venerdì 9 ottobre 2009

Pasta frolla

Qui di seguito una serie di articoli in merito alla sentenza della Consulta che ha bocciato il Lodo Alfano.

Chi scrive non ha nient'altro da aggiungere, se non che ringrazia il cielo di essere all'estero e di non essersi sorbito i rutti fuoriusciti dalla bocca del cosiddetto premier subito dopo la sentenza, in particolare quelli scagliati contro la stessa Consulta e il presidente Napolitano, per non parlare poi degli insulti a Rosi Bindi in diretta telefonica dall'Insetto o della frase "Viva Berlusconi" con cui ha concluso delirando la sua telefonata.

No comment quindi, ma il mio fegato ringrazia vivamente. Per ora, perchè non si sa ancora ciò che l'Utilizzatore ha in mente di riservare in futuro al popolo italiano.

Un inquietante interrogativo, vista la disperata necessità di consegnarlo a uno psichiatra per il resto dei suoi anni.

Il Lodo Berlusconi

di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 7 Ottobre 2009

Il Lodo Alfano è incostituzionale. L’ha stabilito ieri pomeriggio la Corte Costituzionale con una sentenza arrivata dopo alcune ore di dibattito. La Consulta ha ritenuto che le norme contenute nel Lodo, approvato nel 2008 dal Parlamento a maggioranza berlusconiana, e che prevedevano la sospensione dei processi per le quattro più alte cariche dello Stato, fossero in violazione del dettato costituzionale, significativamente dell’articolo 3 e del 138 della Carta.

Sono gli articoli che stabiliscono rispettivamente il principio di uguaglianza di ogni cittadino davanti alla legge e le procedure di revisione della Carta stessa, che impongono una legge costituzionale, non una ordinaria.

La sentenza fa quindi giustizia di un’interpretazione della giustizia a la carte, scellerata nel merito e sguaiata nel metodo, che pensava di garantire impunità perenne per chi invece dovrà rispondere dei reati di cui si è macchiato, ad eccezione di quelli che è riuscito a cancellare dai codici tramite le leggi ad personam, cucitegli su misura dai suoi avvocati e votate disciplinatamente dai suoi peones.

Berlusconi è un cittadino italiano sottoposto al sistema di garanzie e di obblighi simile a quello degli altri cittadini italiani. Il tentativo di sottrarlo al giudizio della magistratura per i reati commessi durante e precedentemente all’assunzione del suo mandato, è respinto dal massimo organo giuridico del Paese.

Dal Lodo Maccanico a quello Schifani, arrivando al Lodo Alfano, tutti i tentativi di rendere immune l’uomo con il maggior carico di processi e di reati della storia delle istituzioni italiane, potrebbe essere finita ieri. Proprio quel palazzo, situato al fianco del Quirinale, sbarra definitivamente la strada alle ambizioni del ducetto di Arcore e chiude certamente con le sue velleità presidenzialiste.

La reazione è stata, ovviamente, scomposta, fuori dal minimo senso della decenza istituzionale. Papi si é lanciato in un sermoncino di quart’ordine definendo la Consulta “toghe rosse”, ritenendosi accerchiato dalla stampa (comunista) dalla Tv (comunista) dai giudici (comunisti) dal presidente Napolitano ( “si sa da dove viene” ha detto..), dicendosi pronto a combattere nelle aule giudiziarie, "che mi obbligheranno a distrarre qualche ora ai miei impegni” ed ha concluso, con la sobrietà che tutti gli riconoscono, con un “vado avanti, viva Berlusconi”. Sì, ha detto proprio così, c’è poco da ridere. La reazione politica del governo alla sentenza della Corte, è comunque isterica, presagio di grande confusione e di rabbia affatto sopita.

