lunedì 26 ottobre 2009

Obama nel pugno del Pentagono

Una serie di articoli a conferma di un sentimento ormai diffuso da mesi: il presidente USA Barack Obama è sotto scacco del Pentagono che lo ha in pugno.

Le prime avvisaglie si erano già avute con il golpe in Honduras del giugno scorso, qui di seguito invece sono evidenziati gli ultimi sviluppi di una politica estera americana prona da sempre agli interessi dell'industria bellica, e in perfetta continuità con quella della precedente Amministrazione Bush.

A tal proposito va inoltre ricordato che Obama aveva confermato Robert Gates - ex Direttore della CIA con quasi 30 anni di servizio al suo interno - come Segretario alla Difesa, incarico che aveva assunto nel Novembre 2006 su nomina di George W. Bush.

Un campanello d'allarme su cui era (ed é) calata la pesante sordina dei mainstream media.


S. Hersh: "I militari sono in guerra contro la Casa Bianca"
di Susie Madrak - http://crooksandliars.com - 20 Ottobre 2009
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da Alcenero

Dato che gran parte delle persone sane di mente sono fuggite dall'esercito durante l'amministrazione Bush, non mi stupisce che tra quelli che sono rimasti ci siano molti elementi razzisti e di estrema destra. Eppure sono rimasta scioccata a sentire questo:

DURHAM — L'esercito americano non sta solo combattendo guerre in Iraq e Afghanistan, afferma il più rinomato giornalista investigativo americano.

L'esercito è anche “in guerra contro la Casa Bianca – e sono convinti di avere incastrato Obama”, ha affermato martedì sera nel Page Auditorium della Duke University di fronte a centinaia di persone il vincitore del premio Pulitzer Seymour Hersh. “Loro pensano che sia debole e del colore sbagliato. Si, c'è del razzismo al Pentagono. Potrebbe non farci piacere pensare che sia così, ma è vero e lo sappiamo tutti”.

In un seminario sulla politica estera di Obama, Hersh, che scoprì il massacro di My Lai durante la guerra del Vietnam e le torture nella prigione di Abu Ghraib durante la guerra in Iraq, ha affermato che molti comandanti militari vorrebbero veder fallire Obama.

“Un sacco di gente al Pentagono vorrebbero vederlo finire nei guai”, ha affermato. Lasciando trapelare l'informazione che il comandante in capo in Afghanistan, Gen. Stanley McChrystal, ritiene che la guerra sarebbe perduta senza altri 40000 soldati americani, i pezzi grossi hanno messo Obama in una situazione senza uscita, ha sostenuto Hersh. “Se egli dà loro le truppe in più che chiedono, perde politicamente”, ha detto Hersh. “Ma anche se non gliele dà, perde politicamente”.

Il giornalista ha criticato il presidente per “aver lasciato che i militari facessero una cosa del genere”, e ha suggerito l'unica via di uscita con cui Obama potrebbe tenere loro testa. “O lascia che sia il Pentagono a gestire lui, oppure si deve mettere a gestire lui il Pentagono,” ha detto Hersh. Se non lo farà, “questa storia sarà la rovina della sua presidenza”.

Hersh ha definito la situazione in “Af-Pak” - il diffondersi del conflitto in Afghanistan e Pakistan – la maggiore sfida per Obama.

L'unico modo che hanno gli USA per districarsi dal conflitto, ha detto Hersh, è negoziare con i Talebani.

“E' l'unica via di uscita”, ha detto. “So che ora alla Casa Bianca si discute molto di questo”.

N.d.t.: il brano è un estratto di un articolo di Neil Offen per The Herald Sun.


Task Force per l'America Latina (parte 1)
di Antonio Mazzeo - Peacereporter - 14 Ottobre 2009

Negli stessi giorni in cui è stata ufficializzata l'assegnazione del premio Nobel per la pace al presidente Barack Obama, il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti ha annunciato la costituzione di una nuova e potentissima task force aeronavale destinata a presidiare i mari del continente americano. Si tratta del Carrier Strike Group CSG 1 e il suo comando operativo sarà attivato a San Diego (California).

Come dichiarato dal Comando della III Flotta dell'US Navy che ne coordinerà gli interventi, "il CSG 1 sosterrà la strategia marittima nazionale, aiuterà nella promozione delle partnership regionali, farà da deterrente alle crisi, proietterà la potenza militare USA, promuoverà la sicurezza navale e fornirà assistenza in caso di disastri naturali all'interno di una vastissima area di operazioni dell'Oceano Pacifico". La prima missione della forza aeronavale prenderà il via nella primavera del 2010 e si realizzerà "nelle acque del Sud America".

Imponente la potenza di fuoco del nuovo strumento di intervento militare statunitense. Al Carrier Strike Group saranno assegnati una portaerei a propulsione nucleare, cinque fregate e due incrociatori lanciamissili, un centinaio tra caccia intercettori, aerei a decollo verticale ed elicotteri, più alcune navi appoggio e di trasporto gasolio e munizioni.

La nave ammiraglia sarà la USS Carl Vinson (CVN 70), portaerei della classe "Nimitz", 103.000 tonnellate di stazza e una lunghezza di 332 metri, dotata di due reattori atomici della potenza di 194 Mw. Armata con sistemi missilistici Mk 57 "Sea Sparrow", nel 2005 la Carl Vinson ha operato per sei mesi nel Golfo Persico appoggiando le operazioni di guerra in Iraq. Successivamente la portaerei è stata sottoposta a complessi lavori di manutenzione presso i cantieri navali di Newport (Virginia), di proprietà della Northrop Grumman, il gigante del complesso militare industriale USA che ha prodotto i velivoli senza pilota Global Hawk che stanno per giungere nella base siciliana di Sigonella.

I lavori alla Carl Vinson, completati qualche mese, hanno permesso la "modernizzazione dei sistemi di combattimento e delle capacità operative dei velivoli trasportati" e il "rifornimento degli impianti di propulsione nucleare necessario a prolungarne il funzionamento per altri 25 anni". Il gruppo aereo che sarà trasferito a bordo della porterei sarà il Carrier Air Wing Seventeen (CVW-17), con base a Oceana (Virginia), sino al giugno 2008 operativo dalla portaerei USS George Washington.

Il CVW è composto da cinque squadroni dotati di caccia F/A-18E "Super Hornet" ed elicotteri per la guerra aeronavale ed elettronica, l'intercettazione e la distruzione di unità di superficie, sottomarini, aerei e sistemi missilistici nemici. Le capacità belliche del gruppo di volo sono state ripetutamente utilizzate dal Pentagono in occasione della prima e della seconda Guerra del Golfo e, più recentemente, nel novembre 2007, durante la sciagurata controffensiva alleata a Fallujah (Iraq), quando furono eseguite sino a quaranta missioni di bombardamento al giorno.

Della nuova task force aeronavale faranno pure parte il Destroyer Squadron - DESRON 1, costituito da cinque fregate della classe "Oliver Hazard Perry" (tutte dotate di cannoni Oto Melara 76mm/62 e Phalanx CIWS, lanciatori per missili "SM-1MR" ed "Harpoon" ed elicotteri "SH-60 Seahawk Lamps III") e dagli incrociatori USS Bunker Hill e Lake Champlian della classe "Ticonderoga", equipaggiati con sistemi missilistici a lancio verticale "Mk. 41 VLS", missili RGM-84 "Harpoon" e "BGM-109 Tomahawk", quest'ultimi a doppia capacità, convenzionale e nucleare. Il Bunker Hill ha partecipato nel gennaio 2007 alle operazioni di bombardamento USA in Somalia in contemporanea all'invasione del paese da parte delle forze armate etiopi.

