mercoledì 14 ottobre 2009

Trattativa Stato-mafia: ma dov'è la novità?

Dopo la trasmissione Annozero, andata in onda la settimana scorsa, l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli e l'ex capo degli Affari penali di via Arenula Liliana Ferraro saranno interrogati dai magistrati della Procura di Caltanisetta che indagano sulla strage di via D'Amelio in cui morì il giudice Paolo Borsellino.

Martelli e Ferraro dovranno riferire su quanto emerso nel corso della trasmissione Annozero, visto che Martelli ha raccontato che Borsellino era a conoscenza della trattativa tra Stato e mafia e che ad informarlo era stata la Ferraro.

"Singolare" però che né l'ex ministro né la Ferraro siano andati in 17 anni dai magistrati che indagano sulle stragi a riferire della vicenda. Martelli e la Ferraro verranno sentiti inoltre anche dai pm della Dda di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-mafia che ebbe tra i protagonisti l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino.
In Procura sono stati sentiti naturalmente anche il giornalista di Annozero Sandro Ruotolo e l'inviato di Repubblica Franco Viviano.

Insomma dopo 17 anni qualcuno si è svegliato di colpo e comincia a ricordare quanto aveva dimenticato per tutto questo tempo.

Ma il punto è un altro. Nel 2009 chi si stupisce più di una trattativa tra Stato e mafia che, come minimo, è cominciata oltre 70 anni fa?


Borsellino: chi è Stato?
di Ilvio Pannullo - Altrenotizie - 13 Ottobre 2009

Nessuno pare prestare attenzione alle sensazionali nonché inedite rivelazioni riguardanti le stragi di mafia del 1992, emerse nell’ultima puntata di Annozero e rilanciate timidamente dalla sola carta stampata. Le dichiarazioni dall’allora ministro di Grazia e Giustizia Martelli, pare non colgano interesse nel paese dove le organizzazioni mafiose controllano intere regioni e fatturano centinaia di miliardi di euro ogni anno.

Accade così che passi quasi in secondo piano un avvenimento che potrebbe far luce su uno degli episodi più bui della Repubblica e che potrebbe, chiarendo le dinamiche di quei giorni, fare luce su quanto realmente avvenne e riscrivere la storia di questo paese.

Siamo in quel periodo, tra il 1992 e il 1993, in cui intere strade venivano fatte saltare in aria da centinaia di chili di tritolo, dove i magistrati venivano uccisi con le loro scorte perché non potessero più creare problemi, indagando sui rapporti tra la mafia siciliana e le istituzioni repubblicane.

L’Italia, a quell’epoca molto più simile alla Colombia che ad una democrazia europea, era in ginocchio. Il paese era stretto attorno a quelle figure, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, poi divenute simbolo della lotta senza confini all’illegalità. Tuttavia, se da una parte si moriva per difendere le istituzioni, c’era anche chi, all’interno delle istituzioni, trattava con la mafia per raggiungere una tregua.

Secondo la ricostruzione dell’allora ministro Martelli, nel giugno del 1992, dopo la strage di Capaci, il capitano dei carabinieri del ROS, Giuseppe De Donno, andò da Liliana Ferraro, collaboratrice di Giovanni Falcone che ne prese il posto alla direzione generale del ministero della Giustizia, per dirle che l' ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino “aveva una volontà di collaborazione, che si sarebbe però esplicata se avesse avuto delle garanzie politiche”.

La Ferraro gli consigliò di parlarne con Paolo Borsellino e poi - ha rivelato Martelli - lei stessa lo confidò al magistrato nel trigesimo della morte di Falcone, cioè il 23 giugno 1992. La notizia è di quelle importanti perché potrebbe rivelare il movente della morte del giudice Paolo Borsellino, fatto saltare in aria in quanto decisamente contrario a qualsiasi trattativa con Cosa Nostra.

Si apprese infatti a fatica che in quegli attimi dolorosissimi per la coscienza della nostra povera nazione, in cui si sarebbe dovuta attendere una reazione ferma e durissima da parte delle istituzioni, una parte della politica, dell’arma dei carabinieri e dei servizi segreti trattavano con il nemico per arrivare ad una tregua con la mafia.