Un’ora prima che la Corte emettesse la sentenza, Berlusconi aveva convocato Bossi e i suoi reggicoda a palazzo Grazioli. L’obiettivo era forse quello di tastare il polso alla Lega, capirne la disponibilità ad azioni anche eclatanti di rigetto della sentenza, sulla scorta delle minacce a mezzo stampa profferite dal senatur, ultima ratio per tentare di condizionare politicamente i giudici? Ma il farfugliare di Bossi non ha intimidito nessuno ed è quindi stato sostituito dalle dichiarazioni di Bonaiuti che parla di “sentenza politica” e di “governo che andrà avanti nelle riforme” (?).

Sono insomma dichiarazioni che tendono a rassicurare l’elettorato forzitaliota, non certo giudizi resi da un luminare del diritto noto per la sua indipendenza di giudizio. L’unico atto dovuto sarebbe stato quello delle dimissioni del Ministro Alfano; ma sarebbe chiedere un sussulto di decoro istituzionale che non risiede nella destra italiana.

Ora, all’ordine del giorno, ci sono due ipotesi che però dividono la destra: il ricorso alle urne, immediato, o la riproposizione rapida di un nuovo decreto che aggiri la sentenza della Suprema Corte. La prima ipotesi sarebbe la dimostrazione indiretta della politicizzazione inevitabile della sentenza, tesi del resto anticipata dall’Avvocatura dello Stato nell’ultimo maldestro tentativo di salvare il premier e mettere pressione sulla Corte.

Ammesso però che Fini e gli altri fossero convinti della possibile ricandidatura di un uomo politicamente sfinito, il ricorso alle urne vedrebbe una campagna elettorale tutta all’attacco, un referendum su Papi uber alles e con il principale partito d’opposizione ancora senza un segretario. Non è un caso che il Pd si guardi bene dal chiedere le dimissioni del governo.

L’ipotesi, comunque, non è facilmente realizzabile, vuoi per l’opposizione del Quirinale, vuoi per la contrarietà (per quanto silente) dei parlamentari berlusconiani, che non hanno alcuna voglia di reimbarcarsi alla ricerca di una nuova legislatura, con nuove spese e nuovi scontri. Peraltro, Berlusconi deve fare i conti anche con l’incognita di perderle le elezioni, fatto che complicherebbe non poco le cose per il cavaliere e le sue aziende.

La seconda ipotesi, quella di un decreto lampo da far votare al Consiglio dei Ministri entro 48 ore, indicherebbe la volontà di andare avanti e tentare di recuperare terreno, ma difficilmente otterrebbe la controfirma del Colle, che avrebbe buon gioco a dimostrare il tentativo di aggiramento della sentenza della Consulta.

Berlusconi riparte quindi da due sole certezze: quella di vedere riaperti i due processi milanesi per corruzione in atti giudiziari (Mills) e per i reati societari nella vendita dei diritti Tv Mediaset dai quali era fuggito e quella di dover affrontare la Corte d’Appello per il ricorso sul Lodo Mondadori. Ma la sentenza della Consulta, oltre al merito giuridico del dispositivo, traccia una linea temporale e politica: la crisi del berlusconismo è cominciata. Attenzione ai colpi di coda.


Il Times: "Silvio deve dimettersi, ha gettato vergogna sull'Italia"
di Enrico Franceschini - La Repubblica - 8 Ottobre 2009

"I giudici infliggono un duro colpo a Silvio Berlusconi". Lo stesso titolo campeggia sulla prima pagina di oggi dei maggiori quotidiani del mondo. Financial Times e Wall Street Journal, i due più importanti quotidiani finanziari del pianeta, lo accompagnano con la stessa foto del capo del governo che passa in rassegna un picchetto d'onore a Palazzo Chigi, cupo, a testa bassa.

Qualcuno, come il Times di Londra, definisce la decisione della Corte Costituzionale "un colpo mortale" e sostiene che a questo punto il primo ministro italiano "deve dimettersi". Tutti parlano di un premier "indebolito" e di una crisi politica sempre più grave e dagli sbocchi sempre più incerti. Ma i media internazionali salutano la sentenza della Consulta come una prova di indipendenza della magistratura e di difesa della democrazia.

