venerdì 30 ottobre 2009

Afghanistan: Obama e le bare ripiene...

Ogni giorno la situazione per gli USA e la NATO nella loro guerra all'Afghanistan continua a peggiorare a vista d'occhio: proseguono senza sosta infatti le stragi di civili, oggi altre 9 nove persone sono morte per lo scoppio di una bomba al passaggio di un taxi. Gli attacchi dei talebani su Kabul raggiungono ormai target sempre più importanti, come la foresteria dell'ONU o gli alberghi dove risiedono gli occidentali. Infine negli ultimi 5 giorni quasi 30 soldati USA sono morti in combattimento.

Sono solo alcuni esempi che indubbiamente mettono a nudo una situazione a dir poco disperata, ma nonostante ciò nei governi in Occidente tutto prosegue come se nulla fosse (oggi forse dovrebbe riunirsi il Consiglio di Sicurezza dell'ONU per ribadire le solite cose trite e ritrite).

Va comunque segnalato un evento più unico che raro, accaduto un paio di giorni fa: Mattew Hoh, il console americano della provincia afghana di Zabul, ha rassegnato le dimissioni diventando il primo diplomatico statunitense a lasciare l'incarico in segno di protesta contro la guerra in Afghanistan.

E sempre due giorni fa si è avuta pure la conferma che il fratello del presidente Karzai, noto trafficante di droga e criminale a 360 gradi, era a libro paga della CIA che comunque non faceva niente di nuovo nel portare avanti una delle sue attività preferite per finanziare le sue "missioni" in giro per il mondo: trafficare droga usando propri aerei per il trasporto, se non addirittura gli aerei militari USA con la droga nascosta nelle bare dei soldati morti.

A proposito di bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce, Obama ha deciso che non vanno più nascoste alle telecamere e ieri si è pure presentato in aeroporto quando è arrivato l'ultimo carico...di bare...

P.S. Veramente ridicoli e penosi gli inglesi e gli americani che rompono i coglioni se gli italiani pagano i talebani per non farsi sparare addosso....ma andate a cagare....anzi, Fuck you!!


Delirio Afpak
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 28 Ottobre 2009

I talebani pachistani compiono un massacro nel bazar di Peshawar.Quelli afgani attaccano nel centro di Kabul.

Intanto si scopre che la Cia paga da anni il più grande boss afgano della droga: il fratello del presidente di Karzai.

L'autobomba che oggi ha ucciso quasi cento persone, ferendone e mutilandone altre duecento, ha distrutto il caratteristico bazar dei cereali e delle granaglie di Pipal Mandi, nel cuore della città vecchia di Peshawar. Si chiamava così perché sorgeva attorno a un antichissimo pipal, un fico sacro millenario: albero sacro per i buddisti. Non per i commercianti musulmani, che infatti avevano ingabbiato il suo grande tronco in una baracca circolare di legno che ospitava decine di venditori con le loro merci.

All'ombra del grande albero i mercanti chiacchieravano e prendevano il tè, i garzoni spingevano i carretti carichi di merci, talvolta inutilmente trainati da piccoli muli, facendo lo slalom tra i moto-risciò e le donne in burqa venute a fare la spesa.

Da questo ombelico sacro-profano si diramavano tortuosi i vicoli affollati e bui del bazar, su cui si affacciavano ininterrotti gli altri banchi del mercato e grandi portoni di legno da cui si accedeva ad antichi caravanserragli da mille e una notte: cortili ombreggiati da teli colorati e ingombri di casse, sacchi, bilance, carretti, animali e mercanti intenti a trattare, pesare e catalogare.

Tutto attorno a Pipal Mandi si snodavano, senza distinzioni nette tra l'uno e l'altro, il bazar delle spezie, quello delle pozioni magiche, quello degli ortaggi e quello delle donne, pieno di tessuti e accessori colorati ‘made in China'.

Ormai da anni nessun occidentale si spingeva da queste parti. Il personale straniero dell'Onu e della Croce Rossa Internazionale che lavora a Peshawar ha il divieto assoluto di avvicinarsi anche in auto alla città vecchia per il rischio attentati. Anche molti giornalisti preferiscono tenersi alla larga dai bazar. Chi, invece, decideva di tuffarsi in questo labirinto attirava gli sguardi di tutti, ma proprio tutti, come fosse un marziano. Sguardi curiosi, approcci amichevoli - "Hello sir! How are you sir? Where are you from sir?" - e in alcuni casi allarmati - "Don't stay here sir, it's dangerous! A lot of taliban here, sir".

