venerdì 23 ottobre 2009

Crisi economica: in mezzo al guado

Qualche giorno fa avevamo ricordato i dati pubblicati dall'Istat, secondo cui gli ordinativi dell'industria italiana ad agosto erano calati dell'8,6% rispetto a luglio e del 27,5% rispetto allo stesso mese del 2008. Il più ampio calo su base mensile dal gennaio 2000.

Inoltre, sempre ad agosto, il fatturato dell'industria italiana era calato dell'1,4% rispetto al mese precedente e del 21,2% su base annua.

Ma le "ottimistiche" notizie sul fronte economico non sono finite. Entriamo nello specifico dei diversi settori economici ed ecco i dati della Starnet - la Rete degli uffici studi e statistica delle Camere di commercio -, che ha raffrontato la produzione tendenziale del secondo trimestre 2009 rispetto al secondo trimestre 2008:
  • Industria: - 16%
  • Artigianato: -19.4%
  • Trasporti e servizi: -11.8 %
  • Alberghi e ristoranti: -11.8 %
Quindi altro che uscita dalla crisi e inizio della ripresa come continuano a ricordarci, mentendo sapendo di mentire, i media mainstream.
Siamo invece nel bel mezzo della crisi, e non è ancora finita. Anzi, è appena iniziata.


Attenzione, nel 2010 ci sarà più crisi di adesso
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 23 Ottobre 2009

Le accuse che mi vengono mosse più di frequente sono quelle di essere pessimista e cinico. In tempi come questo, le accetto di buon grado entrambe. Per questo, dopo aver messo in guardia ieri dal fatto che l’Abi - con la sua scelta di moratoria per un anno sui mutui casa per i soggetti più bisognosi - non sta facendo un atto per cui meritare un inchino ma soltanto il suo dovere, oggi vi metto una pulce nell’orecchio in più.

I mutui che potranno beneficiare della sospensione sono infatti circa 110mila per un controvalore totale di circa otto miliardi di euro: guarda caso la stessa cifra messa a disposizione delle banche dalla Cassa Depositi e Prestiti per riattivare il credito alle imprese. Solo una coincidenza numerica e temporale, ne siamo certi. Ma siamo altrettanto certi che se tra qualche settimana faremo un sondaggio tra le Pmi italiane la situazione riguardante il “credit crunch” non sarà cambiata. Anzi.

D’altronde, di «grave erosione del credito» parlava anche il “beige book” presentato mercoledì sera negli Stati Uniti, paese che vede le banche sempre più in crisi e i dati macro sempre meno sintonizzati sulla vulgata della ripresa ormai in atto. Ultimo al riguardo quello dell’aumento settimanale più consistente del previsto per le nuove richieste di sussidi di disoccupazione negli Usa, a riflesso di una perdurante situazione difficile per il mercato del lavoro.

Secondo i dati del dipartimento del Lavoro, nella passata settimana le nuove richieste sono cresciute di 11mila unità, a 531mila totali, laddove in media gli analisti si attendevano un incremento contenuto a 4mila unità. Migliora solo lievemente invece la media delle nuove richieste di sussidi per la media delle quattro settimane precedenti, a quota 532.250 contro 533mila della settimana precedente, si tratta del valor più contenuto da metà gennaio.

E a conferma di un trend negativo che l’amministrazione Obama non sembra in grado di gestire c’è anche l’annuncio sempre di ieri fatto da Moody’s, secondo cui o gli Usa si impegneranno seriamente a tagliare il deficit o entro tre anni rischieranno di perdere il rating AAA: d’altronde le cifre parlano chiaro, 1417 miliardi di dollari sono un buco di quelli difficili da riempire usando soltanto la vanga della politica economica ordinaria. Mentre quella emergenziale del creare moneta dal nulla non fa che espanderlo a dismisura.

Inoltre Lincoln Ellis, managing director del Linn Group, ieri ha gelato gli entusiasmi degli investitori dicendo a chiare lettere che il crollo del VIX, il segnalatore della volatilità dei mercati, verso quota 20 «è un pessimo segnale per i mercati, un segnale di compiacenza verso un tipo di rally che è completamente disallineato non solo con i fondamentali, ma anche con le reali condizioni in cui si opera».

