paese.

E naturalmente, quando dico questo, dico che vi sono state anche delle azioni intraprese all’interno del [nostro] paese che erano premeditate. In realtà, ci siamo lamentati per l’approccio adottato dal governo inglese. Essi hanno fatto delle cose che violavano le nostre leggi e andavano contro gli interessi della nostra nazione. E a tempo debito, ci siamo occupati di quello che hanno fatto.

INSKEEP: Perché i prigionieri sono stati maltrattati, torturati e persino uccisi nelle prigioni iraniane, qualcosa che persino i funzionari iraniani di rango più elevato hanno riconosciuto?

AHMADINEJAD: Purtroppo, queste cose sono avvenute e tutto ciò è davvero increscioso. C’è una forte convinzione che questi fatti facessero parte di uno scenario mirato a vanificare i risultati delle elezioni. Ma ho chiesto alle autorità giudiziarie di riservare un’attenzione particolare a questi casi e a che chiunque abbia violato la legge debba risponderne – chiunque.

INSKEEP: Lei sta dicendo di aver completamente perso il controllo delle forze di sicurezza del proprio governo, persino all’interno delle prigioni, che persino nelle prigioni sono i suoi nemici ad avere il controllo, e non lei?

AHMADINEJAD: No, non è quello che sto dicendo. Mi dica, quante persone perdono qui la propria vita nelle prigioni degli Stati Uniti, quotidianamente? Se questo dovesse accadere, ciò significa che il governo degli Stati Uniti ha perso il controllo delle proprie forze? Mi faccia dare un altro esempio. In una città come New York possono esserci, diciamo, 10 milioni di veicoli sulle strade. Se, diciamo, 100 di loro violano il codice della strada, ciò implica necessariamente che la polizia ha perso il controllo della situazione?

O supponiamo che due poliziotti non vadano a lavoro, o che decidano di violare il regolamento. Quello che voglio dire è che anche l’Iran è un grande paese – un paese davvero grande. E qui e là vi può essere qualche funzionario che viola la legge. Il compito della legge è di andare al fondo della questione e di risolverla.

INSKEEP: In passato lei è stato citato per aver detto che le forze di sicurezza sono, cito, “immuni da questi atti vergognosi”. Lei ora sta riconoscendo che in realtà vi sono dei membri delle forze di sicurezza coinvolti?

AHMADINEJAD: Quello che ho detto, ed è questo che lei ha citato, parla delle capacità intrinseche di cui faccio fede alle nostre forze di sicurezza, poiché esse devono svolgere il compito che è stato loro assegnato, e che devono compiere in base alle leggi del nostro paese. E, secondo me, se qualcuno le viola, non deve assolutamente far parte delle nostre forze di sicurezza. E in tal caso sarà trattato secondo la legge, e potrà perdere il proprio lavoro per sempre.

INSKEEP: Lei ha fatto ogni sforzo per esaminare le accuse di uno dei candidati sconfitti nei risultati ufficiali delle elezioni presidenziali, Mehdi Karroubi, che ha fatto delle affermazioni molto precise e puntuali – ad esempio che i prigionieri venivano spogliati e fatti sedere faccia-a-faccia, insultati e abbandonati, con gli occhi bendati, nel deserto? Non vi può essere descrizione più attendibile di questa.

AHMADINEJAD: Sì, ho sentito parlare di tutte queste cose. La nostra autorità giudiziaria ha incaricato una unità operativa di esaminare e verificare queste affermazioni. E l’unità operativa ha avuto un incontro il signor Karroubi. E’ stato chiesto a Karroubi di fornire le prove e la documentazione di queste affermazioni. E, in base al rapporto che ho ricevuto dall’autorità giudiziaria, il signor Karroubi ha detto in realtà – come risposta – che era indignato dalla richiesta di fornire una documentazione. Ma alla fine, la nostra autorità giudiziaria prende le cose sul serio quando si tratta di accertare quello che è avvenuto.

INSKEEP: Io credo che la sua dichiarazione sia stata che aveva capito che non ci doveva essere un’indagine seria.

AHMADINEJAD: Bene, queste cose sono state dette dopo. In realtà, non importa. Se sono state compiute delle violazioni, l’autorità giudiziaria è responsabile del loro accertamento. E chiunque violi la legge, a qualunque livello, deve essere punito. Chiunque. Nessuno può approvare dei reati in Iran.

INSKEEP: Signor Presidente, vorrei chiederle del Quds Day che, dobbiamo spiegare al pubblico americano, è in Iran un evento annuale a sostegno del popolo palestinese.