Anche nel centro di Kabul ci sono tanti talebani. Oggi un piccolo commando di guerriglieri travestiti da poliziotti ha fatto irruzione nell'hotel Bakhtar di Shar-e-Naw, nel pieno centro di Kabul (a due passi dall'ospedale di Emergency), uccidendo dodici persone, tra cui sei dipendenti delle Nazioni Unite di cui non è ancora stata resa nota la nazionalità.

Mentre la zona si trasformava in un campo di battaglia, con sparatorie, esplosioni, gente in fuga imbrattata di sangue, mentre centinaia di soldati circondavano la zona, altri talebani sparavano un colpo di mortaio contro l'Hotel Serena, il superblindato albergo cinque stelle che ospita gli stranieri a Kabul.

Temendo anche qui un irruzione armata, gli ospiti sono stati rinchiusi nei bunker sotterranei, fino a quando l'allarme non è cessato.

Una dimostrazione di forza dei talebani alla vigilia del ballottaggio per le elezioni presidenziali, fissato per sabato 7 novembre: un voto illegittimo (poiché si svolge sotto occupazione militare) che confermerà al potere il sempre più debole e screditato Hamid Karzai.

E' di oggi la notizia che suo fratello Hamed Wali, il principale narcotrafficante del paese e l'organizzatore delle frodi elettorali nel sud a vantaggio di Hamid, è da otto anni sul libro paga della Cia. Qualcuno dice perché è suo l'ex residenza del Mullah Omar di Kandahar che oggi è diventato il quartier generale di migliaia di mercenari della Cia e delle forze speciali Usa - anni fa chi scrive ha avuto il piacere di venire fermato da questi ‘Rambo' vestiti da talebani davanti al cancello di Villa Omar: un calcio sul cofano della macchina e un fucile d'assalto puntato alla testa dell'autista accompagnato da un gentile "Get the fuck out of here!". Altri ricordano le accuse di coinvolgimento dell'intelligence Usa nel narcotraffico afgano: che il più grosso boss afgano della droga è stipendiato dalla Cia sarebbe solo una conferma.


Kabul val bene un massacro
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 30 Ottobre 2009

L'Unione europea ha deciso di togliere l'embargo contro l'Uzbekistan, imposto quattro anni fa dopo la strage di Andijan del 13 maggio 2005, quando centinaia, forse migliaia di persone vennero trucidate dall'esercito del dittatore uzbeco, Islam Karimov, che poi perseguitò, imprigionò e torturò tutti coloro che osarono denunciare questo eccidio.
Perché questo perdono? Per i "passi avanti" compiti in questi anni dall'Uzbekistan nel rispetto dei diritti umani, ha dichiarato l'Ue. "Balle!", ha ribattuto Humand Rights Watch, spiegando che la situazione nel paese centrasiatico non è migliorata di un millimetro.
Ma allora, perché?

Usa e Nato hanno bisogno dell'aiuto di Karimov. La vera ragione per cui l'Europa ha deciso di riappacificarsi con il sanguinario regime di Karimov è che l'Occidente si trova ad avere disperatamente bisogno dell'Uzbekistan per proseguire la sua guerra d'occupazione in Afghanistan.
Dopo la chiusura delle linee di rifornimento pachistane, a causa dei continui attacchi talebani ai convogli, le truppe alleate sono state costrette ad aprire un canale alternativo a nord, attraverso il Tagikistan. Ma i talebani hanno iniziato ad attaccare regolarmente anche questa nuova via, in particolare nella provincia frontaliera di Kunduz.
Da qui la necessità, per Stati Uniti e Nato, di trovare una soluzione sicura e definitiva. L'unica è la strada che entra dall'Uzbekistan e poi scende a sud attraverso la tranquilla regione di Mazar-i-Sharif, regno del famigerato criminale di guerra uzbeco Abdul Rashid Dostum, al momento alleato di Karzai e degli Stati Uniti.
La rimozione dell'embargo da parte dell'Unione europea è quindi il primo necessario passo per intavolare con Karimov una trattativa sul transito dei convogli alleati in territorio uzbeco.

I talebani conquistano il Nuristan e minacciano Kabul. La rotta uzbeca consentirà ai rifornimenti Usa e Nato di aggirare la zona talebana di Kunduz e di raggiungere il valico di Salang sull'Hindu Kush, da dove poi la strada scende verso l'altipiano di Shomali fino Kabul. Questa, oggi, è rimasta l'unica via d'accesso alla capitale non controllata dai talebani.
Ma presto le cose potrebbero cambiare perché la guerriglia si sta notevolmente rafforzando anche nelle regioni a nord-est di Kabul. Soprattutto ora che le truppe statunitensi si sono completamente ritirate dalla provincia del Nuristan.