Ma a spaventare maggiormente è giunta la lucida disamina di Nicu Harajchi, amministratore delegato di N1 Management, secondo cui «la recessione si trasformerà in breve tempo in una profondissima depressione». Questo perché «Wall Street sta facendo soldi, ma Main Street no e anzi fatica ogni giorno di più per tirare avanti. I trilioni di dollari stanziati dal G20 non sono praticamente arrivati all’economia reale, al sostegno dei consumi, all’aiuto alle famiglie e alle imprese che non siano banche o giganti dell’auto.

I consumatori stanno perdendo il lavoro, non riescono a pagare il mutuo, vanno in default sulla carta di credito e questa situazione sta perdurando e non sembra destinata a migliorare. I soldi stanziati dal G20 si sono trasformati unicamente in espansione monetaria ma prima o poi - e parliamo del 2010-2011 - quei soldi verranno richiesti indietro dalle banche centrali e allora ci troveremo di fronte a una contrazione monetaria: l’anno prossimo, paradossalmente, sarà quindi molto peggiore di quello in corso e il dato allarmante che ce lo fa capire è il continuo aumento della disoccupazione». Insomma, finché si guarderà con fiducia ai mercati e non si guarderanno gli indicatori reali si starà solo creando la condizione per una crisi peggiore e più profonda.

Ma gli Usa non sono gli unici. Ieri, infatti, si è registrato un andamento debole e deludente dei consumi anche in Gran Bretagna per quanto riguarda lo scorso settembre. Per il secondo mese consecutivo, infatti, le vendite del commercio al dettaglio non hanno mostrato variazioni rispetto ai trenta giorni precedenti, secondo i dati diffusi dall'ufficio di statistica Gb mentre su base annua le vendite risultano migliorate del 2,4%.

«Nonostante le rate dei mutui in calo, bollette meno care e un generale attenuarsi dell'inflazione che rafforzano il potere di acquisto di molte famiglie, i consumatori continuano a fronteggiare ostacoli che limitano le loro spese», osservava preoccupato Howard Archer, capo economista per Global Insight. E la debolezza dei consumi rischia a sua volta di indebolire la generale crescita economica britannica, già zavorrata ormai da mesi.

È questa la grande sfida che abbiamo davanti: trasportare le attenzioni fino a ora prestate ai mercati e al sistema bancario all’economia reale, tamponare l’emorragia di posti di lavoro, costringere le banche a riaprire realmente i cordoni del credito anche ponendo condizioni punitive in caso contrario, studiare una exit strategy dal quantitative easing che sta intossicando come una droga il sistema e, se proprio il populismo deve trionfare, mettere mano alla vera speculazione, quella già denunciata ieri: fare hedging, ovvero porsi in posizione difensiva sulle correzioni cicliche, comprando futures sul petrolio è follia allo stato puro.

Blocchiamo i paradisi over-the-counter prima che sia troppo tardi, visto che ieri dopo il picco notturno in Asia sopra gli ottanta dollari al barile, il prezzo del greggio è tornato a scendere in virtù delle prese di beneficio. Il petrolio serve alla produzione, non alla speculazione: trattare commodities strategiche come se fossero scommesse su un cross monetario nel forex non è accettabile in questo momento.

Al di là dell’etica, pensiamo al portafogli: grazie alla speculazione pure in una settimana il pieno in Italia costa 3 euro di più. E 3 euro, in questo periodo, non sono soldi facile ma monete con cui fare di conto. Ancora una volta giova ricordare che la realtà di Wall Street non è la realtà dell’uomo della strada o dell’impresa che gli permette di lavorare.


Da petrolio e oro le nuove minacce di crisi

di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 22 Ottobre 2009

Un vecchio adagio giornalistico dice che non esiste nulla di più inedito dell’edito. Parafrasandolo, verrebbe da dire che non esiste nulla di più segreto e sconosciuto di ciò che è pubblico. Quindi, conviene ripeterlo.

Nel giorno in cui l’Abi, l’Associazione bancaria italiana, annuncia la moratoria di un anno dal pagamento dei mutui per i disoccupati e chi versa in difficoltà, giova ricordare che le stesse banche che ora vorrebbero da noi un inchino di fronte alla loro magnanimità godono - oltre a tutti gli aiuti ottenuti finora - da poco anche di otto miliardi di euro messi a disposizione della Cassa Depositi e Prestiti, soldi stanziati con l’unico scopo di dare ossigeno alle imprese.