"Silvio Berlusconi lotta per la sua sopravvivenza politica": comincia così l'articolo di prima pagina di Lucy Bannerman sul Times, accanto a un riquadro che stima in 150 milioni di sterline, circa 160 milioni di euro, l'ammontare delle spese legali affrontate sinora dal premier per difendersi nei numerosi processi in cui è stato incriminato sino ad ora. Il verdetto dell'Alta Corte, afferma il quotidiano londinese, potrebbe "portare al collasso del governo" di centro-destra e in ogni caso porterà Berlusconi sul banco degli imputati in una serie di processi "per frode, corruzione ed evasione fiscale".

"I giudici infliggono a Berlusconi un colpo mortale" è il titolo del servizio di prima pagina del Times, cui segue un editoriale non firmato a pagina due, dunque espressione della direzione del giornale, nel quale si sostiene che il premier "ha svergognato il suo incarico e il suo paese" dimostrando "disprezzo" per la legge, oltre che attraverso i suoi "ridicoli" scandali privati di sesso e la sua "inquietante" amicizia con leader come Putin e Gheddafi.

"Berlusconi può restare al potere solo se i suoi alleati lo appoggiano", osserva l'editoriale del Times. "Essi sarebbero folli a farlo. Il danno causato dal premier alla reputazione dell'Italia comincia a vedersi, simboleggiato dal rifiuto di Michelle Obama di accettare il suo abbraccio, e del resto anche il suo indice di popolarità nei sondaggi sta cadendo. Egli ha cercato di vivere al di sopra della legge, ma ora, con i nuovi processi che lo attendono, sarà consumato dalla legge. E' certamente tempo che Berlusconi smetta di mettere i suoi interessi prima degli interessi della nazione. Dovrebbe dimettersi".

Il Times dedica a Berlusconi altre due intere pagine all'interno. Un ritratto del premier, firmato da Richard Owen, afferma che la sentenza della Corte potrebbe segnare "l'inizio della fine" per il Cavaliere; e in un altro articolo lo stesso corrispondente da Roma del quotidiano londinese valuta le varie possibilità dei mesi a venire: Berlusconi continua a governare facendo finta di niente, "difficile", si dimette e convoca elezioni anticipate, "potrebbe averne la tentazione", viene rovesciato da un golpe interno dei suoi alleati guidato da Gianfranco Fini, "forse non subito, ma potrebbe accadere nei prossimi mesi se la situazione del premier si destabilizza ulteriormente", si dimette e va in esilio come Craxi, "improbabile, ma non da escludere se fosse minacciato di finire in prigione".

Sempre sul Times, un'analisi di Bronwen Maddox, principale commentatore di affari internazionali, osserva che, con la sentenza della consulta, "l'Italia ha ribadito la sua aderenza alla democrazia, riparando almeno parzialmente le crepe arrecate dal controllo dei media di Berlusconi, che insultano i fondamentali principi democratici a tal punto che se l'Italia chiedesse oggi di entrare nell'Unione Europea potrebbe non essere accettata".

La Maddox interpella due esperti. Marc Weller, docente di diritto internazionale alla Cambridge University, nota che nel mondo c'è la tendenza a ritenere responsabili i leader davanti alla legge per crimini di particolare gravità, come la tortura e il genocidio, ma non per decisioni contestate e controverse, come quella di Tony Blair di partecipare alla guerra in Iraq. Riguardo alle leggi nazionali, tuttavia, mettere un primo ministro al di sopra della legge, come ha fatto finora il Lod Alfano, significa "rinunciare al certificato di piena salute democratica".

