Nel primo si evidenzia come il Potere sia riuscito ad annichilire la Sinistra attraverso un meticoloso piano messo a punto fin nei minimi dettagli agli inizi degli anni '70, pienamente realizzato in seguito e le cui conseguenze sono tuttora davanti ai nostri occhi.
Mentre dal secondo articolo si ha l'ennesima conferma di come oggi una parte della destra italiana stia cercando disperatamente di aggiornare la propria identità, facendo propri temi un tempo cari alla sinistra. Dopo che nel recente passato era avvenuto esattamente il contrario, con gli esiti disastrosi a cui abbiamo assistito.
Ecco come morimmo
di Paolo Barnard - www.paolobarnard.info - 20 Ottobre 2009
Il processo iniziò il 23 agosto del 1971 nella sale della Camera di Commercio degli Stati Uniti d’America, e arrivò alla sentenza il 31 maggio del 1975 nell’assemblea plenaria della Commissione Trilaterale a Kyoto. In quattro anni di dibattimento i Padroni della nostra vita decisero che l’imputato doveva morire.
L’imputato si chiamava Sinistra, cioè diritti, cioè democrazia partecipativa dei cittadini comuni, cioè pace, tolleranza, interesse collettivo, amore libero e libero pensiero, cioè Un Mondo Migliore per ogni uomo o donna di questo pianeta, cioè il mondo che avremmo voluto avere e che oggi non abbiamo. Negli anni ’70 quel mondo appariva sul punto di realizzarsi, sospinto dallo straordinario vento di progressismo che aveva spazzato il mondo occidentale nella decade precedente. La sentenza decretò che l’imputato era colpevole, e ne dettò le modalità di esecuzione capitale.
Oggi quello che vi appare come il Potere - dalle multinazionali alle guerre economiche, la P2, le mafie, il mostro mediatico commerciale, la Casta politica e le altre Caste, le lobby dell’attacco alle Costituzioni, l’impero dei consumi – non lo è. Queste manifestazioni aberranti sono solo il risultato di quella sentenza. Il Potere è la cupola dei mandanti di allora e di oggi, quella è l’origine di tutto.
Chi di voi è molto giovane stenterà a credere a queste parole, ma realmente fino all’epoca del processo di cui parlo esisteva una cosa chiamata Speranza. Era figlia di due secoli di lotte epocali di uomini e di donne comuni, un’epopea di sacrifici immani in difesa di idee stupefacenti, condotta dalla fine del ‘700 alla fine del ‘900 da persone che furono capaci di cambiare la Storia.E cambiare la Storia significava una sola cosa: strappare il potere ai pochi e darlo a molti, per il bene di tutti, per stare meglio tutti. I pochi, eredi di un potere gigantesco tramandato dalla notte dei tempi, subirono per oltre due secoli quel cambiamento in modi che oggi sono inimmaginabili, fino al giorno in cui decisero che era giunta l’ora di fermare la Storia. L’idea di giustizia secondo cui i molti avevano il diritto di decidere a scapito degli interessi dei pochi, cioè l’esser di Sinistra, doveva essere messa in stato di fermo ed estinta. Iniziò così il processo, una mattina di agosto del 1971.
Le righe che seguono vi dicono essenzialmente una cosa: combattere il Potere significa capire chi veramente è, poiché combattere i suoi pupazzi e i suoi tentacoli non serve a nulla. E’ necessario che qualcuno vi aiuti a comprendere innanzi tutto dove nacque il ‘nemico’, quali mezzi ha usato, con quali strategie, cioè capire il percorso che ha portato noi persone comuni contro il muro di oggi, per far sì che forse domani altri uomini e altre donne tornino a lottare contro il bersaglio giusto e con mezzi adeguati. I maggiori ‘antagonisti’ odierni non si curano di questo, e stanno sbagliando sostanzialmente tutto. Ricordatevi che ogni singola citazione che leggerete di seguito ha cambiato e sta cambiando tutta la nostra vita in tutto il mondo, perché sono le parole del Potere, il vero Potere. E allora bando alla ciance, ed ecco i fatti.
L’avvocato ‘del diavolo’.
Dunque, fermare la Sinistra, per sempre. I primi a porsi questa meta furono non a caso i businessmen americani dell’era Nixon a capolino degli anni ‘70, capitanati da Eugene Sydnor Jr. della Camera di Commercio USA. Ma come fare, si chiesero? La risposta fu chiara: con la forza delle idee, il potere immane delle idee. Non fu forse così che gli Illuministi vinsero la guerra contro tremila anni di assolutismi blindati? Un’idea spacca, sconvolge, vince. Bastò una telefonata alla persona giusta, un avvocato. Lewis Powell sedeva come legale nei consigli di amministrazione di svariate aziende, era uomo di grande cultura e acuto pensiero, gli fu affidato il compito di iniziare il processo per fermare la Storia.
Powell scrisse un ‘Memorandum’ di undici pagine scarse, in un linguaggio da prima liceo, e forgiò così la prima arma storica per il contrattacco vincente delle nuove destre internazionali: la semplicità. Concetti semplici, sgrossati fino all’assoluto essenziale, una comunicazione diretta e comprensibile da chiunque - dal presidente della grande industria come dal taxista. Le destre comunicano così, sempre, e infatti sempre vengono recepite. Ed essere recepiti, significa vincere. Le sinistre invece non hanno mai capito neppure l’abc della comunicazione, né oggi vogliono capirlo.
Le regole di guerra.