Nelle cerimonie avvenute quel giorno, lei ha tenuto un discorso in cui lei ha descritto l’Olocausto come, cito, “una diceria inattendibile, un mito”. All’esterno [dell’edificio in cui si teneva la cerimonia] c’erano dei contestatori che reggevano dei cartelli, secondo le fotografie inviate dall’Iran. I contestatori reggevano dei cartelli che dicevano “Lascia perdere la Palestina, pensa a noi che stiamo qui”. Lei sta usando, come suggeriscono i contestatori, parole forti sull’Olocausto per distrarre [la gente] dai vostri problemi politici?

AHMADINEJAD: In Iran, c’è libertà. Centinaia di migliaia di persone, in realtà, stavano in strada a dimostrare in vario modo durante il Quds Day, ognuno con le sue opinioni. Questi ultimi erano un paio di migliaia, acnh’essi con la loro opinione, come ho detto.

Quello che voglio dire è che lei può essere d’accordo con me che la democrazia, alla fine, significa il governo della maggioranza, ed è la maggioranza che sta al potere nel nostro paese. E chi è minoranza, e ha le sue idee, può esprimerle fondamentalmente in libertà, anche quando non è d’accordo con il Presidente. E nessuno lo disturba.

INSKEEP: Lei sta cercando di distrarre la gente dai vostri problemi politici?

AHMADINEJAD: Bene, quello che lei sta dicendo si può applicare a qualunque situazione di potere. Qualunque cosa uno dica, potrebbe essere usata per distrarre gli altri. Lei davvero non può provare una cosa del genere, voglio dire che è difficile.

Quando viaggio, mi si potrebbe dire: stai viaggiando perché vuoi distrarre [la gente] da qualcosa? O quando cerco di combattere la corruzione: hai deciso di combattere la corruzione perché hai bisogno di un diversivo? Quello che voglio dire è che si tratta di illazioni infondate, di affermazioni senza fondamento ma, nondimeno, si possono sempre fare.

Noi siamo davvero onesti con il nostro popolo, e qualunque cosa diciamo, la facciamo. In realtà, sono stato uno dei critici più seri della situazione economica del nostro paese, come pure del sistema amministrativo del nostro paese. Ho fatto davvero un sacco di critiche al modo in cui le cose venivano gestite. Vi sono pochi presidenti disponibili a criticare il proprio sistema nel modo in cui l’ho fatto io.

Non mi considero differente dal popolo o separato da esso, ma come parte di esso. Quello che il popolo dice, lo dico anch’io. E quello che dico, lo dice anche il popolo.

INSKEEP: Prima di venire qui da lei, ho parlato con Elie Wiesel, un Premio Nobel, un sopravvissuto dell’Olocausto, e autore di un libro che le consiglio chiamato Notte, che è una descrizione dell’omicidio della sua famiglia e del suo essere stato egli stesso sfiorato dalla morte durante l’Olocausto.

Il signor Wiesel dice che lei è il numero uno dei negazionisti dell’Olocausto nel mondo. Lei è orgoglioso di questa fama?

AHMADINEJAD: Non ho opinioni su quello che la gente o altri pensano di me. Non conta. Ma vorrebbe sentire le mie opinioni sull’Olocausto? Vuole?

INSKEEP: In una precedente intervista abbiamo discusso del come, secondo lei, viene usato in modo ingiusto per legittimare Israele, così non dobbiamo parlarne di nuovo. Ma se le piacerebbe dirmi quello che lei crede sia davvero accaduto tra il 1942 e il 1945, ne sarei interessato.

AHMADINEJAD: Ma allora dal 1942 al 1945 riguarda ancora l’Olocausto, giusto? Voglio sollevare un paio di domande sull’Olocausto, lei è un esponente dei media, e io credo che lei debba davvero dire alla gente di che domande si tratta, e cercare di ricevere risposte anche da loro.

La prima domanda è: l’Olocausto è un evento storico oppure no? E’ un evento storico. E, detto questo, gli eventi storici sono tanti. Così la domanda successiva è: come mai questo evento specifico è diventato così importante?

Di solito, la gente comune e gli storici prestano attenzione agli eventi storici. Perché i politici prestano così tanta attenzione a questo particolare evento? Perché sono così faziosi al riguardo? Questo evento ha delle conseguenze su quello che accade oggi, che sta accadendo ora?

Quello che dico è che il genocidio è il risultato della discriminazione razziale. Qualche volta guardiamo alla storia per imparare le sue lezioni.