L'altro esperto, Charles Grant, direttore della think tank Center for European Reform, osserva che l'Unione Europea tira fuori un "cartellino giallo" per gli stati che non rispettano i criteri della democrazia, ma il solo vero scrutinio in merito avviene nel momento in cui la Ue valuta se accettare o meno un nuovo membro nelle sue fila: "Se un paese in cui un uomo possiede tutte le televisioni chiedesse di entrare, verrebbe respinto".

Anche l'Economist mette la decisione della Consulta in testa alle sue pagine sull'Europa. In un articolo sul numero che sarà in edicola domani, l'autorevole settimanale britannico scrive, a proposito della reazione di Berlusconi alla sentenza, che ora "la Corte Costituzionale è stata aggiunta alla lunga lista di istituzioni italiane sovversive".

I processi in cui il leader del Popolo delle Libertà si ritroverà ora imputato, scrive l'Economist, potrebbero soltanto imbarazzarlo, perché rischiano di essere lunghi e di venire fermati, ancora una volta, dalla scadenza dei termini per essere perseguiti, ma aggravano "i recenti problemi di Berlusconi”, dall'indagine di Bari su escort e droga alla sentenza civile che lo ha condannato a pagare 750 milioni di euro di danni alla Cir di Carlo De Benedetti (l'editore di Repubblica) e riconosciuto "corresponsabile di corruzione".

Il premier "è oggi molto più debole politicamente di qualche mese fa", scrive il settimanale, notando che Berlusconi ora minaccia di cambiare la composizione dell'Alta Corte per ristabilire "il corretto equilibrio" trai poteri dello stato: ciò, conclude l'Economist, potrebbe essere "azzardato e perfino pericoloso".

Il Financial Times dedica due articoli alla vicenda, scrivendo che "la tensione politica è destinata a salire" e che "il prestigio internazionale di Berlusconi è destinato a calare". Il Wall Street Journal afferma che la sentenza potrebbe "ulteriormente destabilizzare il governo Berlusconi e distrarre ancora di più un premier già imbarazzato dalle rivelazioni sulla sua vita personale".

Il New York Times commenta che la decisione della Corte potrebbe portare a "un periodo di instabilità politica" e osserva che in un altro paese la saga di problemi legali di Berlusconi "avrebbe probabilmente messo fine alla sua carriera politica". Il Guardian, quotidiano londinese di centro-sinistra, parla di un "severo colpo" a Berlusconi e del "chiaro rischio di una crisi istituzionale" dopo le accuse da parte del premier di un complotto contro di lui. Il Telegraph, quotidiano londinese conservatore, cita Franco Pavoncello, docente di scienze politiche alla John Cabot University di Roma: "Berlusconi prima era un intoccabile, ora non lo è più".

Commenti analoghi sull'Independent, sul Daily Mail, sul Mirror, per quel che riguarda la stampa britannica. In America, il Boston Globe scrive che si tratta di "uno dei più duri colpi inferti a Berlusconi nei suoi 16 anni di vita politica", e il Los Angeles Times afferma che la sentenza mette "un punto interrogativo sul futuro di Berlusconi e dell'Italia". In Irlanda, l'Irish Times prevede "una drammatica crisi politica".

In Spagna, El Pais osserva che la decisione dell'Alta Corte "rafforza la fiducia nella giustizia rivadendo che il premier deve rispondere alla legge come tutti i cittadini", e ricorda, in un altro articolo, le nuove accuse di connivenze mafiose emerse nei confronti di Forza Italia e dello stretto collaboratore di Berlusconi, Marcello Dell'Utri, "già condannato a nove anni in primo grado per associazione mafiosa", da parte del pentito Ciancimino. El Comercio scrive che "i giudici hanno dato prova di indipendenza a dispetto delle forte pressioni" esercitate dal governo nei loro confronti.