Prima idea di Lewis Powell: all’alba degli anni ’70, è arrivata l’ora di cambiare tutti i valori figli di due secoli di rivoluzioni di sinistra, nientemeno.
La diagnosi: “(Noi delle destre economiche) non ci troviamo di fronte ad attacchi sporadici. Piuttosto, l’attacco al Sistema delle corporations è sistematico e condiviso”. C’è una “guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. “E’ chiaro come il sole che le fondamenta stesse della nostra libertà sono sotto attacco massiccio”, perché “la minaccia al sistema delle imprese non è solo una questione di economia, ma colpisce la libertà dell’individuo”. E non c’è da discutere, poiché “l’unica alternativa al (nostro) sistema sono le dittature delle burocrazie socialiste o fasciste”.
La chiamata alle armi: “E’ arrivata l’ora per il business americano di marciare contro coloro che lo vogliono distruggere”.
Chi sono i virus da sopprimere? “Certamente la sinistra estrema, che è molto più numerosa, meglio finanziata e benaccetta di quanto non lo sia mai stata prima nella Storia. Ma le voci più preoccupanti provengono da elementi perfettamente rispettabili, come le università, i media, gli intellettuali, gli artisti, e anche i politici”. La massima preoccupazione del Potere deve essere “l’ostilità delle sinistre e dei riformatori sociali”. Poi vengono gli studenti, infatti “quasi la metà degli studenti è a favore della socializzazione delle industrie americane fondamentali”. Le sinistre stanno portando un “vasto attacco al sistema stesso, che mina la fiducia del pubblico e lo confonde”.
Contate quelle parole; sono poco più di 170. Esse ci raccontano già tutto quello che è accaduto nei trentotto anni successivi, in tutto l’Occidente, nei campi sociale, economico, ideologico, politico, dell’istruzione, dei media, sindacale. Cioè la vostra vita. Ma continuiamo.
Lewis Powell dettò le regole di guerra, e i primi a doversi disciplinare erano proprio i Padroni del Vapore, che dopo una decade di successi dello Stato Sociale in Europa e anche negli USA, dopo cioè il decennio più di sinistra che il mondo avesse mai conosciuto, si percepivano come ridotti in uno stato di irrilevanza. Il ‘Memorandum’ proclama infatti che “pochi elementi della società americana di oggi hanno così poca influenza sul governo come il business, le corporazioni, e gli azionisti… Non è esagerato affermare che… siamo i dimenticati”. Per sovvertire un’intera epoca ormai considerata trionfante, quella degli Stati Sociali, le destre dovranno avere la forza di “organizzarsi, pianificare nel lungo termine, essere disciplinate per un periodo illimitato, essere finanziate con uno sforzo unificato”.
Ovvero, trasformarsi in un esercito di attivisti di micidiale efficacia. La conseguenza di questi semplici concetti sarà enorme: nacque così il mondo delle lobby moderne del potere economico, quelle che oggi eleggono i presidenti americani, che regolano le guerre in Medioriente, che decidono le politiche europee per noi tutti, che decidono chi può commerciare e che cosa in tutto il mondo e che infatti hanno portato “il business, le corporazioni, e gli azionisti” dall’essere “i dimenticati” allo strapotere di oggi.
Powell fa qui una premessa scioccante, se letta in tempi moderni: “Il business deve imparare le lezioni messe in pratica dal mondo dei lavoratori, cioè che il potere politico è indispensabile, che deve essere coltivato con assiduità, e usato in modo aggressivo se necessario, senza imbarazzo”. In altre parole, questo passaggio ci rivela che le destre trovarono le vie del riscatto imitando precisamente quella che era la forza delle sinistre di quell’epoca. Loro la acquisirono, noi l’abbiamo perduta.
E poi: “Chi ci rappresenta deve diventare molto più aggressivo… deve far pressione con forza su tutta la politica perché ci sostenga, e non dovremo esitare a penalizzare chi a noi si oppone”. Le lobby dovranno dedicarsi particolarmente al settore giudiziario, “sfruttandolo, come hanno fatto le sinistre, i sindacati e i gruppi dei diritti civili… che ebbero successi spesso a nostre spese”.
I gemelli vincenti: Educationtelevision.
Lewis Powell intuì che in conseguenza proprio di questo attacco alla Sinistra, il futuro decisionale delle società moderne si sarebbe spostato dall’attivismo popolare tipico del dopoguerra ai colletti bianchi sfornati in numeri sempre maggiori dalle università occidentali.
Ma gli atenei dell’epoca erano visti dall’autore del ‘Memorandum’ come pericolosissimi covi di idee sovversive: “Vi sono apparsi oratori di sinistra ed estremisti a centinaia… ma non vi è stata alcuna parità di presenze dei sostenitori del sistema di governo americano e del business”.
Dunque, la forza delle lobby di destra doveva colpire a tutto spiano le università. Le Scienze Politiche erano il primo bunker da espugnare, e le destre economiche dovevano creare un esercito di “docenti che credono fermamente nel sistema delle imprese”. Una volta raggiunta tale meta, “i nostri docenti dovranno valutare i libri di testo, soprattutto quelli di economia, scienze politiche e sociologia”.
Ma il lavoro centrale delle lobby accademiche di destra era da destinarsi ovviamente agli insegnamenti di economia, dove “dobbiamo godere di un rapporto particolare con le facoltà”. Ecco spiegato con cristallina chiarezza da dove nasce il fondamentalismo del Libero Mercato, detto anche Neoliberismo, che da vent’anni domina ogni singolo insegnamento di economia universitaria dopo aver estirpato anche la più microscopica resistenza a tale dogma.