La proiezione della forza aeronavale nell'intero continente esalterà ulteriormente il ruolo assunto dall'US Southern Command - SOUTHCOM (il Comando Sud delle forze armate USA con sede in Florida), nella pianificazione della strategia politica e militare degli Stati Uniti verso l'America latina. Il Comando, in particolare, ha pubblicato nel 2007 un documento dal significativo titolo "US Southern Command - Strategy 2016 Partnership for the America", in cui si delineano le ragioni e gli obiettivi della presenza militare statunitense nell'area per il prossimo decennio.

Come evidenziato da Gabriel Tokatlian, docente di Relazioni Internazionali dell'Università San Andrés di Buenos Aires, si tratta del "piano strategico più ambizioso per la regione che sia mai stato concepito da diversi anni a questa parte da un'agenzia ufficiale statunitense". Nelle pagine del report, SOUTHCOM si erge ad organizzazione leader, tra quelle esistenti negli Stati Uniti d'America, per assicurare "la sicurezza, la stabilità e la prosperità di tutta l'America".

Ampio il ventaglio degli obiettivi strategici da conseguire entro il 2016: tra essi, una "migliore definizione del ruolo del Dipartimento della Difesa nei processi di sviluppo politico e socioeconomico del continente"; la "negoziazione di accordi di sicurezza in tutto l'emisfero"; l'"attribuzione a nuovi paesi della regione dello status di alleato extra-NATO" (oggi lo è la sola Argentina); la "creazione e l'appoggio di coalizioni per eseguire operazioni di pace a livello regionale e mondiale"; l'identificazione di "nazioni alternative disponibili ad accettare immigrati" e "stabilire relazioni per affrontare il problema delle migrazioni di massa".

L'US Southern Command punta inoltre a sviluppare programmi continentali di "addestramento nel campo della sicurezza interna"; sostenere l'iniziativa di un "battaglione congiunto delle forze armate centroamericane per realizzare operazioni di stabilizzazione"; incrementare il numero delle cosiddette "località di sicurezza cooperativa" (si tratta di basi di rapido dispiegamento come quelle recentemente concesse alle forze armate USA dal governo colombiano di Alvaro Uribe).

Task Force per l'America Latina (parte 2)

In vista della riaffermazione egemonica delle forze armate USA in quello che da sempre viene considerato il "cortile di casa", l'1 luglio 2008 è tornata ad essere operativa la IV Flotta dell'US Navy, disattivata dal Pentagono nel 1950.

Il quartier generale della IV Flotta è stato emblematicamente stabilito presso la stazione navale di Mayport, Florida, sede dell'US Southern Command, e il comando diretto della flotta è stato attribuito al comandante in capo dell'US Naval Forces Southern Command (NAVSO), la componente navale di SOUTHCOM. "La IV Flotta opera di concerto con le componenti navali, sottomarine ed aree, le forze di coalizione e le Joint Task Forces di SOUTHCOM in una vastissima aerea geografica comprendente i Caraibi, il Centroamerica e il Sud America", spiega Washington.

"Con lo scopo di rafforzare l'amicizia e la partnership con i paesi della regione, la IV Flotta supporta direttamente la Strategia Marittima USA, conducendo principalmente le missioni di appoggio alle operazioni di peacekeeping, l'assistenza medica ed umanitaria, il pronto intervento in caso di disastri, la realizzazione di esercitazioni marittime d'interdizione e di addestramento militare bilaterale e multinazionale, l'azione anti-droga, la lotta al terrorismo internazionale e al traffico di persone".

A conferma dell'obiettivo di "militarizzare" ogni aspetto civile, sociale e di "cooperazione", si puntualizza che per la pianificazione e l'esecuzione delle proprie missioni, la IV Flotta opererà "accanto alle organizzazioni non governative, alle agenzie che rappresentano le nazioni partner e alle organizzazioni internazionali".

La riproposizione della politica delle cannoniere in Sud America e nei Caraibi risponde alla necessità di rafforzare il presidio delle rotte commerciali regionali, fondamentali per l'economia statunitense, e di protezione dell'accesso e del controllo delle grandi corporation sulle incomparabili risorse energetiche, minerarie ed idriche del continente. Il Pentagono non nasconde inoltre che le task force navali siano state costituite come forma di pressione politico-militare contro i governi più o meno progressisti che guidano ormai buona parte dei paesi del continente americano.

La IV Flotta è risorta nel momento in cui si sono consolidate istanze di coordinamento politico, sociale ed economico regionale come Unasur, il Mercosur e l'Alba, ed è stato costituito il Consiglio di Difesa sud-americano, un organo di cooperazione tra le Forze Armate del continente che, tra ambiguità di fondo e latenti divisioni interne, ha tuttavia escluso la presenza statunitense.

Come successo in Africa con la costituzione del nuovo comando delle forze armate USA che sovrintende a tutte le operazioni nel continente (AFRICOM), i processi di militarizzazione dell'America latina sono stati accelerati per rispondere alla penetrazione economica e finanziaria della Cina. L'intercambio bilaterale del gigante asiatico con il continente ha raggiunto nel 2007 la ragguardevole cifra di 100 miliardi di dollari.

Dall'aprile del 2009 la Cina è divenuta la principale partner commerciale del Brasile, il paese sudamericano con il tasso di crescita più rilevante, scavalcando nettamente gli USA. La Cina si sta affermando inoltre come il principale mercato di esportazione del Cile, il secondo di Argentina, Perù, Costa Rica e Cuba, il terzo di Venezuela e Uruguay.

I settori d'intervento sono molteplici: innanzitutto quello petrolifero (Pechino ha assicurato un prestito per 10 miliardi di dollari all'impresa petrolifera brasiliana Petrobras ed ha investito diverse centinaia di milioni di dollari nei giacimenti di Caracoles e dell'Orinoco in Venezuela e di Talara in Perù); il minerario (zinco in Perù, ferro in Brasile, rame in Cile); l'industria agroalimentare (Argentina), meccanica ed elettronica (ancora Brasile, Perù, Uruguay e Cuba).

Durante il primo anno di vita della Zona Franca di Nueva Palmira, sul Rio Uruguay, dove sono convogliate alcune produzioni agricole e forestali di Argentina, Brasile meridionale e Paraguay, la Cina compare come maggiore paese di destinazione finale delle merci (oltre 560.000 tonnellate, il 31% del totale, in buona parte soia e cellulosa).

Tra i prodotti di alta tecnologia esportati al continente latinoamericano, ci sono pure i sistemi di tele-sorveglianza dei centri urbani. Il governo frenteamplista uruguaiano ha affidato alla ZTE Corporation di Pechino una commessa di 12 milioni di dollari per la fornitura di telecamere a circuito chiuso da installare in porti, aeroporti, piazze e strade del paese sudamericano.

Tra coloro che manifestano maggiore preoccupazione per l'avanzata economico-finanziaria cinese in America latina ci sono i manager dell'industria bellica statunitense.