Nella tristissima vicenda ci sono dentro anche i leader di oggi: il premier Silvio Berlusconi e il suo braccio destro Marcello Dell’Utri che, tra il ’93 e il ’94, proprio nei giorni in cui stava nascendo Forza Italia, furono informati, secondo il pentito Giovanni Brusca, di tutti i retroscena delle stragi. Quello stesso Dell’Utri che, secondo il figlio di don Vito Ciancimino, prese il posto del padre come controparte politica di Cosa Nostra, ponte di collegamento tra gli interessi mafiosi e gli interessi pubblici.

Ma se di questa ignobile trattativa intavolata si era già a conoscenza, stando a quanto si apprende dai verbali delle pubbliche udienze, ciò che di nuovo emerge oggi riguarda la tempistica di questa trattativa. Quello che si evince dalle parole di Martelli, è infatti la retrodatazione di questa trattativa tra Stato e Antistato.

Secondo l’allora colonnello Mori, oggi generale, la trattativa sarebbe iniziata i primi di agosto, quando Paolo Borsellino era stato già ucciso a Via D’Amelio; secondo l’allora Ministro di Giustizia invece la data sarebbe da collocarsi sicuramente prima della morte del magistrato, essendone stato informato già il 23 maggio. Questo nuovo scenario cambia ovviamente tutto, l’intera ricostruzione della strage. Qualcosa, infatti, pare muoversi nella procura di Palermo. Le rivelazioni di Martelli hanno già prodotto degli effetti, sebbene indirettamente.

Nell’indagine sulla trattativa tra mafia e Stato, infatti, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e il sostituto procuratore Nino De Matteo hanno iscritto i nomi dei primi indagati. Si tratterebbe di due mafiosi, la cui identità è ancora top secret e per loro s’ipotizza il reato di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato ex articolo 338 del codice penale. Se è vero, come è vero, che nell’Italia dei misteri Cosa Nostra dialoga con lo Stato dai tempi della strage di Portella della Ginestra, è anche vero che questa è la prima volta, nella storia della Repubblica, che i nomi dei protagonisti finiscono nel registro degli indagati.

Ovviamente, però, il cuore della vicenda sta nell’accertare le eventuali responsabilità dei protagonisti di quel dialogo sulla sponda istituzionale. Accertare quindi e comprendere chi erano gli interlocutori dei mafiosi. Ma non sarà un’impresa facile. Nicola Mancino, al tempo dei fatti Ministro degli Interni e oggi vice presidente del CSM, non ricorda di aver incontrato Paolo Borsellino, nonostante il magistrato avesse segnato il suo nome sulla sua agenda il 1 luglio 1992, accanto al nome di Parisi, allora capo della Polizia. “ Forse gli strinsi la mano fra le centinaia di persone che si congratulavano per la mia nomina a Ministro degli Interni, ma non gli parlai”.

Appare tuttavia molto strano che un personaggio a capo delle questure di tutta Italia, simbolo della difesa dell’ordine costituito, abbia problemi a ricordare di un incontro con quello che allora era l’immagine vivente della lotta alla mafia. Un viso che di certo non si poteva non conoscere.A questo si aggiunga che molti dei protagonisti di quei giorni fanno il suo nome come garante della sporca trattativa: il figlio di Don Vito Ciancimino, il pentito Brusca e persino Riina. Ma lui nega tutto ovviamente.

Intervistato da Marco Travaglio, per il Al Fatto Quotidiano, alla domanda su come giudicasse la trattativa, ormai assodata, tra Stato e mafia, Mancino risponde: “Mori ha ottenuto un ottimo risultato: la cattura di Riina, capo dell’ala stragista di Cosa Nostra, mentre Provenzano guidava i trattativisti. È certo, dalle carte processuali, che quell’arresto si deve ai colloqui con Ciancimino, che aiutò a individuare sulle mappe topografiche il famoso covo”.