E sappiano i lettori meno ferrati, che è dalle fucine universitarie Neoliberali che provengono le politiche di perenne impoverimento dei nostri servizi essenziali, del diritto al lavoro, del diritto alla salute, del diritto agli alloggi, del sistema pensionistico, del bene comune, ecc. Cioè le decisioni su come noi viviamo e moriamo. I nostri governi sono solo esecutori che non hanno scelta, e dunque non è a Berlusconi né a Prodi o a Tremonti che dobbiamo guardare per comprendere da dove viene il nostro (miserabile) tempo, e non è contro di loro che dobbiamo combattere.
Nel 1971, all’epoca degli sforzi di Lewis Powell, i media erano già centrali ai giochi del Potere, ma non come il Potere avrebbe voluto. E l’avvocato neppure qui si perse in giri di parole: “Le televisioni dovranno essere monitorate costantemente nello stesso modo indicato per i libri di testo universitari. Questo va applicato agli approfondimenti Tv, che spesso contengono le critiche più insidiose al sistema del business”.
La stampa e la radio non sfuggono: “Ogni possibile mezzo va impiegato… per promuoverci attraverso questi media”; né le riviste popolari, dove “vi dovrà essere un costante afflusso di nostri articoli”; né le edicole, dove “esiste un’opportunità di educare il pubblico e dove però oggi non si trovano pubblicazioni attraenti fatte da noi”.
Powell prescrisse qui il boom, realmente poi avvenuto, dell’editoria popolare straripante di rappresentazioni positive del consumismo, cioè dell’Esistenza Commerciale. Ma le sue parole preconizzarono anche l’avvento dei messaggi subliminali che i media moderni ci rifilano in ogni forma e salsa per rafforzare il Sistema, e infatti egli scrisse “Spendiamo centinaia di milioni di dollari in pubblicità… ma solo una frazione di essi pubblicizza il Sistema”.
Solo il meglio.
Il ‘Memorandum’ che segnò il primo passo per l’esecuzione capitale della Speranza, si conclude con le direttive assolute impartite da Powell al futuro esercito dei padroni del mondo.
Primo, essere sempre ultra finanziati, e qui, scrive l’avvocato, “necessitiamo di un sostegno finanziario da parte delle corporations molto superiore di quanto abbiano mai fatto finora”. Powell sapeva che l’essenziale lavoro di creazione del consenso non poteva essere affidato a ‘belle anime’ intellettuali o a volontari spesso impreparati (come invece è sempre stato nelle sinistre e ancora è), e infatti sancì che chi lavora al progetto di fermare la Storia deve essere “pagato allo stesso livello dei più noti businessmen e professori universitari”, e le loro competenze “dovranno essere eccezionalmente alte, nei settori chiave come la pubblicità e i media, il mondo intellettuale, l’avvocatura”.
Il progetto di fermare la Storia deve essere perennemente controllato nella qualità e fedeltà, e “le nostre presenze nei media, nei convegni, nell’editoria, nella pubblicità, nelle aule dei tribunali, e nelle commissioni legislative, dovranno essere superbamente precise e di eccezionale livello”.
Undici pagine così scritte da un singolo uomo furono prese a modello dalle destre economiche di tutto il mondo occidentale, che, come chiunque di noi può verificare, le hanno messe in pratica sostanzialmente alla lettera.
E il risultato si vede, in milioni di esseri umani benestanti ipnotizzati dai “valori del Sistema”; in milioni di studenti indottrinati in un’unica direzione; nella corrosione implacabile dei diritti fondamentali come lavoro, alloggio e salute causata dalla vittoria del “sistema delle imprese”; in una rete immensa di media che ossessivamente promuovono quel Sistema; nello strapotere delle sue lobby; e nella micidiale compattezza, competenza, abilità ed efficienza dell’implacabile macchina dell’Esistenza Commerciale.
Quelle undici pagine di concetti dettati in estrema sintesi sono state il software che ha guidato le destre economiche per 38 anni in un lavoro 24 ore su 24, sette giorni su sette, unite, disciplinate, discrete, senza mai un dissenso e con una comunicazione studiata come null’altro al mondo.
Cioè Il Potere, dedicatosi anima e corpo nella guerra alla Speranza, che fino al 1971 si chiamò Sinistra, e che, come preannunciato, fu definitivamente decapitata quattro anni dopo i primi sforzi di Lewis Powell. Ci volle infatti il lavoro di altri tre uomini per completare il processo, e altre poche pagine di parole scritte con grande semplicità.
La Democrazia va salvata, uccidiamola.
E’ sconsolante assistere in questi giorni agli sbraiti di alcuni demagoghi che denunciano l’attacco alla democrazia, portato oggi a sentir loro da alcuni pupazzi del Potere e dalle loro malefatte locali. E’ come se qualcuno ci gridasse allarmi per l’avvento del consumismo perché dietro casa sua è stato aperto un ipermercato. L’attacco alle democrazie fu pianificato 34 anni fa, e con tale efficacia da non lasciare speranza. Come si è detto in precedenza, esso fu l’atto finale della condanna a morte della Sinistra.
La Commissione Trilaterale nacque nel 1973 come libera associazione di cittadini americani, europei e giapponesi con l’intento di “incoraggiare una stretta collaborazione fra queste tre regioni sui problemi comuni, e di migliorare la comprensione pubblica di questi problemi”. Naturalmente questo proclama è una baggianata.