Sulla nota rivista del settore Air & Space Power Journal, nel novembre del 2006 è apparso un lungo articolo dedicato alla presenza del colosso asiatico in America latina, la cui pericolosa conseguenza sarà "la trasformazione dei porti del Pacifico" e il "cambiamento nella struttura economica con la perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero". Ergo, gli estensori ribadivano il "diritto e il dovere" degli Stati Uniti di "vigilare sulle modalità con cui questo intervento si ripercuote nella salute pubblica, sociale ed economica dell'emisfero occidentale".

Roger Noriega, ex segretario di Stato per gli Affari dell'Emisfero Occidentale, ha dichiarato di fronte al Congresso che "gli Stati Uniti continueranno ad osservare da vicino la strategia cinese di avvicinamento all'America latina, in modo da assicurare che essa sia compatibile con il progresso registrato nella regione nell'affermazione della democrazia rappresentativa. Un progresso duramente guadagnato...".


Task Force per l'America Latina (parte 3)

Ulteriore elemento di preoccupazione per Washington, gli accordi di cooperazione nel settore militare sottoscritti dalla Cina con paesi della regione, in particolare quello che ha visto l'invio di personale militare venezuelano in Asia per la formazione nella gestione dei satelliti di telecomunicazione.

Motivo di allarme tra gli strateghi statunitensi anche la crescente presenza di società della Cina nei porti di Balboa e Cristobal, nel Canale di Panama. "Queste compagnie sono controllate da cinesi comunisti che hanno ottenuto un bastione nel Canale senza sparare un solo colpo, cosa che invece è costata lunghi sforzi al nostro paese", ha dichiarato qualche tempo fa il portavoce del Comando SOUTHCOM. Attraverso il Canale di Panama transita attualmente il 5% del commercio globale e più dei due terzi delle imbarcazioni sono dirette a porti degli Stati Uniti.

Un'importanza economica destinata a crescere ulteriormente adesso che hanno preso il via i lavori di ampliamento del sistema di chiuse per consentire il transito a navi fino a 366 metri di lunghezza e 50 di larghezza, capaci di trasportare fino a dodicimila container, o alle petroliere in grado di stivare sino ad un milione di barili di greggio. I lavori nel Canale di Panama saranno completati entro il 2014 e costeranno più di 5,25 miliardi di dollari. Ad aggiudicarsi una porta sostanziale delle commesse un consorzio guidato dall'italiana Impregilo.

Proprio nel Canale di Panama, meno di un mese fa si è tenuta una mega-esercitazione aeronavale (PANAMAX 2009) promossa dall'US Southern Command. "Un'esercitazione insostituibile per continuare ad assicurare la difesa di questo corridoio strategico e prevenire un ampio spettro di possibili minacce, inclusi gli atti terroristici", ha dichiarato il colonnello Michael Feil, comandante di US Army South e direttore delle operazioni aeronavali nel Canale.

"Le organizzazioni terroristiche transnazionali hanno come obiettivo quello di influenzare i paesi e convincerli ad opporsi alla partnership con gli Stati Uniti d'America. Attaccando il Canale di Panama essi colpiranno i beni che vi transitano e incoraggeranno i paesi ad ascoltarli". "PANAMAX tiene insieme i paesi che sono d'accordo a sostenere lo sforzo per la sicurezza del Canale", ha concluso il colonnello Feil. "I paesi partecipanti ne riconoscono il ruolo e l'importanza nel mantenere gli standard di vita e l'economia dei popoli della regione".

All'importante esercitazione hanno partecipato 4.500 militari, 30 navi da guerra e decine di cacciabombardieri di Stati Uniti e venti nazioni straniere (Argentina, Belize, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Olanda, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana ed Uruguay). PANAMAX è stata l'occasione perché la IV Flotta USA potenziasse sul campo capacità e funzioni, sperimentando tecniche d'intervento contro la pirateria navale e l'uso di velivoli senza pilota UAV.

A conclusione di PANAMAX 2009, la IV Flotta ha ottenuto la pre-certificazione di Maritime Operations Center (MOC), il "congiunto di flessibilità e prontezza operativa", necessari secondo la US Navy, per il "controllo delle missioni navali a livello bellico, d'intelligence, logistico e del settore delle telecomunicazioni". "La IV Flotta - spiega SOUTHCOM - può condurre da oggi l'intero spettro delle operazioni di sicurezza marittima in appoggio agli obiettivi USA di cooperazione che promuovono la costruzione di alleanze e impediscono i tentativi di aggressione".


Panama, ancora basi militari Usa
di Alessandro Grandi - Peacereporter - 20 Ottobre 2009

Nuove basi militari statunitensi saranno installate a Panama, piccolo e stretto Paese del centro-america, al confine con la Colombia.

Dunque, chi sperava o era convinto, che l'espansione militare statunitense nel "giardino di casa" fosse cosa d'altri tempi, deve ricredersi.
Oggi, lo zio Sam nonostante le pessime figure militari fatte finora nei quattro angoli del pianeta dal proprio esercito, ritorna là da dove era partito tanti anni fa, e tenta la ri-colonizzazione dell'area.
Per farlo da qualche tempo ha deciso di continuare con il solito fil rouge: costruire basi militari.

Le ultime in ordine di tempo sono quelle previste per il territorio panamense. Da Panama fanno sapere che l'accordo raggiunto durante la riunione generale delle Nazioni Unite fra il presidente, Ricardo Martinelli, e il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, prevede l'installazione di due basi navali Usa, una nei pressi del confine con la Colombia nella zona di Bahia Piña e l'altra nella parte occidentale del Paese non lontana da Punta Coca. Inoltre, le due rappresentanze hanno raggiunto accordi di cooperazione su larga scala che serviranno per il futuro del Paese.

Diverse le spiegazioni rilasciate alla stampa sull'utilità di inglobare nel proprio territorio basi militari straniere, fatto che ha lasciato perplessi molti dei governanti dell'area che dello smantellamento della basi militari Usa hanno fatto una questione di vita politica. Martinelli non si è fatto certo intimorire e ha spiegato la presenza di soldati Usa con la necessità di far fronte alla lotta ai cartelli della droga e alla protezione delle strade di confine troppo spesso teatro del transito anche di guerriglieri che dalla Colombia si nascondono nelle foreste della zona.

E proprio con la Colombia il governo Usa ha firmato accordi militari per la costruzione di sette basi Usa in territorio colombiano.

C'è dell'altro in questa vicenda. Il 1° gennaio del 2000 Panama finì di smantellare gli oltre 14 siti (fra basi militari e semplici postazioni) Usa presenti sul suolo panamense. Oggi a distanza di poco meno di dieci anni le decisioni sono nuovamente cambiate. E i nasi storti per questa decisione sono sempre di più.


Gore Vidal: "Avremo presto una dittaura negli USA"
di Tim Teeman - http://women.timesonline.co.uk - 30 Settembre 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Viola Caon

Il grande uomo di lettere Gore Vidal afferma che l’America “sta marcendo” – e non si aspetta che sia Obama a salvarla

Una conversazione con Gore Vidal si svolge al suo passo. Risponde alle domande in modo imperioso, a volte giocoso, con un pungente, micidiale schiettezza. Ha 83 anni ed è sulla sedia a rotelle (risultato di una ipotermia sofferta in guerra, il suo ginocchio sinistro è di titanio). Ma può camminare (“Certo che posso!”) e durante una recente performance di Madre coraggio al National Theatre di Londra, è stato in piedi davanti alla platea per tenere un discorso contro la guerra.