E in Francia, dove tutti i giornali, da Liberation a Le Monde, parlano della sentenza, il quotidiano Figaro scrive che "paradossalmente l'uomo politico Berlusconi è stato messo in crisi dall'uomo d'affari", ovvero dalle accuse di corruzione ed evasione fiscale nel costruire il suo impero mediatico che hanno continuato a rincorrerlo durante tutta la sua carriera.


La notte della Repubblica
di Massimo Giannini - La Repubblica - 9 Ottobre 2009

Sappiamo bene che la notte della Repubblica berlusconiana è appena agli inizi. E sappiamo altrettanto bene che, con il Cavaliere, a scommettere sul peggio non si sbaglia mai. Ma vorremmo rassicurare il presidente del Consiglio: non c'è bisogno di aspettare il prossimo strappo costituzionale, o la prossima intemperanza verbale, per vedere "di che pasta è fatto", come minaccia lui stesso. L'avevamo capito da un pezzo.

Abbiamo avuto una prima conferma due sere fa, subito dopo la sentenza che ha bocciato il Lodo Alfano, con le accuse infamanti contro Giorgio Napolitano. Poi una seconda conferma ieri sera, con il farneticante documento del Pdl che rilancia le accuse incongruenti contro la Consulta. A lasciare basiti non è solo la violenza politicamente distruttiva degli attacchi contro tutti gli organi di garanzia: presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, giudici ordinari.

Ma è anche e soprattutto la valenza tecnicamente "eversiva" del ragionamento con il quale il premier - purtroppo sempre insieme ai docili maggiorenti del suo partito - sta delegittimando, in un colpo solo, le tre più alte magistrature della Repubblica. Di fronte a tanta irresponsabilità, conforta il comunicato col quale i presidenti di Camera e Senato hanno fatto quadrato intorno al Quirinale. Ma questo atto dovuto (voluto fermamente da Fini e a quanto si racconta subito passivamente da Schifani) non basta a ridimensionare la portata di uno scontro istituzionale inaudito e pericoloso.

Le parole che Berlusconi ha pronunciato l'altro ieri, prima in strada poi in diretta televisiva, andranno studiate a fondo. Servono a comprendere la vera essenza del moderno populismo plebiscitario che, in nome di un suffragio universale trasformato in ordalia personale, snatura lo Stato di diritto perché uccide, allo stesso tempo, sia lo Stato che il diritto.

La prima affermazione del Cavaliere è la solita invettiva anti-comunista. "Napolitano, voi sapete da che parte sta... Poi abbiamo giudici della Corte costituzionale eletti da tre Capi di Stato della sinistra che fanno della Corte non un organo di garanzia ma un organo politico". Ma quando, poco più tardi, il presidente della Repubblica replica che lui "sta dalla parte della Costituzione", scatta l'escalation del premier: "Non mi interessa quello che dice Napolitano. Io mi sento preso in giro e non mi interessa, chiuso".

Quel "preso in giro" non può passare inascoltato. Infatti più tardi (nel confortevole salotto di Porta a Porta, dove il beato cerimoniere Bruno Vespa non si degna neanche di difendere Rosy Bindi dagli insulti da trivio del premier e di un inqualificabile Castelli) il Cavaliere rincara la dose dei veleni. "Su Napolitano ho detto quello che penso: non ho nulla da modificare sulle mie dichiarazioni che potrebbero essere anche più esplicite e più dirette". Un'allusione tanto vaga quanto pesante.

E poi: "Il presidente della Repubblica aveva garantito con la sua firma che la legge sarebbe stata approvata dalla Consulta, posta la sua nota influenza sui giudici di sinistra della Corte". Vespa, ossequioso, tace. Parla il leader dell'Udc Casini, per fortuna: "È un'accusa inaccettabile nei riguardi di Napolitano". Ma il premier non arretra. Anzi, porta il colpo finale: "Non accuso il capo dello Stato, prendo atto di una situazione in cui c'erano certi suoi comportamenti e sappiamo tutti quali relazioni intercorrano tra i capi dello Stato e i membri della Consulta. Sono da anni in politica, so quali siano i rapporti che intercorrono".