Essa è un club esclusivo di potenti personaggi decisi a tutelare i propri interessi, ma che, contrariamente a quanto si crede, non sono affatto un crocchio di autocrati mafiosi e complottisti. La Commissione Trilaterale è invece il volto più che pubblico delle destre economiche moderne, cioè pieni sostenitori della democrazia, intesa però come strumento liberamente consegnato a pochi da parte di molti affinché poi i molti possano fare l’interesse dei pochi.
Infatti, una delle acquisizioni fondamentali delle destre moderne è stata che le dittature non sono più il mezzo migliore per spremere i cittadini; esse sono affari sporchi, incontrollabili, che finiscono sempre col creare imbarazzanti contraccolpi sui media. Meglio la democrazia, teleguidata naturalmente.
Ed ecco che se fino a ieri le destre occidentali esportavano colpi di Stato (Iran, Cile, Grecia ecc.), oggi esportano democrazia (Iraq, Afghanistan, Pakistan ecc.). Ma la democrazia ha un brutto vizio: tende a riportare l’interesse dei molti in primo piano, a scapito degli interessi dei pochi. Tende cioè a essere istintivamente di sinistra. E allora bisognava intervenire.
La Commissione Trilaterale ha fatto questo negli scorsi trentaquattro anni, con la gentile partecipazione di personaggi noti e meno noti, come Zbigniev Brzezinski, Jimmy Carter, David Rockefeller, Giovanni Agnelli, Piero Bassetti, Francesco Forte, Arrigo Levi, Carlo Secchi, Edmond de Rothschild, George Bush padre, Dick Cheney, Bill Clinton, Alan Greenspan, Henry Kissinger e tantissimi altri.
Spiego meglio: la democrazia liberamente espressa fa giocoforza l’interesse dei cittadini, visto che sono i cittadini a governarla, e questo ha sempre combaciato perfettamente con l’ideale della Sinistra. Ciò, come si diceva, fu vero più che mai alla fine degli anni ’60, a compimento di due secoli e oltre di Storia. Il Potere non gradiva, ma si è anche detto che il Potere aveva compreso il valore della democrazia come veicolo supremo dei suoi interessi, e qui stava una forte contraddizione.
I Padroni del Vapore, all’epoca del processo iniziato da Lewis Powell, dissero in sostanza: la democrazia sta consacrando la sinistra, dunque dobbiamo ucciderla; ma la democrazia ci serve, per cui dobbiamo salvarla. Soluzioni? Di nuovo partirono poche telefonate, questa volta a tre pensatori: Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki.
Tre intellettuali, docenti universitari e consulenti di governi, rispettivamente americano il primo, francese il secondo e giapponese il terzo. Di nuovo essi stilarono le ricette in termini semplicissimi, nelle 227 pagine del loro The Crisis of Democracy, consegnato alla Commissione Trilaterale nel 1975.
Di nuovo essi prescrissero la condanna a morte della Sinistra, ma con uno stupefacente ma. Esso era contenuto nella risposta alla contraddizione di cui sopra, una risposta che può apparire demenziale: se volete salvare la democrazia e ucciderla allo stesso tempo, dovete salvare la democrazia mentre la uccidete. Seguitemi e sarà chiaro.
La spiegazione dell’assurdo paradigma appena scritto si trova, in fondo, nelle parole a pagina 157 di The Crisis of Democracy, dove si legge che “la storia del successo della democrazia… sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media”.
Cosa vuol dire? Significa che se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini (quella che per definizione fa l’interesse dei molti a scapito dei pochi privilegiati - la Sinistra) mantenendo in vita l’involucro della democrazia (quella che ci fa votare i pochi privilegiati che poi ci spremono come limoni) bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori.
Che è quello che ci hanno fatto. Così ci hanno fregati, ci hanno annientati come protagonisti della democrazia. E’ stata la loro idea suprema, di suprema genialità. La massa dei cittadini che in seguito a due secoli di lotte dal basso aveva appena imparato a divenire partecipativa, è stata ridotta a Spettatori inerti, appunto consumatori, spettatori, piccoli investitori.
L’involucro della democrazia fu salvato, il suo contenuto fu annientato. I tre autori scrissero le istruzioni in termini chiarissimi, ed esse furono messe in pratica per oltre trent’anni in tutto l’Occidente: “Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato (prima degli anni ’60 nda) ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene”.
Infatti, nel testo si legge che la minaccia alla democrazia americana proveniva “dalla dinamica stessa della democrazia in una società altamente istruita, mobilitata e partecipativa”, quella dove erano fioriti i “gruppi giovanili, etnici, e dove quei gruppi stavano assumendo una nuova consapevolezza”. Andavano disattivati, resi apatici, immobili, ed è accaduto precisamente questo ovunque, con il boom edonistico degli anni ’80 e con l’avvento della Tv commerciale.
Vi chiedo di soffermarvi sulle righe qui sopra, perché se si comprende questo si comprende chi è il Potere, come hanno lavorato e chi veramente dobbiamo combattere. Cioè non Berlusconi, ma il Sistema che usa Berlusconi come uno dei suoi tanti strumenti per i suoi scopi finali. E’ infatti assolutamente inutile che oggi gli antagonisti di moda in Italia sbraitino contro la Casta, perché non fu la Casta a disabilitare la democrazia, e soprattutto non è sbraitando contro la Casta che si riattivano i cittadini spenti ormai da più di trent’anni dalle strategie di The Crisis of Democracy.