Sentendo i rappresentanti di categoria, dalla Cgia di Mestre in poi, non ci pare che questo impegno per ora sia stato mantenuto: e in un paese che basa la sua spina dorsale sulle Pmi questo appare suicida oltre che deontologicamente inaccettabile. Vediamo se con il passare dei giorni, dopo i proclami, si passerà ai fatti.

Ma non solo in Italia, come ben sapete, le banche sono tutt’altro che in buona forma. In America, ad esempio, Wells Fargo ha annunciato profitti per i propri azionisti, 56 centesimi per azione, ma in coda ai comunicati ha dovuto ammettere che le perdite legate a “bad loans” hanno toccato 5,1 miliardi di dollari. Evviva. Ma non è tutto.

Bank of America, JP Morgan Chase e Citigroup hanno riportato pesanti perdite sul credito diretto a causa del fatto che moltissimi loro clienti stanno lottando con le unghie e con i denti per riuscire a pagare le bollette. Insolvenze a catena, sta per partire il grande domino della depressione. Il dato sulla richiesta di mutui in Usa, infatti, è crollato per la seconda settimana di fila mettendo in evidenza una difficoltà estrema delle famiglie per rifinanziare visto l’aumento dei tassi. C’è poco da stare allegri. Tanto più che la stessa Wells Fargo, sempre ieri, ha dichiarato candidamente che attende il picco massimo delle perdite per l’anno prossimo, senza però specificare in quale trimestre.

E mentre in Gran Bretagna il governatore della Bank of England, Mervyn King, fa capire chiaramente che un’altra crisi potrebbe essere alle porte proponendo con urgenza a Gordon Brown la divisione dei rami retail e investment delle banche - come dire, tuteliamo almeno i risparmi visto che l’ingegneria finanziaria è tutt’altro che finita e le bolle crescono come funghi -, assistiamo impotenti a un’altra impennata immotivata del prezzo del petrolio e, di conseguenza, l’aumento in un mese di 3 euro di un pieno di benzina.

Il calo di ieri sotto gli ottanta dollari al barile dopo il balzo di martedì è sintomatico di un movimento speculativo, all’Ice di Londra e nei circuiti over-the-counter si sta allegramente giocando con squeeze e corner per fare un po’ di soldi alla faccia di una ripresa che non c’è e di un dato sulla produttività da mani nei capelli: il petrolio, semplicemente, non può salire di prezzo, è un qualcosa che va contro tutti i fondamentali.

Ma mettetevi l’anima in pace, salirà ancora anche perché Goldman Sachs ci crede e ha inserito, volendo restare nei confini italiani, Tenaris nel suo paniere di titoli da comprare con convinzione: certo non si arriverà al delirio del luglio di due anni fa ma prepariamoci, nel medio termine, a un avvicinamento a quota 100 dollari.

La trappola inflattiva, quindi, è alle porte: con l’aggravante di un’iperinflazione già in fieri negli Stati Uniti a causa delle politiche della Fed e al debito ormai fuori controllo. Ma, badate, a dover farci pensare non è solo l’avidità di chi si lancia nella speculazione, ma ciò che George Soros, uno che se ne intende, ha prefigurato recentemente come «una fuga generale dalle monete»: quando gli investitori perdono fiducia - e come dar loro torto - nel denaro creato dal nulla, si lanciano altrove. Sia esso immobiliare, commodities, oro. Non a caso, il petrolio sale e l’oro punta a nuovi record.

Ma se il lingotto è da sempre il bene rifugio, diversificare le follie cicliche lanciandosi in hedging sul greggio appare una follia autodistruttiva: qualcuno fermi la danza macabra delle “dark pools” prima che sia troppo tardi, visto che il petrolio alle stelle in queste condizioni macro generali sarebbe sciagura pari almeno alla crisi bancaria. La Borsa, in effetti, ieri ha capito cosa sta covando e i dati dei profitti bancari Usa di cui abbiamo parlato precedentemente non hanno impressionato il mercato dei futures pre-apertura: è un falso mercato del toro, è soltanto un disperato assalto alla diligenza.