Con questa micidiale miscela di allusioni e intimidazioni (indegnamente condita dalla ridicola accusa del Pdl alla Consulta per aver "sviato l'azione legislativa del Parlamento") si celebra la negazione della democrazia liberale. Non si scherza sulla pelle delle istituzioni repubblicane. Se Berlusconi è a conoscenza di trattative politiche avvenute sottobanco tra i palazzi del potere intorno al Lodo Alfano, ha il dovere di denunciarle con chiarezza, raccontando fatti e facendo nomi e cognomi davanti al Parlamento e al Paese. Ma poiché, con tutta evidenza, non ha in mano nulla se non il suo disperato furore ideologico, allora ha il dovere di tacere, e soprattutto di chiedere scusa. Ma non lo farà. Le sue parole dissennate tradiscono la sua visione "originale" e del tutto illiberale del costituzionalismo democratico.

Nello schema del Cavaliere, Napolitano (o perché aveva promulgato a suo tempo lo scudo salva-processi per il premier o perché gli aveva "promesso" riservatamente non si sa cosa) avrebbe dovuto fare ciò che la Costituzione gli vieta: interferire nella decisione dei giudici della Consulta, convincendoli a dare via libera al Lodo Alfano. Avrebbe dovuto, lui sì, chiedere ai giudici una "sentenza politica", che violasse apertamente la legge con l'unico obiettivo di proteggere il "sereno svolgimento" della legislatura. In questa logica, aberrante, non esiste la "leale collaborazione" tra istituzioni, ma il banale "collaborazionismo" tra complici. Non esistono il "nomos", le regole, la divisione dei poteri e il "check and balance".

Esistono l'anomia, l'arbitrio, la potestà illimitata del leader consacrato per sempre dall'investitura popolare. Non esistono organi di garanzia sovrani e indipendenti, che decidono autonomamente, ciascuno nel proprio ambito e secondo i principi sanciti dalla Carta fondamentale. Esistono solo semplici emanazioni del potere esecutivo, che condiziona le altre istituzioni e comanda, in un meccanismo di pura cinghia di trasmissione, il legislativo e il giudiziario.

Quali altre estreme forzature del quadro politico-istituzionale dobbiamo attenderci, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi? Quale piano inclinato sta prendendo, questa anomala democrazia italiana dove l'"autoritas" del Principe rivendica il primato indiscusso sulla "potestas" delle istituzioni? Già si evocano nuove riforme della giustizia da usare come una clava contro i magistrati, e magari come ennesimo trucco "ad personam" per fermare qualche processo.

Viene in mente Ehud Olmert che, sospettato per corruzione, si dimette dicendo: "Sono orgoglioso di aver guidato un Paese in cui anche un primo ministro può essere indagato come un semplice cittadino". Ma l'Italia non è Israele. Il coraggio dei giudici della Consulta, la tenuta del presidente della Repubblica, la tenacia del presidente della Camera, rappresentano una speranza. Ma non nascondiamocelo: il Potere, quando non vuole riconoscere che la democrazia è limite, fa anche un po' paura.


Bocciato Lodo Alfano! Aveva 3 anche in ginnastica. Era proprio un coglione
di Alessandro Robecchi - www.alessandrorobecchi.it - 7 Ottobre 2009

Bocciato oggi dalla Corte Costituzionale Lodo Alfano, il fratello scemo del ministro Angelino Alfano. Lutto nel partito della Libertà di Silvio, grande gioia nel partito della libertà di tutti. Bossi minaccia di scendere dalle valli per fare la guerra civile, ma rimanda a domani perché è pronto il semolino. Cronaca di una giornata particolare.

Roma - Lodo Alfano era proprio un pezzo di cretino indicibile. Aveva quattro in fisica, matematica e scienze. Tre in italiano e persino in ginnastica. Addirittura due in diritto costituzionale. I giudici della Corte lo hanno bocciato senza pensarci nemmeno un momento.