Com’è stata la sua amica Fiona Shaw nel ruolo principale? “Molto brava.” Dove si sono conosciuti? Silenzio. Negli USA? “Beh, non in Russia.” Che cosa sta scrivendo al momento? “è un po’ noioso parlarne. Gli scrittori sembrano avere poco altro da fare che parlare di se stessi e delle proprie opere in termini magniloquenti.” Intende auto-glorificandosi? “Si è imbattuto in quest’espressione”, dice abbastanza regalmente, “Continui pure ad usarla.”

Vidal è seduto nel Connaught Hotel di Mayfair, dove viene da 60 anni. Indossa una giacca marrone, un maglione marrone e un paio di pantaloni da ginnastica; i capelli bianchi raccolti in un ciuffo alla Tintin, con il suo sguardo accigliato, lineamenti delicati e marcati al tempo stesso e espressione inarcata, sembra Quentin Crisp, ma dotato di un basso e lugubre ringhio invece di una biascicata da accampamento.

Indica un appartamento di fronte all'Hotel dove abitava Churchill durante la seconda guerra mondiale, mentre Dowining Street “veniva martellata dai nazisti. Le folle lo avrebbero acclamato da quella strada. Conosceva bene le Public Relations.” In un lampo, questo ricordo fa rendere conto del grande pezzo di storia che Vidal ha vissuto con grande intimità: è stato amico di JFK, ha combattuto in guerra, suo padre Gene, un atleta olimpionico e insegnante aeronautico, ha fondato la TWA insieme con altre compagnie aeree e ha avuto una relazione con Amelia Earhart. (Vidal stesso ha fatto volare e atterrare un aereo per la prima volta all'età di 10 anni). È stato uno sceneggiatore della MGM negli ultimi giorni della casa di produzione, ha giocato a fare il politico, ha scritto 24 romanzi ed è riconosciuto come uno dei migliori saggisti del mondo.

Ha superato molti confini, dico io. “Infranto molte barriere”, corregge lui.

L’anno scorso ha pubblicamente spostato la propria fedeltà da Hillary Clinton a Barack Obama durante le primarie del partito democratico. Ora, confessa, rimpiange il proprio cambiamento. Come si sta comportando Obama? “Terribilmente. Avevo molte speranze. Era la persona più intelligente che avessimo avuto in quella posizione da parecchio tempo. Ma è inesperto. È completamente incapace di gestire le faccende militari. Si sta comportando come se l’Afghanistan sia il talismano magico: risolvi quello e risolverai il problema del terrorismo.

L’America dovrebbe lasciare l’Afghanistan, dice. “Abbiamo fallito su tutta la linea nella nostra conquista del Medio Oriente, o in qualsiasi altro modo la si voglia mettere. La “guerra al terrorismo” è stata “inventata”, afferma Vidal. “È tutta una questione di opinione pubblica, proprio come le 'armi di distruzione di massa'. Ha distrutto le compagnie aeree che mio padre ha fondato negli anni ’30. Gli ha segato le gambe. Ora quando si vola o si è spaventati di morire o si è annoiati da morire, una delle combinazioni più sgradevoli”.

La sua voce si fa più dura. “Una cosa che ho odiato per tutta la vita sono i bugiardi”, lo dice con tono aspro, “e vivo in una nazione fatta di questi. Non chiedo onore, che può essere esso stesso una bugia. Non dico che c’è stata un’età dell’oro, ma c’è stata un’età di generale buon senso. Avevamo un cane da guardia, i media.” I media sono troppo sottomessi? “Magari fosse semplicemente così. Sono impegnati a prepararci per una guerra contro l’Iran.” Mantiene un certo ottimismo rispetto ad Obama “perché lui non mente. Sappiamo che il pazzo dall’Arizona – come chiama John McCain – è un bugiardo. Non abbiamo mai saputo la vera storia di come McCain ha schiantato il proprio aereo - nel 1967 vicino Hanoi, Vietnam del Nord – e fu tenuto prigioniero.”

Vidal divenne inizialmente sostenitore di Obama perché era cresciuto in una “città nera” – Washington – e perché era stato impressionato dalla sua intelligenza. “Ma crede ai generali. Persino Bush sapeva che la strada per convincere un generale era dargli un’altra stella. Obama crede che il partito repubblicano sia effettivamente un partito, mentre è un modo di vedere le cose, come la Gioventù Hitleriana, basata sull’odio – odio religioso, odio razziale ecc. Quando voi stranieri sentite la parola 'conservatori' pensate a vecchietti gentili che si dedicano alla caccia alla volpe. Non è così, sono fascisti.”

Un altro passo falso di Obama è stato sulla riforma del sistema sanitario. “L’ha mandata a puttane. Non so come, perché il paese la voleva. Non la vedremo mai realizzarsi.” E riguardo la sua ottica più ampia: “Forse non ne ha una, non per insinuare che sia un impostore. Lui adora citare Lincoln e c’è una citazione meravigliosa di Lincoln da una lettera che scrisse ai suoi generali nel Sud dopo la Guerra Civile: ‘Io sono il Presidente degli Stati Uniti. Ho i pieni poteri e non lo dimenticate mai, perché li eserciterò.’ Questo è quello di cui Obama ha bisogno, un po’ della freddezza di Lincoln.” Ha mai incontrato Obama? “No”, dice tranquillamente, “ho avuto le mie esperienze con i presidenti.” Vidal solleva le sue dita a significare una pistola e borbotta un “Bum! Bum!” Si riferisce alla possibilità che Obama venga assassinato. “Solo un misterioso, solitario killer nascosto nelle ombre della capitale.” Dice in modo sardonico e sognante.

Vidal ritiene ora, come faceva all’inizio, che la Clinton sarebbe stata il presidente migliore. “Hillary conosce di più il mondo e sa cosa fare con i generali. La storia ha provato che quando le donne vengono coinvolte, riescono bene. La regina Elisabetta sapeva che Raleigh era l’uomo giusto a cui dare una nave.” I repubblicani vinceranno le prossime elezioni, lui crede, anche se crede ci sia poca differenza tra i due partiti. “Vi ricordate il colpo di stato del 2000 quando la Corte Suprema decretò la selezione, e non l’elezione, dell’uomo più stupido del paese, Mr Bush.”

Vidal afferma con forza che vorrebbe non essere mai tornato negli Stati Uniti, per vivere a Hollywood, dalla sua casa sopra la scogliera a Ravello, in Italia, nel 2000. Howard Austen, che è stato suo compagno per 53 anni, ha raccolto le sue foto di una vita per un libro che uscirà questo autunno Gore Vidal: istantanee nel bagliore della storia (un titolo bizzarramente goffo). La raccolta mostra che bell’uomo era Vidal, anche se il suo sguardo era intransigente come oggi.