Purtroppo non si fa parola della contropartita dello Stato. Forse la mancata protezione di Borsellino? (la circolare del ROS in cui Di Pietro e Borsellino venivano considerati come i prossimi bersagli dopo la morte di Falcone arrivò solo all’attuale leader dell’Idv, che ebbe modo di lasciare l’Italia sotto copertura). La mancata perquisizione del covo di Riina, il mancato arresto di Provenzano nel ’95, la mancata sorveglianza di don Vito Ciancimino a cui fu data la possibilità di incontrare il superlatitante Provenzano fino al 2002?

Insomma quello che chiunque definirebbe un compromesso onesto e pulito. Alla fine della storia, però, rimangono le morti di due magistrati colpevoli di aver svolto il loro lavoro, mentre personaggi come Nicola Mancino, il generale Mori, il capitano De Donno hanno fatto carriera.


Quel dialogo tra Cosa Nostra e lo Stato
da www.liberainformazione.org - 13 Ottobre 2009

Intervista a Maurizio Torrealta

Solo pochi giorni fa ai microfoni di «Annozero» Claudio Martelli, Ministro della Giustizia negli anni delle stragi, racconta: Borsellino sapeva della trattativa. Dice di essere stato illuminato dalle parole di Massimo Ciancimino sul dialogo fra mafia e Stato e di aver cosi ricordato che l'allora direttore degli affari penali del Ministero, Liliana Ferraro, in occasione del trigesimo della strage di Capaci avrebbe avvertito Borsellino del contenuto di una visita ricevuta dal capitano De Donno.

De Donno avrebbe riferito della disponibilità dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino ad aprire un canale di comunicazione con Cosa nostra se avesse ricevuto una copertura politica. Nel gennaio del 1993 Salvatore Riina viene arrestato e il giornalista Maurizio Torrealta di Rainews 24 descrive attraverso il racconto del capitano Ultimo l'arresto del latitante numero uno di Cosa nostra. In quelle pagine non c'è traccia di questa trattativa fra mafia e Stato che portò anche all'arresto del boss corleonese. Nel 2002 Torrealta pubblica in un altro libro intitolato "La Trattativa" il resto di quel racconto. Lo abbiamo sentito per parlare con lui di questa inchiesta e della riapertura delle indagini sulle stragi di Capaci e via d'Amelio.

Dopo aver scritto dell'arresto di Riina lei pubblica nel 2002 "La Trattativa". Da quale spunto investigativo riparte la sua analisi di quel tragico biennio di stragi?
Solo alcuni anni dopo l'intervista al capitano che arrestò Riina mi resi conto che le cose che mi aveva raccontato erano solo quelle che lui mi aveva voluto raccontare, quelle che aveva voluto vedere. E soprattutto mi resi conto di quello che mi aveva taciuto: la trattativa. Fu invece intorno alla seconda metà degli anni novanta che iniziai a leggere la sentenza del processo per la strage di via dei Georgofili, nella quale, senza alcuna ambiguità, si parlava di una trattativa portata avanti dal capitano De Donno e dal colonnello Mario Mori. I due violando i compiti cui erano preposti: quelli di contrastare Cosa nostra, in quegli anni, incontrarono Ciancimino e provarono a trattare con Provenzano, non si sa per conto di chi. La trattativa avrebbe avuto successo solo se fosse stata tenuta segreta all'opinione pubblica e agli altri organi investigativi. Intorno a questa trattativa di cui noi conosciamo soltanto alcune fasi ci sono anche una serie di episodi molto strani. Non ultimi, ma questa è solo una mia opinione, la morte di Gabriele Chelazzi, Pm che stava seguendo le indagini sulla trattativa e l'apparente suicidio della direttrice del carcere di Sulmona, Armida Miserere. Il mio lavoro d'inchiesta cominciò quindi dalla lettura degli atti di Firenze ma anche dalla richiesta di archiviazione del magistrato Antonio Ingroia "Sistemi Criminali". L'inchiesta, nonostante fosse riportata in una richiesta di archiviazione, conteneva al suo interno elementi oggettivi di estremo interesse di cui non potevamo essere a conoscenza mentre accadevano.