Dopo anni di dure battaglie combattute tra le montagne di questa impervia regione, il comandante Stanley McChrystal ha ordinato la chiusura e l'abbandono di tutte le basi avanzate nella regione per tutto il periodo invernale a causa delle difficoltà di rifornirle: via terra non è possibile perché ci sono i talebani, via elicottero nemmeno perché i talebani hanno imparato ad abbatterli - come hanno ripetutamente dimostrato negli ultimi giorni.

Così il Nuristan è stato lasciato in mano alle milizie talebane di Qari Ziaur Rahman. Qualche centinaio di marines è stato lasciato solo nel capoluogo provinciale, Parun, a protezione del governatorato. Un obiettivo, questo, che ai talebani non interessa: per loro il Nuristan - le sue vette, le sue foreste, le sue gole - rappresenta una roccaforte ideale da dove lanciare operazioni in direzione ovest, verso Laghman e Kapisa - già infiltrate dai talebani - e da lì verso la strada che dal valico di Salang scende a Kabul.


"Il fratello di Karzai collabora con la CIA"

di Guido Olimpio - Il Corriere della Sera - 28 Ottobre 2009

Ahmed Wali, fratello del presidente afghano Karzai, sarebbe da otto anni sul libro paga della Cia. Un personaggio scomodo, coinvolto nel traffico di droga, ma utile alle missioni dell’intelligence. Ahmed Wali avrebbe, infatti, messo in piedi un apparato para-militare, la Kandahar Strike Force, che ha aiutato la Cia nella caccia ai terroristi e agli insorti. Inoltre il fratello del presidente ha avuto un ruolo, in questi anni, come canale di contatto con esponenti talebani.

MALUMORI NELLA CIA - A rivelare i particolari è il New York Times, imbeccato da funzionari ai quali non piace la collaborazione con Wali. I critici muovono quattro accuse: 1) Si mantengono rapporti con un personaggio non cristallino indebolendo il progetto di imporre delle regole. 2) Invece di rafforzare le autorità statali si preferisce appoggiare una sorta di signore della guerra. 3) E’ un colpo alla strategia anti-droga. 4) Si conferma l’immagine del clan Karzai quale «burattino» nelle mani di Washington.

LE RAGIONI DI CHI DICE SI' - Chi difende la scelta ribatte, invece, che nella situazione attuale gli americani non hanno troppa scelta. E Ahmed Wali può essere utile per «comprare» alcuni leader talebani, un progetto che il Pentagono vuole perseguire per spezzare il fronte nemico. Inoltre si afferma che non vi sono prove del suo coinvolgimento nel narcotraffico. L’impressione è che, nonostante i proclami, il comando Usa sia disposto a chiudere un occhio in certe aree sul racket della droga. Per il semplice motivo che l’oppio è l’unica risorsa per molte persone: se gli togli anche quello è probabile che si uniscano alla ribellione. Un gioco comunque pericoloso poiché i talebani si finanziano anche con il mercato degli stupefacenti.

LA STRATEGIA DELLA CASA BIANCA - Il caso Karzai arriva, poi, in un momento delicato in quanto la Casa Bianca sta per decidere la strategia da adottare in Afghanistan. L’ultima ipotesi è che Barack Obama approvi l’invio di rinforzi con un obiettivo ridotto: la difesa di una serie di centri abitati, a cominciare da quello di Kandahar. Dunque le truppe dovrebbero proteggere la popolazione limitando al minimo le azioni nelle regioni extraurbane. In queste ultime aree l’intervento passerebbe ad unità speciali e velivoli senza pilota armati di missili.


Un approccio giudicato rischioso da alcuni esperti in quanto c’è il pericolo che i talebani estendano la loro presenza nelle campagne e possano avere maggiore libertà d’azione. Inoltre gli insorti hanno dimostrato che possono infiltrarsi nelle città – Kabul compresa – dove hanno messo a segno gravi attentati. Una tattica usata con effetti devastanti anche nel vicino Pakistan, dove agiscono organizzazioni gemelle, composte da militanti locali e estremisti di ispirazione qaedista.


Il coraggio di Obama davanti alle bare che Bush ha sempre voluto nascondere
di Vittorio Zucconi - La Repubblica - 30 Ottobre 2009

C'era il velo affettuoso della notte, non velette nere di madri e di vedove, per il ritorno a casa del sergente dell'Indiana Dale Griffin dentro la bara bianca d'ordinanza. C'era a riceverlo il primo Presidente degli Stati Uniti che finalmente avesse trovato il coraggio vedere con i propri occhi i risultati delle guerre dove lui stesso manda i figli degli altri a morire.