Guarda malignamente ai presidenti. “L’unico che conoscevo bene era Kennedy, ma non mi aveva colpito come buon presidente. È come chiedermi 'Cosa penso di mio fratello?'. È complicato. L’ho conosciuto per tutta la vita e in fondo mi piaceva, ma ha bruciato le sue possibilità con le crisi della Baia dei Porci e di Suez, e perché tutti erano così ansiosi di eleggere Bobby una volta che John era andato, si iniziarono a dire bugie su di lui – che era stato il più grande e che era il ‘Re di Camelot’. ”

Oggi la mania religiosa ha infettato il sangue della politica e l’America è diventata corrosivamente isolazionista, dice. “Provate a chiedere agli americani che cosa sanno della Svezia e vi risponderanno: ‘Vivono bene ma sono tutti alcolizzati.' In realtà un sistema politico di tipo scandinavo ci avrebbe giovato molto di più.” Invece l’America “non ha una classe intellettuale” e “sta marcendo al passo di una lenta marcia funebre. Avremo presto una dittatura militare, perché nessun altro è in grado di tenere le cose insieme. Obama avrebbe fatto bene a concentrarsi sull’educazione del popolo americano. Il suo problema è essere iperistruito. Non si rende conto di quanto stupido e ignorante sia il suo uditorio. Benjamin Franklin disse che il sistema sarebbe collassato a causa della corruzione della gente ed è andata proprio così con Bush.”

Vidal aggiunge minacciosamente: “Non fate mai l’errore di pensare che le persone come me stiano cercando degli eroi. Non ce ne sono e se ci fossero, verrebbero immediatamente uccisi. Non mi stupisco mai dei cattivi comportamenti. Me li aspetto.”

Anche se materialmente felice, quella di Vidal non è stata un’infanzia felice. Di sua madre Nina, attrice e mondana, dice: “Datele un bicchiere di vodka ed era la più docile al mondo. Crescere diventa difficile se la persona che odi di più è tua madre. Mi sentivo in trappola. Stavo bene con i miei nonni e mio padre era un santo.” I numerosi matrimoni dei suoi genitori fanno sì che ancora oggi lui non conosca tutti i suoi fratellastri.

Ha scritto il suo primo romanzo, Williwaw, a 19 anni. Nel 1948 fu messo sulla lista nera dai media per aver scritto La statua di sale, uno dei primi romanzi a parlare esplicitamente del desiderio omosessuale. “Sarete sorpresi di sapere che ancora oggi va forte”, dice. Le iniziali “JT” sono una dedica a James “Jimmy” Trimble, il primo amore di Vidal, che una volta ha definito “l’amore della sua vita.” “Era abbastanza un’esagerazione. Lo dissi solo perché non ce n’erano ancora stati altri. Nel nuovo libro ci sono delle bellissime sue foto dei nostri giorni ai tempi della scuola. Era un magnifico atleta.” A questo punto, la sua voce si ammorbidisce e sembra emozionato, per un momento. “Ci lasciavamo completamente andare nel nostro dormitorio al [collegio] St. Alban’s. Fu ucciso nella battaglia di Iowa Jima nel 1945 a causa di scelte sbagliate della G2 [intelligence].”

Vidal dice che la morte di Trimble non l’ha sconvolto. “No, ero anch’io in pericolo di morte. E un uomo morto non può addolorare un uomo morto.” L’amore è stato importante per lui? “Non fate l’errore che tutti gli stupidi insegnanti delle scuole fanno pensando che l’amore omosessuale è uguale a quello eterosessuale. Non lo è.” Ma “non mi soffermerò” nel dire in che cosa sono diversi.

Nel 1956 fu assunto dalla MGM come sceneggiatore per Ben Hur e continuò a scrivere romanzi, il più famoso Myra Beckenridge su un transessuale. Le sue satire, i suoi saggi e i suoi memoriali - Live From Golgotha, Palimpsest e più di recente, Point to Point Navigation – hanno completamente rovesciato la nostra visione di queste spinose contraddizioni, la cui originalità nasce semplicemente e naturalmente dall’aver deliberatamente scardinato credenze comuni e l’eterna fiducia nella repubblica americana, con una tristezza che guida verso il riconoscimento di come quell’ideale si è corrotto.

Vidal divenne un sostenitore di Timothy McVeigh che fece saltare in aria l’Alfred P. Murrah Building a Oklahoma City nel 1955, uccidendo 68 persone. L’enorme numero di perdite di vite, la grande strage di Timothy McVeigh, non viene menzionata da Vidal. “Era un vero patriota, un uomo a favore della Costituzione”, afferma Vidal. “Ed io ero sconvolto. Mio nonno – il senatore democratico Thomas Gore – aveva portato l’Oklahoma nell’Unione.” McVeigh dichiarò di averlo fatto in segno di protesta contro i governi tirannici. Lo scrittore Edward White prese ispirazione dalla corrispondenza tra Vidal e McVeigh per una commedia, Terre Haute (la prigione dove McVeigh fu rinchiuso prima di essere giustiziato nel 2001), immaginando un incontro tra il dinamitardo e un Vidal carico di desiderio.

“E' uno scrittore disgustoso, di basso livello”, dice Vidal riguardo White, “Gli piace attaccare chi è migliore di lui. Il che significa che ha un gran da fare.” Ha mai voluto incontrare McVeigh? “Non faccio il mestiere di incontrare le persone.”, risponde Vidal, “Quella commedia affermava implicitamente che io fossi follemente innamorato di McVeigh. Ho dato un’occhiata all’opera di White e parla esclusivamente di quanto essere froci sia la cosa più bella sulla faccia della terra. Lui crede che io sia una checca come un’altra e io non lo sono. Sono più interessato alla Costituzione e a McVeigh che all’incontro amoroso che White ha voluto vedere. Era solo un volgare frocismo.”

Vidal dice di odiare le etichette e crede più nelle azioni omosessuali che nelle persone omosessuali. Afferma che la sua relazione con Austen fu platonica (anche se si presume fossero soliti incontrarsi in un leggendario bagno turco di New York.) Vidal fu una volta citato per aver fatto sesso con 1000 uomini prima dei suoi 25 anni. Dev’essere stato un po’ strano per Austen, il compagno di vita di Vidal, vedere le fotografie di Trimble, il suo primo, forse unico, amore.

Vidal assume una voce sprezzante e ironica “La gente chiede – di Austen e lui – ‘Come avete fatto a vivere insieme tutto questo tempo?’. L’unica regola è: niente sesso. Non ci credono. È stato a quel punto che ho capito di aver a che fare con un pubblico troppo stupido, almeno per una buona metà”. Il sesso è stato importante per Vidal? “Credo che dev’esserlo stato.”

È single ora. “Non sono in una relazione di coppia”, dice in modo sprezzante, “non so neanche che cosa significhi esserlo. Non me ne potrebbe importare meno dei matrimoni gay. A qualcuno importa davvero che cosa pensano gli americani? Sono il popolo più ignorante del Primo Mondo. Non hanno degli ideali, hanno soltanto reazioni emotive che i pubblicitari sanno come stimolare.” Avrebbe potuto essere il primo presidente gay, gli dico. “No, mi sarei sposato e avrei avuto 9 figli”, risponde velocemente, con serietà. “Non credo in questi termini esclusivi.”

La sua invalidità non gli dà fastidio – è “sorto miracolosamente” sul palco del National Theatre – e non si sofferma neanche a pensare alla morte. “O accetti che la cosa esista o fai finta di essere talmente sordo da non afferrarla.” È in buona salute? “No, ovviamente no. Sono diabetico. È strano, non sono mai stato grasso e non mi sono mai piaciute le caramelle, da cui in genere gli americani sono dipendenti.”