Quali elementi?
Primo. Le stragi erano state annunciate, almeno un paio di volte. La prima volta da Elio Ciolini, un neofascista, già condannato per diffamazione che aveva inviato una lettera al giudice Leonardo Grassi, annunciando l'inizio di una stagione di stragi in Italia. Ciolini in questa e in una seconda arrivata dopo l'omicidio di Salvo Lima, precisa che queste decisioni erano state prese in alcune riunione tenutesi in Croazia. La strage di Capaci inoltre venne annunciata 48 ore prima da una piccola agenzia di stampa, Repubblica, vicina ai Servizi segreti. A scriverlo con ogni probabilità fu in un articolo Vittorio Sbardella, secondo uomo di fiducia di Andreotti, per annunciare che ci sarebbe stato un "botto" che avrebbe modificato l'andamento delle elezioni. Sbardella è interessante anche per le cose che scrisse dopo l'omicidio Lima intorno al cosiddetto "pericolo Golpe". Dopo l' arresto di Rina all'inizio del 93 seguirono una serie mai vista prima di episodi strani: attentati contro chiese e palazzi fiorentini e romani, fatti in luoghi di potere molto specifici, non quelle dei partiti ma luoghi simbolo del potere, delle istituzioni e della massoneria.

Massoneria, poteri forti e equilibri politici internazionali fanno da sfondo al biennio stragista. Ma non solo. Nella sua inchiesta lei si occupa anche della nascita e del ruolo dei movimenti secessionisti nel Paese. Perché?
Grazie ad un lavoro straordinario della Digos nel nostro Paese sono stati ricostruiti alcuni scenari all'epoca sconosciuti. All'inizio degli anni '90 nacquero diverse organizzazioni, una sorta di Leghe del sud. In una di queste comparivano persino Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie, neofascista pluriindagato. Viene da pensare che ci fossero nuovi equilibri politici in bilico e ci fosse l'interesse di qualcuno oltre atlantico a creare più un'Europa delle regioni che delle nazioni. Questo progetto non si è poi sviluppato ma questa ricerca di nuovi equilibri è rimasta e la trattativa è poi avvenuta su un altro versante: quello della ricerca di una situazione politica che garantisse Cosa nostra, messa in difficoltà dal maxi processo. Siamo negli anni novanta infatti, le condizioni internazionali cambiano, è crollata l'Urss e il nemico comunista è stato sconfitto. In quel periodo Cosa nostra percepisce che le forze che avevano utilizzato gli enormi capitali di cui disponeva, per fini politici contro il comunismo, stavano per essere cancellate dal panorama politico, come dire: il loro ruolo terminava li. Così diventò importante attirare l'attenzione con azioni capaci di arrivare anche al di là dell'Atlantico per garantire la sopravvivenza di Cosa nostra.

Quali gli elementi nuovi emersi dopo il 2002 data della pubblicazione de "La Trattativa", ad oggi?
La strage di via d'Amelio è stata completamente riletta. Si è scoperto che le confessioni di un pentito sono state inquinate, fatte ad arte per sviare tutte le indagini mentre adesso ci sono nuovi collaboratori di giustizia cheraccontano come si è sviluppata questa strage, il coinvolgimento dei servizi segreti. Ma anche la trattativa. Per anni si era concentrata l'attenzione sull'uomo di fiducia di Riina, il medico Antonino Cinà. Sembra che abbiano avuto un ruolo altri uomini politici già condannati per associazione mafiosa e senatori della Repubblica. Ci sono nuove indagini anche se devono emergere ancora elementi chiari e precisi tali da poter dire con certezza...

Beh, un nome circola da mesi, da dichiarazioni di pentiti e in ultimo anche dalla voce di Massimo Ciancimino nell'ultima puntata di «Annozero». Si tratterebbe di Marcello dell'Utri...
Ciancimino può fare questo nome, noi dobbiamo attendere riscontri precisi.