INSKEEP: Lei sta ammettendo che milioni di persone furono uccise? In particolare, che milioni di ebrei vennero uccisi durante la seconda guerra mondiale?

AHMADINEJAD: Se lei ha la pazienza di farmi completare il ragionamento, avrà la sua risposta. Sto facendo un certo numero di domande serie. E non sto rivolgendo tali domande a lei, ma a un pubblico più vasto – a tutti – a chiunque abbia a cuore il destino dell’umanità, a cui importi degli esseri umani e dei diritti delle persone. Queste sono domande serie. Se esaminiamo la storia con lo scopo di imparare – di trarne delle lezioni, allora quello che ci viene indicato è che in futuro dovremmo cercare di non compiere gli stessi errori fatti in passato.

Personalmente, 60 anni fa non c’ero, è adesso che sono vivo e osservo che il genocidio sta avvenendo ora con il pretesto di un evento accaduto 60 anni fa.
Così, la domanda fondamentale che pongo qui è la seguente: se quest’evento è accaduto, dov’è che è accaduto? Da chi è stato approvato? Perché dovrebbe pagarne il prezzo il popolo palestinese?

INSKEEP: Lei ha solo fatto marcia indietro: se questo evento è accaduto. Se mi perdona, perché il tempo è poco, vorrei andare avanti, ma lei riconosce che è avvenuto? Lei ora pensa che sia una tesi credibile?

AHMADINEJAD: Non sono uno storico. Di sicuro ho letto molti libri su questo argomento, ed ecco perché pongo delle domande. Le mie domande sono molto chiare. Noi dobbiamo permettere ai ricercatori di esaminare ogni tipo di questioni perché è chiaro che quando procedono in tal sesno, raggiungono conclusioni differenti.

Per quale motivo abbiamo stroncato tutte le ricerche imparziali sull’argomento dell’Olocausto? Sembra che se uno storico raggiunge un risultato diverso da quello che è stato detto, diciamo, dagli storici europei, può persino finire in prigione per questo. In realtà, un paio di accademici europei sono stati perseguiti per questo. Si tratta di storici famosi che hanno condotto delle ricerche e sono arrivati a conclusioni diverse da quello che è stato detto dagli storici ufficiali e, lei lo sa, dai dogmi ufficiali.

INSKEEP: Non si tratta di canali ufficiali. Si tratta di migliaia di sopravvissuti che hanno vissuto la morte delle loro famiglie.

AHMADINEJAD: Si tratta di dicerie. Lei si aspetta che approvi queste dicerie in modo unilaterale? Non voglio emettere una sentenza, sto solo dicendo che dobbiamo permettere agli storici di condurre le loro ricerche sull’argomento. Perché tutti dovrebbero essere costretti ad accettare solo l’opinione di pochi su un evento storico? Voglio dire: tutto ciò viola la libertà di opinione.

INSKEEP: Spero che abbiamo il tempo di affrontare un altro paio di argomenti. Passiamo ad altro. Vorrei chiederle, se posso, perché il tempo è limitato il suo tempo è limitato, degli incontri previsti per Ottobre tra l’Iran, gli Stati Uniti e altre potenze.

Lei ha già fatto delle dichiarazioni, qui a New York, su quello che l’Iran può offrire, in termini di incontri negoziali con gli scienziati e chiedendo che gli Stati Uniti vendano all’Iran uranio arricchito per scopi medici. Lei ha proseguito dicendo, in un’intervista, che “l’Iran, in cambio, offrirà delle soluzioni per i cambiamenti che vengono richiesti”. Quali sono le soluzioni di cui parla?

AHMADINEJAD: Tutto quello che ha detto è corretto tranne quest’ultima parte. Quando ho detto – quali cambiamenti, a che proposito? Noi vogliamo l’uranio, e siamo disposti a comprarlo. Questo è un buon modo per avere dei cambiamenti.

INSKEEP: Il Washington Post l’ha citata mentre dice, cito, “L’Iran, in cambio, offrirà soluzioni ai cambiamenti che vengono richiesti”.

AHMADINEJAD: No, io ho detto che sarebbe un buon inizio. La nostra questione non è – i nostri problemi non sono problemi nucleari. Abbiamo profonde riserve sul modo in cui alcuni politici occidentali guardano al nostro paese – le stesse cose di cui Obama stava parlando ieri. In realtà, egli ha approvato quello che il popolo iraniano dice da 30 anni e quello che io dico alle Nazioni Unite da 5 anni.