Vale per tutti e dappertutto, anche qui da noi. Infatti, nonostante il rating stellare offertole da Morgan Stanley dieci giorni fa, ieri Fiat pagava sui mercati i dati trimestrali con un calo dei ricavi del 16%: chissà se Sergio Marchionne, ieri, ha ripetuto ancora “che Dio li benedica”. Gli investitori dubitiamo.

Ma restando in Italia e chiudendo per una volta la parentesi sulla situazione globale, appare interessante analizzare brevemente il domino che pare dispiegarsi attorno alle poltrone che contano dell’economia. A nessuno è sfuggita, ovviamente, l’inversione a u di Giulio Tremonti sul posto fisso, scelta che ha trovato il gradimento dei sindacati, ha spiazzato la sinistra ma ha anche mandato su tutte le furie Confindustria e una parte non minoritaria del governo nonostante la formale e obbligata solidarietà espressa da Silvio Berlusconi prima di partire per la Russia - dove va a sistemare la faccenda del Milan, non pensate a chissà quale giallo geo-finanziario-politico.

Non è un caso che il giornale che maggiormente ha apprezzato, nell’ambito del centrodestra, sia stato il Secolo d’Italia, anima editoriale di quella destra italiana che nonostante Fiuggi e viaggi in Israele proprio il libero mercato non riesce a digerirlo. Insomma, Giulio Tremonti ha fatto - ancora una volta - un discorso programmatico da statista e da politico, non un’intemerata da ministro delle Finanze.

Parallelamente, dall’altra sponda, è passato più sotto silenzio l’editoriale di domenica scorsa di Romano Prodi sul Messaggero nel quale l’ex premier rendeva conto delle domande mossegli da alcuni suoi amici e colleghi rispetto all’importanza di avere banche solide nel nostro paese. Un articolo semplice e banalotto, soprattutto nel finale: non servono banche solide se queste non fanno credito alle imprese. Primo anno di economia in Cattolica, niente più.

Ma siccome, piaccia o no l’uomo, Romano Prodi è uomo di intelligenza e preparazione, a molti è apparso che quell’editoriale fosse nulla più che un segnale ai naviganti di governo: io posso far finire la guerra civile strisciante in atto perché sono l’unico pontiere credibile verso i poteri forti ma tutto ha un prezzo. E a lavoro fatto, quando Mario Draghi sarà verso altri lidi - Palazzo Chigi o la Bce - il prezzo da pagare è che Bankitalia sarà il mio approdo, piaccia o non piaccia a Giulio Tremonti. Il quale, non a caso, ha piazzato l’ennesima stoccata e posto - a detta di moltissimi osservatori - altri mattoni al suo muro di credibilità politica personale - con cotè di viaggio in Cina come conferenziere di spessore internazionale - con la benedizione di Gianfranco Fini e dell’ala destra del PdL.

Dopo il primo giorno di disorientamento, sia Libero che il Giornale hanno dovuto ammettere che nel governo - Renato Brunetta in testa - cova malcontento rispetto all’istrionico ministro delle Finanze e che di fatto si starebbe addirittura elaborando un programma economico alternativo. Insomma, come in Borsa, ciò che sembra spesso non è. La situazione è fluida, molto fluida.

Le prossime settimane saranno molto interessanti, da tutti i punti di vista: l’America dovrà finalmente fare i conti con la realtà economica, l’Europa potrebbe dover innescare la baionetta per dirimere la questione che vede la candidatura di Tony Blair a presidente Ue e Londra in guerra sulla regolamentazione degli hedge funds al centro della disputa, l’Italia dovrà prendere una direzione netta anche dopo l’elezione del segretario del Pd: insomma, qualcosa si muove. Speriamo.


Il flashback di Celente: la recessione si farà sentire per una generazione
da http://seekingalpha.com - 13 Ottobre 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Marco A. Ciaccia

Per coloro che non conoscono la capacità previsionale di Gerald Celente, vi proponiamo un flashback dal Trends Journal del 2004

La Grande Recessione, quale si diffonderà dal 2007, manterrà la sua presa per almeno una generazione. I default dei consumatori, circa 1,55 milioni nel 2003, più che raddoppieranno, i pignoramenti di case andranno alle stelle, imprese di ogni dimensione falliranno e il debito pubblico esploderà, in quanto si ridurrà il gettito fiscale.