Prima ricordava della rilettura di Via d'Amelio... qual è stato il ruolo, se c'è stato, dei servizi segreti nelle stragi?
Ci sono prove della loro presenza nella strage di Capaci ma soprattutto in quella di via d'Amelio, ovvero quella che sembra davvero inverosimile possa essere stata organizzata da Cosa nostra. Per varie ragioni ma soprattutto perché avviene in un momento in cui sono in via d'approvazione pesanti leggi antimafia e non poteva esservi mossa più dannosa per Cosa nostra che alzare il tiro contro lo Stato. Su via d'Amelio ricordo personalmente le parole del pentito Salvatore Cancemi, quando gli chiesi di questa strage mi disse: "non parlo" e disse delle altre mezze frasi che lasciavano intendere era opera di "menti raffinatissime".

I pentiti, siciliani, calabresi, pugliesi, parlano di quegli anni anche quando decidono di non spingersi oltre alcuni episodi. Quella che sembra rimanere in silenzio è la politica. Perché?
A questo proposito cito un episodio significativo che riguardava l'allora Ministro Scotti, accaduto durante il processo per la strage di via dei Georgofili. Gli inquirenti chiesero al Ministro come mai "si fosse addormentato da Ministro degli interni e risvegliato Ministro degli esteri " senza episodi specifici che giustificassero questo cambiamento di ruolo. Lui sorrise ma non rispose, tant'è che alla fine gli avvocati chiesero che fosse messo agli atti il sorriso di Scotti, perché quel sorriso significava "non posso parlare". Quello che sappiamo ad oggi è che al suo posto andò Nicola Mancino e viene da pensare che questo cambiamento avesse a che fare con la trattativa. Mancino ha sempre smentito e non esistono al momento prove che possano dimostrare il contrario. Quello che sembra evidente è che la trattativa trovò un consenso trasversale nella politica.

In questi ultimi anni l'attenzione verso il reperimento di prove che dimostrerebbero la trattativa Mafia - Stato è stata diretta verso il famoso "papello", elenco scritto di contro richieste della mafia allo Stato. Ma è plausibile che funzionari dello Stato si fossero recati a parlare con un personaggio come Vito Ciancimino più volte, senza alcuna tutela? Penso all'uso di registratori... ad esempio. Potrebbero esserci altre prove di questa trattativa oltre al "papello"?
Se fossi in chi conduce le indagini e fossi venuto a conoscenza di queste prove sarebbe di certo l'ultima cosa di cui parlerei sino a quando non fossero giunte in un' aula di tribunale. Credo comunque che il filone del "papello" avrà degli sviluppi importanti e non potrà essere licenziato rapidamente...

Dopo 17 anni Sandro Ruotolo prepara una puntata per «Annozero» e riceve delle minacce. Salvatore Borsellino, fratello del magistrato, partecipa ad una trasmissione di Rainews24 sulle stragi e subisce il furto della sua auto. A chi fa ancora paura questa verità?

Stiamo parlando di forze trasversali ai partiti che hanno governato il Paese prima e continuano ad influenzarne l'andamento anche adesso. Negli anni le condizioni sono cambiate molto, potranno esserci degli sviluppi importanti ma i tempi della giustizia sono lunghi e complessi. Sarà difficile portare avanti questi processi ma oggi sembrano esserci le condizioni e se si riuscirà ad arrivare alla verità sarà il primo caso in Italia in cui saranno identificati i mandanti esterni di una strage.


Intervista a Massimo Ciancimino."Nel papello le controrichieste della mafia"
di Pino Maniaci e Pietro Orsatti - www.antimafiaduemila.com - 9 Ottobre 2009

Stagioni delle stragi e trattativa tra lo Stato e i boss. Il figlio dell’ex sindaco di Palermo: «Parlo con Ruotolo e dopo pochi giorni gli arrivano le minacce».

Una delle figure centrali della riapertura dei processi a Caltanissetta e Palermo sulle stragi e sulla trattativa fra Stato e Cosa nostra nei primi anni 90 è sicuramente Massimo Ciancimino, figlio di Vito, il sindaco del “sacco di Palermo”.