“Curare la democrazia con ancor più democrazia è come aggiungere benzina al fuoco.”
Il lavoro di Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki si spinse però molto oltre, per colpire ogni aspetto cruciale della democrazia partecipativa. Basta leggere a pagina 161 la lista di ciò che secondo gli autori ostacola la democrazia: “1) la ricerca dell’eguaglianza e del valore dell’individuo… 2) l’espansione della partecipazione alla politica… 3) la competizione politica essenziale alla democrazia… 4) l’attenzione che il governo dà all’elettorato e alle pressioni dalla società”.
Ora, se pensate all’epoca che stiamo vivendo, vi trovate in ordine che : 1) sono stati distrutti l’eguaglianza e il valore dell’individuo attraverso la cultura della Visibilità (leggi Vippismo, sia nel Sistema che nell’Antisistema); infatti oggi, e nonostante ci troviamo nella modernità evoluta, chi non è ‘visibile’ nel potere o nei media o nello spettacolo/sport è uno zero sociale rispetto ai chi lo è – 2) l’apatia partecipativa nella polis è ai massimi livelli, così come nelle fabbriche o nella cultura – 3) l’eliminazione dei partiti minori a favore dei grandi schieramenti ha imbavagliato diverse forze politiche ed eliminato del tutto altre – 4) la sensazione a livello di cittadinanza è che il governo ignori sempre e cronicamente le istanze reclamate dai cittadini attivi e dai gruppi che non siano lobby di potere. Ergo, le istruzioni di Huntington, Crozier e Watanuki combaciano in tutto con il presente.
Essi dissero al Potere che “l’idea democratica secondo cui il governo deve rispondere ai cittadini, crea in questi aspettative di soddisfazione dei bisogni e di eliminazione dei mali che affliggono certi gruppi nella società”, e che “curare la democrazia con ancor più democrazia è come aggiungere benzina al fuoco”. Parole incredibili, ma hanno però di fatto modellato le nostre vite fino a oggi.
Naturalmente ogni idea di Stato Sociale che “avrebbe dato ai lavoratori garanzie e avrebbe alleviato la disoccupazione” veniva tacciata di essere “una deriva disastrosa… poiché avrebbe dato origine a un periodo di caos sociale”. Nel testo si avvertono i potenti che “L’impulso della democrazia è di diminuire il potere del governo, di aumentare le sue funzioni, e di diminuire la sua autorità”, che è esattamente ciò che invece doveva accadere se le nostre democrazie fossero rimaste sane.
The Crisis of Democracy proclama che la risposta a questi ‘mali’ democratici doveva essere una sola: il ritorno al governo delle elite. Huntington, Crozier e Watanuki iniziano ricordando l’esempio illuminante del Presidente americano Truman, che “era stato in grado di governare il Paese grazie all’aiuto di un piccolo numero di avvocati e di banchieri di Wall Street”.
Infatti, “la democrazia è solo una delle fonti dell’autorità e non è neppure sempre applicabile. In diverse istanze”, scrivono gli autori, “chi è più esperto, o più anziano nella gerarchia, o più bravo può mettere da parte la legittimazione democratica nel reclamare per sé l’autorità”. Faccio notare che queste parole scandalose furono nella realtà il fondamento ideologico di ciò che avverrà in Europa 34 anni dopo con la creazione della nuova Europa sancita dal Trattato di Lisbona, che infatti decreta che noi europei verremo tutti governati in futuro da una elite di burocrati super specializzati che nessuno di noi potrà eleggere, avendo appunto messo da parte ogni legittimazione democratica. Capite da dove viene l’attacco alla democrazia di oggi?
La trappola.
I sindacati, e ogni altra forma di associazione di cittadini attivi, erano ovviamente un problema da affrontare. Qui gli autori diedero il meglio di sé, con una delle trovate più insidiose della storia politica moderna: la cooptazione.
Compresero che nelle democrazie evolute era ormai controproducente mantenere uno scontro frontale con i sindacati o con altre organizzazione similari, e con le loro parole diedero inizio a una delle epoche più infami dei rapporti fra Potere e mondo dei lavoratori/cittadini, quella che nel giro di pochi decenni porterà i sindacati dalla loro storica tradizione di lotta per ottenere sempre maggiori diritti, alla miserevole condizione odierna, dove essi ormai possono solo contrattate sul ‘grado di abolizione dei diritti’.
Huntington, Crozier e Watanuki scrissero: “Le richieste crescenti e le pressioni sui governi impongono una collaborazione maggiore. Potremmo escogitare mezzi per assicurarci sostegno e risorse… dai sindacati e dalle associazioni civiche”. Si faccia attenzione: queste parole vengono scritte agli albori degli anni ’70, in un’epoca in cui la sola idea di un sindacato che “assicurasse sostegno e risorse” al governo avrebbe attratto derisione da una parte se non grida di alto tradimento e sommosse violente nelle fabbriche di tutta Italia.
Ma è successo, ce l’hanno fatto fare, e non è necessario riassumere qui la vergognosa parabola in quel senso di CGIL, CISL e UIL perennemente impegnate a togliere le castagne dal fuoco a governi e imprese, o addirittura a finanziare partiti che saranno poi parte dei governi che dovrebbero monitorare.
La medesima cosa è accaduta per le cosiddette organizzazioni di cittadinanza attiva, le ONLUS e altri, che oggi sempre più sono cooptati nella spartizione delle torte dei servizi alla cittadinanza, dimentiche che la loro funzione era di vigilare e di combattere le amministrazioni, non di banchettarvi assieme.