-Trends Journal 2004


Celente potrebbe essersi sbagliato di 6-12 mesi, dato che molti non si accorsero che già nel 2007 eravamo in recessione (grazie all’assiduo lavoro dei media per nascondere questo fatto) ma le previsioni erano abbastanza giuste. Anche nel corso del 2005, 2006 e inizio del 2007, con il boom speculativo in piena espansione, l’istituto di ricerca di Gerald Celente (Trends Research Institute) rimase fedele alle sue previsioni. Il seguente estratto del Trends Journal dell’autunno 2009 (pubblicato il 10 ottobre 2009) ci fa capire il motivo:

Quando i dati accumulati forzano verso una conclusione che si scontra con l’opinione popolare e le sensazioni diffuse, è essenziale restare fedeli alle proprie analisi.

Un caso specifico è nel 2009, quando la percezione diffusa era che fosse in corso la ripresa. Ma i dati a disposizione indicavano un rimbalzo, non una ripresa. L’economia stava collassando ma veniva sostenuta da gigantesche iniezioni di moneta cartacea, evanescente e stampata dal nulla. Ma ancora una volta la maggioranza, incitata dai media e dal governo, rifiutò di riconoscere la dura realtà perché una grossa bugia era più confortevole.


I dati sono chiari – e sono REALI. Gli Stati Uniti (e altri Paesi del mondo) stanno stampando moneta con irresponsabile generosità. Stiamo salvando istituzioni insolventi che avrebbero dovuto fallire tanto tempo fa. Il motore del credito negli Stati Uniti è grippato. Milioni di persone stanno perdendo il lavoro. Le case vengono pignorate ad un ritmo record, con una nuova richiesta di pignoramento ogni 13 secondi. I consumi stanno crollando in verticale.

L’opinione generale vi vorrebbe far credere che il mondo sia in ripresa. L'opinione contraria, sostenuta da dati di fatto, indica che non stiamo uscendo dalla recessione ma che, al contrario, stiamo sempre più sprofondando nella Grande Depressione.


Un sistema economico strutturalmente irrecuperabile
di Gilles Bonafi - www.mondialisation.ca - 20 Ottobre 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Marina Geranzani

Coloro che credono ancora nei benefici della mano invisibile del mercato, dovrebbero rendersi conto che quest'ultima ci sta ripulendo le tasche a vantaggio di pochi. L'attualità ce lo mostra ogni giorno.

Sì, sì, la recessione è finita. Comincia ora la depressione e la disoccupazione di massa ne è l'indizio rivelatore. Non è il 1929, è molto peggio. Non tornerò sulle mie diverse analisi, perché ben presto gli eventi si susseguiranno (guerre, fallimenti, crack borsistici...)

Per capire perché la borsa continui a funzionare, basta leggere ciò che Pierre Jovanovic scrive sul suo blog.

Spiega così che il «40% dell' NYSE è generato da cinque titoli» cosa confermata dall'analista finanziario Olivier Crottaz che ne ha anche pubblicato il grafico relativo.

Insomma, si rifilano pacchetti d'azioni facendo montare la maionese e tutto questo sconnesso da qualsiasi realtà economica. Grottesco!

Ho quindi deciso di scrivere une serie di articoli per dimostrare che ciò che molti chiamano capitalismo, non solo è una mostruosità, ma inoltre è completamente irrecuperabile.

Ho spesso usato il termine crisi sistemica per analizzare il crack attuale, ma dovremmo piuttosto parlare di crisi strutturale.

Infatti, ci sono stati molti studi sul fallimento del comunismo e le sue derive dittatoriali (Stalin, Mao), ma ci sono poche analisi di fondo riguardanti il nostro sistema economico attuale che, anch'esso, non può far altro che portarci al disastro e alla dittatura.

Innanzitutto, bisogna notare che Karl Marx ha fatto due errori fondamentali.

In primo luogo, la sua analisi si basa sull'idea che è “il calo tendenziale del tasso di profitto che è all'origine delle crisi che costellano la storia del capitalismo”.

L'economista Philippe Simmonnot ha confutato in modo chairo questa teoria. Per chi vuole approfondire, la spiegazione de L'errore di Marx è sul mio blog.