C’è una traccia di ambizione frustrata in lui. “Mi sarebbe piaciuto essere presidente, ma non avevo i soldi per farlo. Ero un amico del potere. L’unica volta che invidiai Jack, fu quando Joe – il padre di JFK- gli comprò il seggio al Senato e poi la presidenza. Non sapeva che fortuna aveva avuto. Ecco una storia che non ho mai raccontato. Nel 1960, dopo aver passato un sacco di tempo nella campagna elettorale per la presidenza, Joe portò tutti e 9 i suoi figli a Palm Beach per rimproverarli. Era molto arrabbiato. 'Tutto quello che leggete sulla fortuna dei Kennedy', disse, 'non è vero. Non esiste. Abbiamo speso così tanto per far eleggere Jack e nessuno di voi riesce a vivere con le proprie entrate.' Tutti quanti stavano lì fermi, pieni di vergogna. Jack fischiettava. Era solito battere i denti: erano denti grandi, come uno xylofono. Joe si girò verso Jack e disse: ‘Che cosa dobbiamo fare, Signor Presidente?’ Jack disse 'La soluzione è semplice: dovete tutti lavorare sodo'.” Vidal sghignazza di cuore.

Vivere a Hollywood si rivelò meno divertente. “Se era in corso uno sconvolgimento sociale, potete star certi che io non ne facevo parte.” Fa una bellissima imitazione di Kathrine Hapburn che si lamenta di dover recitare il ruolo della matriarca per Suddenly Last Summer, “Odio questa sceneggiatura”, ricorda che Kathrine diceva, “sono una persona troppo benestante per conoscere gente come questa!” Vidal sbuffa “Aveva il Parkinson. Tremava come una foglia al vento.”

Gli chiedo cosa vuole fare poi. “La mia risposta a ‘Di che cosa sei fiero?’ in genere è ‘dei miei romanzi’, ma davvero sono più fiero del fatto che, nonostante le tentazioni, non ho mai ucciso nessuno. E non potete neanche immaginare quanto sia stato tentato.”

Non era questa la mia domanda, dico io. “Beh, dato che sono particolarmente fiero di non aver ucciso nessuno, potrei avere qualcosa in serbo per qualcuno!” Non fa una piega: ridiamo entrambi.

È felice? “Che domanda!”, sospira e poi sorride maliziosamente, “Risponderò citando Eschilo: ‘Non chiamare felice nessun uomo prima che sia morto.’ ”


Obama e la Palestina - una delusione prevedibile
di Christopher Vasillopulos* - www.todayszaman.com - 12 Ottobre 2009
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da Giovanni Piccirillo

Siccome sono stato un convinto sostenitore della prima ora di Barack Obama nonché un professore di relazioni internazionali che si interessa di Medio Oriente e di politica estera degli Stati Uniti, mi sono sentito spesso chiedere, durante i corsi e i seminari pubblici: “cosa pensi che farà Obama riguardo alla Palestina?”

Le mie risposte sull’argomento hanno sostenuto che molto probabilmente ci sarebbe stato un evidente cambiamento nei toni delle relazioni arabo-americane e con il mondo islamico in generale, ma solo nei limiti della continuazione della situazione di stallo in Palestina.

Questa previsione, per quanto siano benvenute le migliorate relazioni generali, si è dimostrata fin troppo vera. Oggi, dopo nove mesi di amministrazione Obama, sono ancora più pessimista. Direi ora che, anche se e quando i problemi interni si calmeranno, ad esempio con l’approvazione della riforma sanitaria, con una ripresa economica e il ritiro delle truppe dall’Iraq, non ci sarà alcun sostanziale miglioramento nella questione palestinese.

Israele continuerà con la sua politica di cambiare le carte in tavola, facendo sempre più concessioni agli insediamenti dei coloni, su Gerusalemme, il Muro e su una moltitudine di attività anti-palestinesi.

Ho due motivi per questa convinzione – una diretta, l’altra indiretta. La guerra in Afghanistan, sebbene sia ben lontana dalla Palestina, è diventata ormai la guerra di Obama. Questo crescente senso di inutilità – perché siamo lì? – per stanare Al Qaeda? Per portare la democrazia nel paese? Per mettere in sicurezza il Pakistan? La lista cresce ad ogni titolo di giornale. Mi rendo conto che la volontà di neutralizzare le basi terroriste è stata una promessa essenzialmente dovuta alla spinta della campagna elettorale.

I Democratici sono ansiosi di dimostrare di essere altrettanto guerrafondai dei Repubblicani, quando si tratta di questioni legate alla sicurezza nazionale, specialmente durante il periodo di campagna elettorale. Obama tuttavia, sembra sinceramente impegnato in questa strategia. “La guerra giusta, al tempo giusto. Non è una guerra di scelta ma una guerra di necessità”.

Così cantilena la retorica. Dopotutto, quale presidente direbbe che la guerra che sta combattendo è la guerra sbagliata, nel momento sbagliato e che non era necessaria? E al contempo la guerra in Afghanistan rimane un modo politicamente poco costoso per stabilire le credenziali di Obama come difensore della sicurezza nazionale.

Quanti americani si oppongono al massacro di musulmani, fintanto che si riesce a mantenere un collegamento, benché tenue, con il terrorismo? Dato che le questioni politiche sono strettamente interconnesse, Obama non può permettersi di perdere il consenso interno. I musulmani, quindi, continueranno a costituire la carne da macello richiesta dagli squali della “sicurezza nazionale”.

L’elite della politica estera mantiene il controllo della questione palestinese

Sebbene io abbia più o meno anticipato questi sviluppi, mi era rimasta un po’ di speranza per la politica di Obama nei riguardi della Palestina. Pensavo: forse dimostrando “forza e risolutezza” in Afghanistan, sarebbe riuscito a farsi strada anche sulla Palestina? Una speranza già esile, che ora sembra definitivamente crollata.

Nonostante la nomina di George Mitchell, il gruppo di potere di politica estera che ha dominato l’atteggiamento americano sulla questione mediorientale per decenni rimane al suo posto. A parte alcune novità nella retorica, prontamente messe da parte o comunque inserite del contesto del “nostro continuativo impegno nei confronti del nostro alleato più importante: Israele”, non è cambiato nulla.

Gli insediamenti si espandono, nonostante la loro manifesta illegalità e la condanna ufficiale di tutti i paesi delle Nazioni Unite, Stati Uniti inclusi. Il Muro continua ad allungarsi, creando ancora più miseria per i palestinesi. Le incursioni militari continuano, utilizzando le scuse più banali, continuando ad uccidere e mutilare civili, donne e bambini.

Riconosco che Obama è molto più circospetto nei confronti della destra ultranazionalista di Israele rispetto ai suoi predecessori. Ma ciò non fa molta differenza, dal momento in cui l’unica possibile opposizione è anch’essa un partito di destra, la quale piattaforma politica nei confronti dei palestinesi è praticamente indistinguibile da quella dell’attuale governo estremista che ha incluso al suo interno dei razzisti anti-palestinesi come Avigdor Lieberman.