Ma tornando ai sindacati, The Crisis of Democracy aveva in serbo un altro siluro. Gli autori compresero che la forza delle formazioni sindacali stava nell’ideologia radicale, poiché “quando essa perde forza, diminuisce il potere dei sindacati di ottenere risultati”. E quale potesse essere l’antidoto all’ideologia, gli apparve subito chiaro: la concertazione.
Scrissero infatti: “(Essa) produce disaffezione da parte dei lavoratori, che non si riconoscono in quel processo burocratico e tendono a distanziarsene, e questo significa che più i sindacati accettano la concertazione più diventano deboli e meno capaci di mobilitare i lavoratori, e di metter pressione sui governi”. La concertazione nacque dunque per disabilitare i sindacati.
Questi ragionamenti sono inseriti in un contesto più ampio nel testo, ma colpisce come un fulmine il fatto che quei germi della futura disgregazione sindacale fossero così lucidamente chiari a coloro che trentaquattro anni fa pianificavano l’esecuzione capitale della Sinistra in tutto l’Occidente.
E non era solo necessario cooptare i sindacati e chiuderli nella trappola della concertazione; bisognava anche privilegiare quelli più grossi e autoritari nella leadership, poiché “nello Stato moderno i capi potenti dei sindacati… capaci di comandare i propri membri, sono una minaccia inferiore all’autorità dei leader politici e sono persino un aiuto ad essa”. Il motivo era chiaro: “Se i sindacati sono disorganizzati, se i membri sono ribelli, se le rivendicazioni estreme e gli scioperi selvaggi sono frequenti, l’applicazione di una politica nazionale dei salari diventa impossibile… contribuendo all’indebolimento del governo (non dei lavoratori!, nda)”, dunque ben venga il sindacato corporazione, più facile da domare.
Questi concetti raccontano, come in un percorso prestampato, tutto ciò che è avvenuto poi, fino alla miserrima condizione odierna dove i sindacati “potenti e capaci di comandare i propri membri” hanno svenduto il Diritto Umano al lavoro e hanno del tutto abbandonato il radicalismo necessario a impedire una tale sciagurata deriva.
Di nuovo, ciò dimostra che se vogliamo combattere anche questo trionfo del Potere sul mondo del lavoro di oggi, è inutile prendersela con gli affari parrocchiali di questo o quel governo italiano, di questo o quel leader sindacale. Essi sono solo esecutori volenti o nolenti, nulla di più.
Gli esempi si sprecano, come la cocciuta insistenza di ogni nostro esecutivo negli ultimi dieci anni nell’innalzamento dell’età pensionabile, a fronte del fatto che i contabili di Stato continuano a dire che i conti delle casse previdenziali sono invece sanissimi. Perché allora quell’insistenza? Perché devono eseguire ordini dall’alto, ordini concepiti più di trent’anni fa in altri luoghi del mondo. E allora vanno combattuti i mandanti, che oggi come allora non si chiamano Tremonti, Ichino o Epifani.
Social Control.
Come risulta chiaro, il Potere già allora possedeva una visuale cristallina dei problemi seri da affrontare, o di quelli irrilevanti nonostante le apparenze. Fra questi ultimi c’era la massiccia presenza comunista negli Stati europei come l’Italia, che veniva liquidata già nel 1975 con queste parole: “I partiti comunisti hanno perso terreno quasi ovunque nell’Europa occidentale. La loro ideologia è sbiadita, e appare come una Chiesa omologata il cui carisma è in parte scomparso. Perché mai partiti così sedati e moderati dovrebbero costituire una minaccia alla democrazia proprio quando ne rispettano le fondamenta?”.
Liberi dal pericolo di un’effettiva resistenza da parte dei ‘rossi’ (14 anni prima del crollo del Muro di Berlino), i Padroni del Vapore dovevano concentrarsi su elementi assai più moderni, come i media. La Tv fra tutti doveva essere controllata, poiché “vi sono prove massicce che ci dicono che lo sviluppo del giornalismo televisivo ha contribuito all’indebolimento dell’autorità dei governi”, e che anche la stampa “ha assunto un ruolo sempre più critico verso i governanti e i loro funzionari”.
L’avvento dei media disposti a sfidare l’autorità era per gli autori una minaccia al funzionamento stesso degli esecutivi, poiché “ha reso quasi impossibile il mantenimento del distacco per governare”, e oltre tutto “l’etica democratica rende difficile oggi impedire (ai media) l’accesso e decurtare l’informazione”. Lamentabile era in particolare “il crescente potere dei giornalisti a discapito di quello degli editori o dei padroni”, e questo obbrobrio veniva affermato senza l’ombra della vergogna.
Dunque qualcosa andava fatto, urgentemente, e The Crisis of Democracy decreta cosa: “Occorrono misure importanti per ristabilire il giusto equilibrio fra la stampa, il governo e altre istituzioni”, un concetto che suona come una bestemmia a chiunque abbia chiaro che imporre tale equilibrio significa imbavagliare il ruolo di controllo dell’informazione sui poteri. Superfluo elencare ora come questi precetti si sono di nuovo trasformati in realtà, e come gli esecutori come Murdoch o Berlusconi ancora oggi lavorino per eseguire quegli ordini.