Inoltre, Marx ha “dimenticato” Freud (che è arrivato dopo) e i suoi lavori sull'inconscio, che Bernard Stiegler riassume affermando che “il capitalismo del XX secolo ha catturato la nostra libido e l'ha sviata dagli investimenti sociali”. Posso aggiungere che ha finito col resettarci tramite il feticismo dell'oggetto.

Poiché l'insieme dei media appartiene al gruppetto dominante, la realtà ha finito col scapparci e non vediamo più il mondo com'è. Questo “psico-potere” che permette di fabbricare la nostra coscienza collettiva, è il solo da distruggere veramente, perché “solo la verità è rivoluzionaria”.

Del resto, secondo Hannah Arendt, il totalitarismo è innanzitutto una dinamica di distruzione della realtà e delle strutture sociali.

Per capire meglio, bisogna rileggere «Il mondo nuovo» di Aldous Huxley, che non è un romanzo, ma un programma politico ben riassunto nella prefazione del 1946: «Uno stato totalitario davvero “efficiente” sarebbe quello in cui l'onnipotente comitato esecutivo dei capi politici e il loro esercito di direttori governerebbero su una popolazione di schiavi che sarebbe inutile forzare, perché avrebbero l'amore per la loro servitù».

Tra l'altro l'opera fa una sintesi della nostra epoca: «Man mano che diminuisce la libertà economica e politica, in cambio la libertà sessuale tende a crescere». Anche Claude Lévi-Strauss ne aveva parlato: «La funzione primaria della comunicazione scritta è di facilitare l'asservimento».

Siamo quindi una popolazione di schiavi, un'idea che il film di Jean-François Brient «De la servitude moderne» [NdT: Sulla servitù moderna] mostra in maniera esplicita [De la servitude moderne n°1, De la servitude moderne n°2, De la servitude moderne n° 3 (sul mio blog)].

Nonostante ciò, è importante analizzare perché alla fin fine il capitalismo ci porta alla dittatura. Infatti, gli economisti diventati matematici, han dimenticato che ciò che caratterizza il nostro sistema economico è quel suo lato mafioso retto da una sola legge, quella del più forte.

Mazzette, minacce e assassinii sono parte integrante del processo di conquista dei mercati. Gomorra di Roberto Saviano è il riflesso perfetto della nostra società.

Questo viene rappresentato sul piano matematico (dato che il mondo è scritto in linguaggio matematico) dalla legge di Pareto che mostra come le entrate si dividono sempre secondo una legge matematica decrescente a legge di potenza. L'economista Moshe Levy spiega che “la legge di Pareto, lungi dall'essere universale e ineluttabile, sarebbe solo il modoo di funzionamento particolare di una società egocentrica” e che “sono gli effetti stocastici (e non l'indigenza e il lavoro) della concorrenza ad arricchire pochi a scapito della maggioranza, portando alla ripartizione di Pareto”.

Per rimanere nell'ambito della matematica, è importante capire cos'è un frattale. Gli oggetti frattali sono imparentati a strutture a rete, e sono sottoposti alla legge di Pareto. Per fare un esempio, il 20% dei più ricchi detiene l'80% del capitale, ma all'interno di questo 20% si applica ancora la legge di Pareto, e così via... Del resto, le 20 persone più ricche del mondo hanno un capitale personale stimato nel 2009 a 415 miliardi di dollari, ossia poco meno del PIL svizzero (500 miliardi di dollari)! (Lista dei miliardari del mondo nel 2009)

L'1% dei più ricchi rappresentava il 10% del PIL nel 1979 e il 23% oggi. Saranno il 53% nel 2039?

Bisogna quindi capire che la pecca fondamentale del nostro sistema economico risiede nell'accumulo del capitale. Infatti, il capitalismo porta strutturalmente alla dittatura attraverso un accumulo colossale di ricchezze da parte di pochi.

Il capitalismo è quindi per natura non redistributivo. Infatti, per via della sua struttura basata sul debito, favorisce il capitale e mette la banca e la finanza al centro del sistema. Bene, la maggior parte degli interessi alla fine è riscosso da un piccolo numero di persone che finiscono con l'impadronirsi del sistema. Io lo chiamo effetto Monopoli (Famoso gioco in cui, dopo aver rovinato gli altri, sopravvive un solo giocatore).