Lasciatemi spiegare perché sostengo che l’amministrazione Obama non è impegnata in un cambiamento sostanziale della politica statunitense nei confronti di Israele, la quale è al momento un sostanziale assorbimento della visione israeliana del conflitto e del Medio Oriente in generale. Dobbiamo di nuovo fare una precisazione, in quanto sarebbe inutile procedere seguendo il filo logico della retorica statunitense: per avere dei cambiamenti in senso positivo in Palestina e per far si che gli USA siano considerati l’ “onesto sensale” nella regione, credo sia imperativo che Obama inizi a discutere del pericolo delle armi nucleari di Israele.

La ragione principale del mio pessimismo è che ogni volta che Obama o Hillary Clinton si riferiscono all’inaccettabilità della presenza di armi nucleari in Medio Oriente, essi si riferiscono alle non-esistenti armi nucleari iraniane, ignorando a piè pari le centinaia di testate nucleari israeliane. Il leitmotiv americano, riconfermato dal binomio Obama-Clinton è “no alle armi nucleari in Medio Oriente”.

Chi può essere in disaccordo con questa affermazione? Chi vuole le armi nucleari in Medio Oriente, o in ogni altro luogo? Il problema con questo leitmotiv è tuttavia molto semplice: è falso nelle sue premesse e falso nei fatti. Gli Stati Uniti hanno di fatto già accettato l’esistenza di armi nucleari in Medio Oriente, fintanto che sono di Israele. E Israele possiede tali armi ormai da 30 anni, centinaia di testate e di missili capaci di raggiungere qualunque altra capitale nella regione.

Ogni volta che un esponente della politica estera americana intona il ritornello dell’inaccettabilità delle armi nucleari nella regione mediorientale, la campanella dell’ipocrisia risuona. Perciò, il mio indicatore critico del cambio della politica estera americana è questo: Obama sarebbe disposto a dire con forza che tutte le armi nucleari in Medio Oriente sono inaccettabili, incluse quelle di Israele? Fino ad ora c’è stato nient’altro che un assordante silenzio, eccetto che per il suono della campanella dell’ipocrisia.

Oltre alla coerenza politica e la relativa credibilità, c’è molto altro in gioco. Il problema è molto più grande che non il semplice “due pesi, due misure”. La stabilità della regione, uno dei principali obiettivi della politica estera statunitense, è tenuta ostaggio dal citato assurdo leitmotiv. Finché l’arsenale atomico israeliano sarà ignorato, non ci potrà essere alcuna stabilità nella regione.

Come qualunque strategista nucleare sa, un sistema dove un solo attore possiede armi nucleari è fisiologicamente instabile. La deterrenza nucleare, ossia la stabilità nucleare, ha come requisito la possibilità della “reciproca distruzione” (Mutual Assured Destruction: MAD. ndt). Questa teoria prevede che ogni potenza nucleare abbia la capacità di rispondere con efficacia anche dopo il più devastante attacco. Ciò viene definita la “capacità di secondo colpo”.

Per essere efficace, deve poter infliggere un danno inaccettabile alla potenza che ha colpito per prima. Questa è stata la logica della stabilità nucleare fin da quando l’Unione Sovietica sviluppò la capacità di colpire il territorio degli Stati Uniti. Il suo unico assunto logico è la fede nel buonsenso di coloro i quali hanno in mano il telecomando che può innescare il lancio di armi nucleari. Che piaccia o no, che sia un equilibrio precario o no, si deve costatare che il MAD ha funzionato. Non c’è motivo di dubitare che la logica che sta alla sua base non sia più applicabile. Oltre che a livello globale, tale teoria si è dimostrata valida anche a livello regionale, come dimostra il caso di India-Pakistan.

Ovviamente, l’assunto del buonsenso è giustamente messo in discussione quando abbiamo a che fare con fanatici religiosi o di altro genere. Nessuno si sentirebbe a suo agio sapendo che tali individui hanno il controllo su delle testate nucleari. “Aha! Quindi dobbiamo fermare gli iraniani!” - Il problema di questo corollario al ritornello statunitense è che ignora i fanatici israeliani, i quali hanno maggiore controllo di Israele e delle sue testate atomiche di non quanto ne abbiano i fondamentalisti islamici sull’Iran e le sue inesistenti armi nucleari.

Nessuno nutre alcun dubbio sul fatto che Israele non avrebbe scrupoli ad usare le armi nucleari sugli arabi, piuttosto che essere sconfitta, e ciò a prescindere dal fatto che venga attaccata con armi nucleari o con armi convenzionali. Tutti temono che Israele, piuttosto di lasciarsi sconfiggere, scateni una catastrofe nucleare. Infatti, questa è una delle principali ragioni per cui gli Stati Uniti fanno tutto ciò che possono per evitare tale sconfitta. Ciò è vero fino al punto che la politica estera degli Stati Uniti è tenuta ostaggio dall’esistenza del monopolio nucleare di Israele e, ancora di più, quando Israele è governata da fanatici di destra, come nel momento attuale.

Ci sono delle alternative al semplice arrendersi davanti alla minaccia di una nuova Masada (il riferimento è alla fortezza elevate di Masada, dove il mito vuole che gli ebrei, assediati dai romani, preferirono suicidarsi in massa piuttosto che arrendersi, ndt). Una, ad esempio, è il rifiuto del leitmotiv ipocrita del “nessuna arma nucleare in Medio Oriente”. Ciò riconoscerebbe la logica della deterrenza, dando la possibilità all’Iran di sviluppare una capacità di “secondo colpo” nei confronti di Israele.

Oppure gli stati Uniti potrebbero dare la forza del secondo colpo garantendo la sicurezza nucleare a tutti i paesi della regione. Gli Stati Uniti, dopotutto, hanno garantito la deterrenza nucleare al Giappone per 60 anni; hanno chiarito in modo inequivocabile che un attacco sovietico all’Europa sarebbe stato considerato come un attacco agli Stati Uniti. Ci si chiede tuttavia se questa protezione si applica alla Turchia, musulmana. Se lo è, c’è da dire che è sempre stata tenuta in sordina. Una terza opzione sarebbe quella di disarmare Israele.

Ognuna di queste opzioni parte dal riconoscimento dell’esistenza delle armi nucleari israeliane e del pericolo da loro rappresentato.

Instabilità nucleare a rischio

La mancanza di tale riconoscimento condanna la regione all’instabilità nucleare, in quanto dà mano libera ad Israele e dà alle altre potenze regionali un fortissimo incentivo a sviluppare il proprio arsenale nucleare in funzione di deterrenza. Il ritornello americano che “le armi nucleari sono inaccettabili in Medio Oriente” è per questo ancora più ipocrita. Esso mina alle basi gli interessi americani nella regione, soprattutto riguardanti il petrolio. E mette in pericolo la vita e la proprietà di centinaia di migliaia di persone. Come realista politico, nessuno di questi fattori potrebbe, da solo o in combinazione, condannare la politica estera americana, se ci fosse una valida ragione per prendersi tali rischi. Ma qual è la ragione? La sopravvivenza di Israele?

Ci sono due grossi errori nel rendere la sopravvivenza di Israele l’obbiettivo principale della politica estera mediorientale degli Stati Uniti. Essa dà per scontato che la vita di 5 milioni di ebrei israeliani sia molto più importante di quella di 200 milioni di arabi, per non includere i turchi e gli iraniani. Ciò non viene nemmeno detto pubblicamente, eccetto che per i fanatici del Popolo Eletto.