Il lavoro di cui stiamo trattando mantiene tuttavia la focale ben puntata sui cittadini di quell’epoca, che erano usciti dai turbolenti e rivoluzionari anni ’60 rinvigoriti nell’attivismo politico, gente che “siccome richiede (ai governi) maggiori interventi per risolvere i loro problemi, necessita di ancor più controllo sociale”.
L’attivismo di quei tempi era democrazia partecipativa, ed essa era la Speranza, ovvero la Sinistra, che andava decapitata. Nel decalogo della riscossa del Potere di Huntington, Crozier e Watanuki, il controllo sociale è una delle ghigliottine. Anzi, più precisamente si parlò il controllo sociale indiretto sull’individuo, quello che sappiamo essere il più subdolo e il meno plateale, il più difficile da contrastare.
Uno strumento già oliato in parte negli USA, ma semi sconosciuto in Europa, “dove la disciplina sociale non è adorata come in Giappone, e dove le forme indirette di controllo sociale sviluppate in America non sono presenti”, in particolare in Italia. Il pericolo di tale mancanza di controlli sociali è che “le classi lavoratrici non vengano del tutto assimilate nel ‘gioco sociale’, specialmente nelle nazioni latine”. In altre parole: se non li si include nel grande popolo dei consumatori, non li potremo controllare mai e continueranno a partecipare.
E nelle nuove democrazie consumistiche, sentenziano Huntington, Crozier e Watanuki, sarà necessario “sperimentare metodi più flessibili che producano maggior controllo sociale con minore coercizione”.
Dodici parole, dodici stringate parole che prescrivono al Potere uno dei processi di ingegneria sociale più devastanti della Storia, finalizzato al controllo di tutti noi: l’Esistenza Commerciale e la Cultura delle Visibilità, cioè le masse dei cittadini ridotti a consumatori/spettatori del tutto disattivati, e che infatti verrà rilanciato con immane potenza di fuoco a partire dalla decade successiva, fino a oggi.
The Crisis of Democracy fu discusso dall’assemblea plenaria della Commissione Trilaterale il 31 maggio del 1975. Le voci di dissenso a questo processo alla democrazia partecipativa vi furono anche in seno alla Commissione stessa, ma di fatto i tre autori diverranno da lì a poco membri dell’amministrazione di Jimmy Carter e le loro idee prenderanno il volo, per atterrare oggi sui davanzali delle nostre case, assieme a quelle dell’avvocato Lewis Powell.
Ecco come morì la Sinistra, ecco chi veramente decide come la gente deve vivere. La lista dei manovratori del mondo non si ferma ovviamente a quelli menzionati, ve ne sono altri (WTO, IMF, gli investitori internazionali, le grandi banche d’affari come Goldman Sachs, la Commissione Europea, il gruppo Bilderberg, le Think Tank economiche ecc.), ma sono sempre membri dello stesso club, una elite ristretta che dopo due secoli di sconfitte è tornata sul trono. Ecco chi è il Potere, quello che telecomanda tutto ciò che i nostri politici e amministratori fanno di fondamentale.
Conclusione.
Cosa fare in concreto? Innanzi tutto, l’attivismo italiano deve essere meno egocentrico. Oggi in Italia viviamo una sciagurata deriva pilotata da approfittatori in malafede, che vorrebbero convincerci che i problemi capitali di sessanta milioni di italiani sono quelli percepiti da loro e dalla minoranza di borghesi o studenti col sedere protetto che li seguono, e cioè i problemi relativi a Berlusconi e ai sui guai giudiziari, o alle sue presunte connivenze con le mafie regionali, o al suo mediocre conflitto d’interessi ecc.
Queste sono sciocchezze se paragonate a quanto sopra descritto, che al contrario domina in modo devastante la vita concreta degli italiani nei sei ambiti vitali: Lavoro, Alloggi, Sanità, (Non) potere di decidere la propria economia, Istruzione, e Possibilità di partecipare alla polis.
Decine di milioni di italiani ogni mattina affrontano veri drammi in questi sei campi, drammi che ne decidono la vita e quella dei loro figli, che li angosciano, e che li hanno resi del tutto inerti e impotenti, esattamente come voleva il Potere. Chi si definisce attivista dovrebbe accettare che certe ‘manie’ di moda non sono i problemi capitali delle persone, che gli odiati target di moda non sono le cause primarie del male degli italiani, e infine che è del tutto inutile incitare i cittadini alla partecipazione se essi sono stati scientificamente disabilitati da più di trentacinque anni di lavoro dell’Esistenza Commerciale e della Cultura della Visibilità.
Va trovato l’antidoto alla loro paralisi, inutile urlargli addosso con l’Industria della Denuncia e dell’Indignazione. O si comprende questo oppure siamo finiti.
La lotta va fatta con la stessa intelligenza e con la stessa immensa perizia con cui il Potere ha riconquistato il mondo, e che ho sopra descritto. Contro il bersaglio giusto.
La destra Zelig
di Massimo Giannini - La Repubblica - 21 Ottobre 2009
Come il leggendario Leonard Zelig di Woody Allen, Silvio Berlusconi torna per un giorno presidente-operaio, e fa improvvisamente sua l'"apologia del posto fisso" azzardata il giorno prima da Giulio Tremonti. È il principio fondativo del populismo autoritario: nulla di ciò che interroga e investe il rapporto messianico con le "masse" deve sfuggire al dominio e al verbo del capo. Anche a costo di produrre solo demagogia, condizione fisiologica per il populista, a qualunque latitudine si trovi a governare.