Coloro che credono ancora nei benefici della mano invisibile del mercato, dovrebbero rendersi conto che quest'ultima ci sta ripulendo le tasche a vantaggio di pochi. L'attualità ce lo mostra ogni giorno.

Inoltre, sul piano matematico un investimento di denaro è un esponenziale. Potete del resto constatarlo cliccando su Esponenziale e capitale.

Ma questo accumulo di capitali ha una contropartita: l'accumulo di debiti, perché alla fin fine il denaro non viene creato ex nihilo, al contrario di quello che cercano di farvi credere (solo le banche centrali possono creare la moneta). Il nostro sistema economico è quindi diventato un grande schema di Ponzi, e questo è confermato anche dallo stesso Nouriel-Roubini: “Americani, guardiamoci allo specchio: Madoff, siamo noi, e il Signor Ponzi, siamo noi!”.

Avevo già indicato questo problema nell'articolo Crise systémique – Les solutions (n°5 : une constitution pour l'économie) [NdT: Crisi sistemica – Le soluzioni (n°5: una costituzione per l'economia)] e affermavo che questo sistema, che funziona sul debito e l'appropriamento della maggior parte degli interessi da parte di pochi, col passare degli anni impone l'allargamento della base di credito. E, quando si cominciano a fare prestiti a persone che non possono rimborsarli (i poveri), il sistema sprofonda.

E sì che tutte le religioni hanno condannato (a volte con diverse sfumature) il prestito con interessi, perché lo consideravano amorale, cosa che troviamo nel versetto 275 della seconda sura del Corano: “Dio ha reso lecito il commercio e illecito l'interesse”.

Non dimentichiamo che il sistema attuale si basa sulla formula: debito = consumo = lavoro. Quindi, senza debito, nessun lavoro! Del resto è per questa ragione che gli stati sostengono a fondo perso le banche.

Robert H. Hemphill, responsabile di crediti alla Fed di Atlanta, aveva dichiarato: “Se le banche creano abbastanza denaro, prosperiamo; in caso contrario, sprofondiamo nella miseria”

Di fronte a un esponenziale del capitale accumulato, ci ritroviamo con un esponenziale del debito. Per esempio, per gli Stati Uniti, abbiamo un debito totale (pubblico e privato) di 52.859 miliardi di dollari, ossia 375% del PIL statunitense e più del PIL mondiale.

Bisogna inoltre ricordare che il debito porta alla schiavitù, come riassume Jean Baudrillard: “Con il credito torniamo a una situazione propriamente feudale (una frazione del lavoro dovuta in anticipo al signore), al lavoro asservito”.

Il sociologo Immanuel Wallerstein ha ragione quando afferma che: «Da trent'anni siamo entrati nella fase terminale del sistema capitalistico».

Ivan Illich uno dei primi pensatori dell'ecologia politica ha sviluppato la nozione (chiamata illichiana) di contro-produitività, che mostra che le imprese che raggiungono una grandezza critica instaurando una situazione di monopolio, finiscono col nuocere al funzionamento normale dell'economia.. Possiamo anche aggiungere che finiscono con l'appropriarsi del potere. Il 4 giugno 1943, il senatore Homer T. Bone dichiarava al Comitato del Senato americano per gli Affari Militari: «Farben era Hitler e Hitler era Farben»

Albert Einstein, nel maggio 1949, in un articolo comparso nella Monthly Review, riprendeva la stessa idea: «Il capitale privato tende a concentrarsi nelle mani di pochi, in parte a causa della competizione tra capitalisti e in parte perché lo sviluppo tecnologico e la divisione crescente del lavoro incoraggiano la formazione di unità di produzione più grandi a scapito di quelle più piccole. Il risultato di questi sviluppi è un'oligarchia di capitale privato, il cui potere esorbitante non può effettivamente essere controllato neanche da una società il cui sistema politico è democratico»

Oggi, 500 imprese transnazionali controllano il 52% del PIL mondiale e questo fa dire a Jean Ziegler (membro del Comitato consultivo del Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite) che andiamo verso «una rifeudalizzazione del mondo»