Dopo aver deposto presso le procure di mezza Italia e dopo essere stato ritenuto credibile, almeno in parte, da molti pm, che sulle sue dichiarazioni hanno aperto nuovi fascicoli, oggi è uno dei personaggi meno facilmente interpretabili di questo rinnovato interesse per il biennio 1992-93 e la stagione delle stragi.

Lo raggiungiamo telefonicamente mentre è in auto per partecipare alla puntata di “Annozero”, una partecipazione, la sua, non prevista fino all’ultimo minuto. Infatti era già stato raggiunto da Sandro Ruotolo, che aveva registrato una lunga intervista. Poi negli ultimi giorni le intimidazioni verso il giornalista.

Ciancimino, lei rilascia un’intervista a Ruotolo e pochi giorni dopo il giornalista riceve minacce di morte. Solo una coincidenza?
Non sono al corrente dei dettagli della questione, ma so che la Digos sta indagando a fondo sulla vicenda. Certo è che la coincidenza c’è e fa pensare. Ma non ho dettagli e alcuna certezza. Non mi fa star sereno, però.

Dell’Utri prese il posto di suo padre come mediatore nella trattativa?
Ovviamente non posso entrare nel merito di questo perché l’argomento è al vaglio dell’autorità giudiziaria. Questa dichiarazione che lei mi sta riportando, però, è stata frutto di un’estrapolazione di qualche vostro collega. Comunque, io sto rispondendo ai magistrati anche su Marcello Dell’Utri.

Il famoso “papello”. Lo ha ancora lei? Lo ha consegnato ai magistrati?
Anche su questo argomento non posso rispondere perché si tratta di uno degli argomenti segretati. Quello che posso dire è che il papello -come a voi giornalisti piace tanto chiamare questo foglio di carta – riguardava delle contro richieste di Cosa nostra, ed era… sta nelle mie disponibilità.

Ma le trattative erano due? Una con l’area stragista, l’altra con Provenzano e la fazione della “sommersione”?
Questa è una delle più accreditate ricostruzioni giornalistiche. Io sono convinto che la trattativa fosse solo una con vari personaggi che si alternano nelle varie fasi. Si trattava di una questione di “equilibrio”.

Un giudizio su quella che fu la strategia portata avanti da Totò Riina?
Quello che penso di Totò Riina è stato anche manifestato nella mia piena disponibilità e volontà di contribuire al suo arresto. La valutazione si può sintetizzare in questo tipo di comportamento.

Riina che oggi, dopo anni, ha ripreso a parlare.
L’ultimo messaggio di Riina sicuramente è qualcosa di strano, quello che mi fa pensare è che quando parla lo fa sempre su di me. Sicuramente non è indifferente il fatto che lui riconosca pienamente il suo ruolo. “Non siamo stati noi”. Parla da capo dei capi. Riina parla poco e quando sa che deve parlare. Si esclude dall’eccidio di via D’Amelio ma non da altri fatti. Facendo quella dichiarazione riconosce un suo ruolo preciso fino a quel momento, e poi, non so se per strategia, un disconoscimento di quell’ultima fase.

La rassicura sapere che ora anche suo fratello sta parlando in sede di magistratura confermando le dichiarazioni che lei ha fatto finora?
Mi conforta che mio fratello abbia fatto questa scelta, iniziando a collaborare e dichiarando in relazione ad aspetti di questa vicenda. Anche perché, al contrario di me, lui non ha in sospeso alcun carico con la giustizia. Mio fratello, come la mia famiglia, è intervenuto con grande difficoltà e solo dopo che lo Stato si è preso carico della mia situazione. Sì, questo suo intervento mi conforta molto.

Sta dicendo che dopo mesi lei, quindi, ha una scorta? È sotto tutela?
Sì, oggi sono con una scorta. Per quello che possono fare secondo lo schema e gli ordini del ministero e degli organi di tutela.

L’ha sorpresa l’esclusione della sua deposizione al processo Dell’Utri?

Ormai non mi stupisco più di nulla.