Ma quando l'identificazione mimetica si spinge a coprire tutto e il contrario di tutto, fino a generare forme di vera e propria "apostasia", allora si sfocia in una dimensione diversa, chiaramente patologica. È quello che succede oggi, al governo del Paese. La sortita del ministro dell'Economia, che dopo anni di esaltazione del lavoro flessibile riscopre le virtù sociali di quello stabile, è un caso da manuale. Ha due significati di fondo.
1) Il primo è un fattuale significato politico. È vero che questo clamoroso "ripudio" del liberismo applicato ai rapporti di lavoro è in parte coerente con l'evoluzione anti-mercatista del Tremonti di quest'ultimo anno e mezzo. Ma è altrettanto vero che, se all'ultimo elogio del posto fisso si aggiungono la crociata contro i banchieri privati, le "dodici tavole" contro gli speculatori mondiali, il prefetto che controlla le banche, la rievocazione delle vecchie "Bin" (gli istituti misti "di interesse nazionale"), la riedizione della Cassa per il Mezzogiorno, allora non siamo più a Colbert. Siamo al Leviatano di Hobbes. Forse siamo già in pieno Gosplan.
Il superministro, partito dalla brillante critica agli eredi del Pci disinvoltamente transitati "from Marx to market", compie il passaggio inverso: va lui, direttamente, "from market to Marx". Ma quando il "revisionismo" intellettuale si spinge fino al punto di rinnegare tutti i capisaldi della sedicente "filosofia" modernista e anti-statalista in nome della quale il Pdl ha stravinto le elezioni, allora c'è un problema. Può darsi che il diabolico Giulio "spiazzi" anche il centrosinistra, come qualcuno ha detto. Ma è più probabile che, nel frattempo, disorienti prima di tutto il centrodestra.
Non è un caso, ma sui temi dell'economia capita a Tremonti quello che sui temi sociali capita a Fini. Parlano di una destra radicalmente "altra" da quella che Berlusconi e i suoi fedelissimi hanno rappresentato e rappresentano nella storia di questi ultimi 15 anni. Perché lo fanno? Il peggio che si possa dire (e che probabilmente il Cavaliere paventa) è che si preparino a un dopo Berlusconi nel quale maggioranza e opposizione dovranno ricominciare a parlare un linguaggio comune.
Il meglio che si possa pensare (e che palesemente i fatti dimostrano) è che questo centrodestra incarnato dall'uomo solo al comando manifesta un pauroso deficit di identità politica.
Il "blocco sociale" esiste, è vasto, radicato nella società e probabilmente ancora maggioritario nel Paese. Ma ancora una volta è tenuto insieme dagli interessi, molto più che da un progetto culturale definito e da un impianto valoriale condiviso.
2) Il secondo è un potenziale significato economico. Sarebbe sbagliato liquidare le parole di Tremonti solo come il banale inizio della campagna elettorale per le regionali. Se la riflessione del ministro non è stata solo una sparata fatta per prendere un po' più di voti, e se il presidente del Consiglio è convinto davvero che quella posizione sia giusta, allora la sfida va raccolta e rilanciata.
Senza rifugiarsi nel comodo passatismo anacronistico di certa sinistra radicale, che adesso chiede "un decreto legge per bloccare tutti i licenziamenti nel settore privato", neanche fossimo in Unione Sovietica e dovessimo passare "dalla Nep all'economia di guerra". Ma cercando, ancora una volta, di scavalcare questo centrodestra sul difficile terreno del riformismo. Purtroppo nessuna economia, nemmeno quella pianificata, può garantire il posto di lavoro a tutti.
Ma signori del governo: credete davvero che in questi anni si sia ecceduto nella flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, e che la nuova "variabile indipendente" del sistema, invece del salario, sia diventato il precario? Se la risposta è sì, allora aprite subito un tavolo con le parti sociali. Si deve riformare (senza buttarla tutta alle ortiche) la famosa legge 30, che una destra settaria e ideologica ha voluto intestare a Marco Biagi, mentre il piano del giuslavorista assassinato dalle Br era ben altro.
Si deve ripensare la struttura dei contratti collettivi, per modificare le regole di ingresso nel mercato del lavoro e avvicinare quanto più possibile le tutele tra chi ha un contratto permanente e chi ha un contratto temporaneo.
Ci sono già diverse proposte sul tappeto: dal contratto unico di Tito Boeri al piano Flexsecurity di Pietro Ichino. Se ne discuta, senza pregiudizi. Infine si deve accompagnare, a quella modica ma necessaria quota di flessibilità che il mercato del lavoro deve comunque conservare, la grande riforma degli ammortizzatori sociali che proprio Biagi sognava, a corredo della sua proposta.
Per evitare, come ha detto il governatore della Banca d'Italia Draghi, che ben 1 milione 200 mila lavoratori dipendenti si ritrovino senza alcuna indennità se perdono il posto, che ben 450 mila para-subordinati siano già oggi privi di alcun sussidio, e che un disoccupato su 5 sia tuttora scoperto dal sistema di protezione sociale.
E qui sul tappeto non c'è proprio niente, se non le chiacchiere di Sacconi che promette miliardi di cui nessuno sa più la provenienza, e Brunetta che ripete "il nostro è il miglior sistema di Welfare del mondo".
Eppure, proprio questo sarebbe il campo per una magnifica battaglia di riforme. Servirebbero un governo capace, una destra responsabile, una sinistra consapevole, una Confindustria lungimirante, un sindacato coraggioso. Ma c'è una traccia di tutto questo, nell'Italia di oggi?