Indendo dire che vi sono delle potenze che si considerano superiori ad altre, che non rispettano altri popoli e non riconoscono i diritti di altri popoli, che non guardano alla cooperazione multilaterale e che si intromettono negli affari di altri popoli. Sono cose che dico da anni e che ieri sono state dette anche da Obama.

Ieri, egli ha detto che le precedenti amministrazioni degli Stati Uniti hanno agito in modo unilaterale, che sono intervenute negli affari di altri paesi, che hanno voluto imporre la loro volontà ad altri, e quindi stiamo dicendo la stessa cosa. Egli ha detto che il sistema delle Nazioni Unite non è equo e deve cambiare: io sto dicendo la stessa cosa. E noi collaboreremo in modo che questi cambiamenti avvengano.

INSKEEP: Vorrei farle un’ultima domanda che trae spunto dalla mia visita nel suo paese avvenuta in precedenza nel corso di quest’anno. A me personalmente è stato dato il benvenuto, come americano, ma naturalmente lo slogan, o la frase “morte all’America” rimane molto comune nei raduni politici – nei raduni politici conservatori – nelle preghiere del Venerdì e sui tabelloni pubblicitari e sulle insegne che si possono vedere a Teheran e in altre parti dell’Iran.

Quello che sinceramente vorrei sapere da lei, mentre l’Iran prevede colloqui e forse nuove relazioni con gli Stati Uniti, è: lei crede che il governo rivoluzionario dell’Iran possa rimanere al potere senza avere gli Stati Uniti come proprio nemico costante?

AHMADINEJAD: Bene, il primo slogan della nostra rivoluzione è: “amicizia con le altre nazioni”. Noi crediamo che l’amicizia e l’amore durino più dell’inimicizia. E dobbiamo tutti cercare di sostituire queste ostilità con l’amicizia e la compassione. La Rivoluzione Islamica mostra la profondità della compassione che fluisce nel nostro paese.

Il fatto che abbiamo detto che siamo sempre disponibili ai negoziati e ai colloqui dimostra che preferiamo sempre il dialogo. Ora, se lei vede questi slogan in Iran e a Teheran, deve chiedersi quale politica le amministrazioni americane hanno portato avanti da provocare questi slogan – il genere di politica e di comportamenti che il signor Obama ha affrontato ieri dicendo che anche lui vuole un cambiamento.

MI permetta di darle un piccolo esempio. Mi permetta di chiederle: se il governo dell’Iran avesse rifornito un governo come quello di Saddam Hussein con la tecnologia più avanzata, in modo da permettergli di bersagliare gli Stati Uniti con i missili, con le armi chimiche, e avesse sostenuto Saddam a prescindere da quante leggi internazionali aveva violato, quali sentimenti avrebbe ora il popolo americano nei confronti degli iraniani? Sono gli stessi sentimenti che ha il nostro popolo. E questo era solo un esempio: ne abbiamo decine. Così speriamo che tutto ciò possa davvero cambiare.

INSKEEP: Ammesso quello che lei dice – ammesse le affermazioni che lei fa e la storia che lei cita, può il suo governo sopravvivere senza un nemico costante contro cui mobilitare il popolo?

AHAMDINEJAD: No, non abbiamo questo – condivido quest’opinione con lei perché credo che sia davvero una posizione fondata. La ragione del perché possiamo sostenere tutto ciò è dovuta a cause culturali e al nostro sistema di valori – gli stessi fattori che hanno fondamentalmente permesso al popolo iraniano di sostenere ogni genere di sfida per secoli – per migliaia di anni, in realtà.

E gli stessi, gli stessi fattori sono presenti oggi. E questi sono gli stessi fattori che hanno provocato la Rivoluzione Islamica, e la Rivoluzione Islamica avrà più stabilità nell’amicizia che nell’ostilità. Ecco perché sosteniamo l’amicizia.

INSKEEP: Signor Presidente, grazie per aver risposto alle nostre domande.

AHMADINEJAD: Mi permette di terminare con una frase?

INSKEEP: Prego.

AHMADINEJAD: Lei è un conduttore molto bravo e il suo programma radiofonico è molto buono. E lei ha un vasto pubblico. Così aiutiamoci l’un l’altro a risolvere i problemi principali del mondo. E uno di questi è, alla fin fine, la questione palestinese. Così la prego di condividere le domande che ho posto con il suo pubblico.

Permettete loro di darvi delle risposte su quello che pensano. E forse, troveremo una soluzione al problema. Esattamente le stesse domande che ho sollevato in precedenza. Spero che lei, il suo pubblico e tutte le nazioni stiate bene e abbiate sempre successo. Io le auguro ogni successo.

INSKEEP: Grazie.