Eppure J. K. Galbraith, economista e consigliere dei presidenti Roosevelt e Kennedy ci aveva avvertiti: «L'economia di mercato è spesso descritta come un'antica eredità. All'occorrenza, è una truffa, o più esattamente, un errore comunemente ammesso. Troppe persone studiano ancora l'economia su manuali che mantengono ancora i dogmi della produzione concorrenziale dei beni e dei servizi e della capacità di acquistare senza impedimenti. In realtà, possono esserci solo uno o pochi venditori abbastanza potenti e persuasivi a determinare ciò che le persone comprano, mangiano, bevono» (« Les nouveaux mensonges du capitalisme » (Le nuove menzogne del capitalismo » Pubblicato ne Le Nouvel Observateur (4/11/05), intervista di John Kenneth Galbraith a cura di François Armanet)

Quali sono le soluzioni? Non preoccupatevi, i nostri padroni han già previsto tutto. Per capire, bisogna sapere che la dialettica hegeliana è padroneggiata magistralmente. Abbiamo così la tesi, il capitalismo, l'antitesi, il comunismo, e infine la sintesi: un socialismo corporativo o social-fascismo (mondiale).

Voglio ricordare qui che Mussolini aveva dato la sua definizione del fascismo: “Il fascismo dovrebbe piuttosto essere chiamato corporativismo, poiché si tratta dell'integrazione dei poteri dello stato e dei poteri del mercato”. Ora, il corporativismo può essere assimilato a un'impresa criminale dato che, come afferma Howard Scott: “un criminale è una persona dagli istinti predatori che non ha abbastanza capitale per formare una corporazione” (Une constitution pour l'économie, pourquoi ?)

Può sembrare strano associare due principi opposti come socialismo e fascismo, ma Edgar Morin ci spiega ciò che egli chiama il principio dialettico: “Esso unisce due principi o nozioni antagoniste, che in apparenza dovrebbero respingersi l'un l'altra, ma che sono indissociabili e indispensabili per capire una stessa realtà”. Pensate sia impossibile? Ecco la mia analisi.

Conviene innanzitutto notare che tutti sparano sui cattivi banchieri (la tesi) e sostengono la nazionalizzazione delle banche (l'antitesi). Avremo quindi un FMI, una BRI e una banca mondiali (la sintesi) che controlleranno la futura moneta mondiale (i DSP che sostituiranno il dollaro: Crise systémique – Les solutions (n°5 : une constitution pour l'économie)) e regoleranno il sistema. Ora, questi organismi sono controllati da una manciata di persone.

La crisi attuale avrà come conseguenza diretta la distruzione delle nazioni, perché le somme perse superano le capacità degli stati e i tassi di indebitamento vanno alle stelle. Si svilupperanno dappertutto dei poli continentali con strutture regionali: il glocale. Su questa questione ho tra l'altro condotto uno studio preciso: Crise systémique – Les solutions (n°4 : régions et monnaies complémentaires) (Crisi sistemica – Le soluzioni. N°4: regioni e monete complementari)

Il futuro è al « socialismo » disse Schumpeter, un socialismo senza schaivitù, ma con una libertà limitata. Si dovrebbe usare allora il termine esatto: socialfascismo e precisare che la libertà scomparirà se non ne facciamo nulla. In ogni caso, una dittatura fallirà. Non dimentichiamo il principio « ologrammatico » di Edgar Morin: la parte è nel tutto, ma il tutto è nella parte, poiché tutte le forme di esistenza sono legate le une alle altre. Questa è tra l'altro la definizione esatta di ciò che Buddha, Jeschuth-notzerith (il vero nome di Gesù, ancora una bugia!) e Maometto hanno definito con la parola amore.

Fascismo e socialismo alla fin fine non sono altro che il riflesso della nostra dualità che ci spinge o verso gli altri, o verso il ripiegamento su sé stessi, l'egoismo e la violenza. È necessario quindi che cambiamo noi, se vogliamo cambiare il mondo; è quello che l'Islam chiama djihad, la cabala ebrea la lotta per lo zain (la lotta interiore) e che Bakunin riassume in poche parole: “Per rivoltarsi contro questa influenza che la società esercita su di lui, l'uomo deve, almeno in parte, rivoltarsi contro sé stesso”.


Gilles Bonafi è professore e analista eocnomico.