Inoltre, mettendo da parte le vite umane, essa dà per scontato che Israele, che è senza risorse, sia più importante dei paesi arabi, ricchi di risorse petrolifere. Vi immaginereste un capitalista americano che cerca di dimostrare una tale ipotesi? O un costruttore di automobili? Da una prospettiva puramente realista, a meno che non si riesca a dimostrare razionalmente che Israele aiuta gli Stati Uniti a raggiungere i suoi obiettivi strategici in Medio Oriente, il supporto incondizionato nei confronti di Israele è assurdo.

Non si deve nemmeno entrare nel campo della moralità, il massacro e l’oppressione di milioni di palestinesi, per concludere che l’alleanza degli Stati Uniti con Israele ha un costo troppo alto.

E’ importante notare che questa conclusione non ha nemmeno sfiorato i difficili argomenti sulla creazione di uno stato palestinese autosufficiente. Ciò che intendo dire è che, finchè non viene riconosciuta l’esistenza del monopolio nucleare israeliano, nessuno di questi argomenti potrà essere trattato seriamente. Ciò perché le armi nucleari israeliane danno la forza a questo governo di destra nell’approfondire e rafforzare l’oppressione nei confronti dei palestinesi. E le stesse armi intimidiscono i responsabili della politica estera statunitense che credono che uno stato palestinese sia non solo giusto ma anche necessario per la creazione di buone relazioni con il mondo arabo.

Sono costretto ad avvertire che la prossima volta che sentiremo Obama intonare il ritornello del “le armi nucleari in Medio Oriente sono inaccettabili”, sentiremo ancora di più il suono della campanella dell’ipocrisia. Vorremmo sentire il suono della campana della razionalità. E cosa prenderà il suo posto, se non le forze irrazionali dell’ odio, del fanatismo e del razzismo?

* Christopher Vasillopulos (Professore di Relazioni Internazionali alla Eastern Connecticut State University)


Obama e l'influenza A: prove di legge marziale?
di Kurt Nimmo - prisonplanet.com - 24 Ottobre 2009
Traduzione
per Megachip a cura di Pino Cabras

Che tipo di "emergenza nazionale" è quella dichiarata da Obama sull'influenza suina? I decreti lasciatigli in eredita dalle precedenti amministrazioni offrono al presidente i mezzi giuridici per una vera e propria legge marziale. L'inquietante analisi di Prison Planet.

Obama ha dichiarato l'influenza suina H1N1 del 2009 un'emergenza nazionale. Non è chiaro se questa dichiarazione rientri tra le fattispecie del National Emergencies Act (50 USC 1601-1651). L'atto non è menzionato fra quanto riportato dai media.

Il National Emergencies Act fu approvato nel 1976. È stato prorogato per sei volte. Nel 2007, la dichiarazione è stata rafforzata con la promulgazione della National Security Presidential Directive 51 (NSPD-51) che ha dato al presidente il potere di fare ciò che ritiene necessario in occasione di una vagamente definita "emergenza catastrofica" che include di tutto, dall'annullamento delle elezioni alla sospensione della Costituzione .

La direttiva presidenziale NSPD-51 (National Security and Homeland Security Presidential Directive) è incostituzionale. È stata emanata il 4 maggio 2007, come una direttiva "presidenziale" (aggirando il Congresso) e firmata da George W. Bush. Essa rivendica il potere di eseguire le procedure per la continuità del governo federale nel caso di una "emergenza catastrofica".

Tale emergenza è interpretata come «un qualsiasi incidente, a prescindere dal luogo, che si traduca in livelli straordinari di vittime di massa, danni, o sconvolgimento che incidano pesantemente sulla popolazione degli Stati Uniti, le infrastrutture, l'ambiente, l'economia, o le funzioni di governo.»

In altre parole, si tratta di una direttiva di legge marziale. Il 10 maggio 2007, « The Washington Post» ha definito la NSPD-51 come la direttiva per un "governo ombra".

Il National Defense Authorization Act (NDAA) di John Warner per l'anno fiscale 2007 stabilisce che i militari possano essere utilizzati nel corso di una "emergenza nazionale". Sec 1076 è molto esplicito, osserva Michel Chossudovsky, e «crea praticamente un ambiente in stile Pinochet per l'arresto di massa di dissidenti politici senza processo, l'assalto alle manifestazioni pubbliche, ecc.»

Questa legge menziona specificamente una "epidemia" come un pretesto per dichiarare la legge marziale.

Prima di Warner e della NSPD-51, la legislazione approvata dall'amministrazione Clinton ha permesso ai militari di intervenire nelle attività di controllo giudiziario e del diritto civile. Nel 1996, è stata approvata una normativa che ha permesso ai militari di intervenire nel caso di un'emergenza nazionale. Nel 1999, il Defense Authorization Act (DAA) di Clinton ha esteso i poteri (a norma della legislazione 1996) creando una «eccezione» al Posse Comitatus Act, che consente ai militari di essere coinvolti negli affari civili «indipendentemente dal fatto che ci sia una situazione di emergenza», secondo Chossudovsky.

Nel 2005, un mese dopo l'uragano Rita, una cosiddetta "crisi" dell'influenza aviaria è stata strombazzata da parte del governo e dei grandi media. «Sono preoccupato per l'influenza aviaria. Sono preoccupato per quel che lo scoppio di un'epidemia di influenza aviaria potrebbe significare per gli Stati Uniti e il mondo ... ho riflettuto in merito agli scenari implicati dallo scoppiare di un'epidemia di influenza aviaria» Bush dichiarò al tempo. «Una possibilità è l'uso di un'entità militare che sia in grado di pianificare e di muoversi. Per questa ragione ho messo l'opzione sul tavolo. Penso che sia un dibattito importante che il Congresso debba avere» (il grassetto è mio).

La direttiva di Bush, firmata due anni dopo, non si preoccupò di coinvolgere il Congresso nel “dibattito”.

La dichiarazione di Obama di una emergenza nazionale pone le basi per la vaccinazione forzata e l'internamento di persone che si rifiutino di essere vaccinate.

A gennaio è iniziato al Congresso l'iter della legge che ha istituito i Centri di Emergenza Nazionale (legge HR 645). Essa richiede l'istituzione di sei centri di emergenza nazionale presso le regioni più importanti negli Stati Uniti da localizzarsi presso installazioni militari esistenti da utilizzare per le persone in quarantena nel caso di una emergenza di salute pubblica o di un programma di vaccinazione forzata. La HR 645 rimane in sede di commissione parlamentare.

La "crisi" H1N1 è una crisi costruita ad arte. Come abbiamo già notato oggi, una servizio d'inchiesta della CBS rivela che i casi di influenza H1N1 non sono così diffusi, come ci viene detto da parte del governo, il CDC, la OMS, e i grandi media . La cosiddetta epidemia è falsa.

Milioni di persone si rifiutano di prendere il vaccino H1N1. Nelle prossime settimane - se la dichiarazione di emergenza obamiana rientra nell'ambito delle direttive di cui sopra - si può assistere a un passaggio verso la legge marziale, la vaccinazione forzata, e l'internamento di coloro che rifiutano.

Nella migliore delle ipotesi, la dichiarazione di Obama è una foglia di fico volta a paventare la gente affinché assuma la vaccinazione tossica a uccisione soft.

Speriamo che si tratti di questo.