Per 18 anni, da quel 1991 che aveva terrorizzato le autorità americane e il governo di George Bush il Vecchio al pensiero della possibile processione di caduti dal Golfo, la base aerea di Dover, nelle piane alluvionali del fiume Delaware sull'Atlantico, dove tutti i morti d'oltremare sono riportati, era rimasta chiusa ai non addetti allo scarico delle bare.

Vietata ai fotografi, alle telecamere e anche ai parenti. Per rispetto, per risparmiare a quei morti e alle loro famiglie, il "media circus", era stato spiegato, ma in realtà per evitare alla nazione di vedere che cosa c'è sempre all'altro capo della retorica e delle marcette, delle guerre giuste o ingiuste, combattute per necessità o per scelta che siano. Bare.

Obama ha avuto il coraggio di spezzare questa ipocrisia del pudore propagandistico. In queste ore sta decidendo se mandare altri come il sergente Dale Griffin dell'Indiana, campione di lotta libera nel liceo di Terre Haute saltato su una mina in Afghanistan, a contendersi l'onore di tornare a casa coperto dalle bandiere sudario e ha voluto fare almeno il gesto di uscire dalla bolla del potere washingtoniano, dei consiglieri, della strategia, per vedere di persona. Per provare che cosa significhi vedere un enorme aereo militare da trasporto C5 scaricare dai suoi rulli 18 bare che quattro giorni prima erano uomini.

Era molto diverso il Barack Obama che le telecamere hanno ripreso sull'attenti, accanto agli ufficiali e ai soldati in tuta mimetica da fatica, che lo affiancavano ai piedi dello scivolo del C5 carico di casse da morto atterrato sulla pista di Dover. Nella crudezza dei faretti portatili, senza filtri "soft" da studio e senza cerone, contro il fondale della notte, era più pallido lui, l'afro, delle facce bianche che lo circondavano, le rughe del volto scavate dal troppo contrasto fra i flash e il buio, la giacca e i calzoni sbattacchiati dal vento del maltempo che agitava tutta la costa Atlantica.

Anche il suo saluto militare, fatto da un presidente che non ha mai indossato un'uniforme e che, come i suoi ultimi predecessori Bush il Giovane e Clinton, non ha mai visto una guerra da vicino, era persino troppo perfetto e tagliente, come di chi abbia timore di sbagliarlo. Sembrava, lui che pure è alto e atletico, minuto tra quei militari irrobustiti dalle tute mimetiche, rimpicciolito dalle dimensioni dell'enorme aereo e dal fisico dei sei portatori della pesantissima bara di acciaio saldato e laccato bianco a chiusura ermetica e guarnizioni di gomma, costo all'ingrosso per il Pentagono dollari 949.

Era stato proprio Obama ad annullare il black-out, l'oscuramento imposto da George Bush Primo nel 1991 nel timore di scuotere l'opinione pubblica e di incrinare il fronte interno di fronte alla processione di bare dal Golfo. Lo avevano mantenuto Clinton, che i suoi morti, soprattutto in Somalia, aveva prodotto e George il Piccolo, che temeva di alimentare l'ostilità crescente alle guerra in Iraq e Afghanistan.

Ma nessuno di loro, neppure Bush padre che pure la guerra aveva visto e combattuto come pilota di marina nel Pacifico, era mai salito da Washington sceso a quella base di Dover, mezz'ora di volo per l'Air Force One, che ha l'esclusivo e tristissimo onore di essere il primo approdo dei caduti. Il luogo dove avviene, secondo la formula ufficiale, "la dignitosa cerimonia" del trasferimento dei morti ai furgoni e poi ad altri aerei commerciali che li trasporteranno dove le famiglie li vogliono seppellire.

Il sergente dell'Esercito Griffin era stato salutato alla partenza per l'Afghanistan da un'edizione speciale del giornale della sua cittadina, il Terre Haute Daily Journal, perché era un piccolo eroe locale, campione di lotta libera nello stato dell'Indiana a 16 anni, figlio di una coppia religiosissima di Avventisti del Settimo Giorno, bel ragazzo che aveva preferito l'uniforme alle aule di un'università che non poteva permettersi.

Sono stati i genitori a concedere il permesso a che la sua bara fosse quella scelta dai comandi e dal Presidente per la cerimonia che finalmente ha squarciato il buio di quell'ipocrisia e che Obama ha preteso per capire, e per far vedere, di essere costretto anche lui a essere un presidente che ha ereditato due guerre. Ma almeno con il rimpianto di doverlo essere. Quella di Griffin è stata la cinque millesima bara scaricata dai C5 Galaxy della Lockheed a Dover. Ne sono state necessarie 4.999 perché un presidente andasse a onorarne una.