Secondo i giornali di questa mattina Lodo poteva anche essere soltanto rimandato, ma poi, quando i professori si sono riuniti, hanno dovuto constatare che faceva schifo e compassione.

Il prof di diritto ha detto: "Era talmente cretino che non aveva nemmeno aperto la Costituzione, non era arrivato nemmeno all’articolo 3, quello che dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge". Ora la famiglia di Lodo è riunita per un consulto. Il fratello Angelino Alfano ha già tentato il suicidio leggendo un libro: è grave ma pare che se la caverà. Silvio Berlusconi, il ricco uomo d’affari, si è molto rammaricato: "Abbiamo fatto tutto per Lodo. Abbiamo perso soldi, dignità, ci siamo coperti di ridicolo in tutto il mondo, abbiamo collezionato immense figure di merda. E quel cretino si fa bocciare così".

Intanto, vari esponenti del Pdl, lanciano l’allarme sulla scomparsa di Niccolò Ghedini, la cui auto è stata ritrovata sul bordo di un profondissimo dirupo. Si teme che l’avvocato abbia compiuto un gesto estremo, ma forse è solo andato a dormire dopo sette mesi di lavoro ininterrotto. "Lo capisco - ha detto Cicchitto - l’insuccesso gli ha dato alla testa".

Quanto alla testa di Alfano, il ministro della giustizia, pare che Berlusconi la voglia domani per colazione, con un velo di maionese e molta rucola. Qualche preoccupazione intanto in molti autogrilli dell’autostrada Milano-Venezia.

Si temono le armate leghiste che Umberto Bossi aveva allertato già nel primo pomeriggio: potrebbero calare su Milano da Brescia, Bergamo e valli limitrofe rubando tutti i salami e le salsicce, ma la polizia stradale placa gli animi: "Tranquilli, gli daremo da bere l’acqua del dio Po, così restano stecchiti in cinque minuti". Da Gemonio arrivano invece voci di tregua: è pronto il semolino, Bossi non andrà a Milano, anche perché dopo ci sono i cartoni.

Tutti si chiedono: ma chi c’è dietro quel somaro di Lodo Alfano? Nella foto, l’inquietante risposta (Grazie per il montaggio a matrablog.it)


Di vilipendi, attentati e guerre civili
di Alessandro Gilioli - Piovono Rane - 8 Ottobre 2009

L'altra sera, qui a Roma, sei persone sono state portate in commissariato e denunciate per aver urlato “In galera” al premier medesimo, in piazza Venezia.

Il reato che è stato loro contestato è quello previsto dall’articolo 290 del Codice penale: «Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo o la Corte Costituzionale o l’Ordine giudiziario, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

Molto divertente: tutto ciò... nello stesso giorno in cui Berlusconi ha violato ripetutamente il medesimo articolo, con quel che ha detto del capo dello Stato e della Corte costituzionale.

Divertente anche di più, se pensate che sempre nella stessa giornata il suo amico Bossi ha detto che a questo punto «bisogna fare la guerra», violando probabilmente l’adiacente articolo 286 («Chiunque commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato è punito con l’ergastolo»).

Ovviamente io penso che non dovrebbe essere denunciato nessuno, né i sei di ieri, né Bossi, né il premier, e che ognuno dica quel che gli pare. Resta il fatto che i sei sono finiti in commissariato, B&B ovviamente no.

Mi viene in mente una roba di tanti anni fa, forse alcuni tra di voi erano ragazzini: nel novembre del 1994, quando il Corriere della Sera pubblicò la notizia che il premier aveva ricevuto un avviso di garanzia per corruzione, i due cronisti che firmarono l’articolo (Di Feo e Buccini) furono penalmente denunciati da Berlusconi per «attentato contro organi costituzionali» (articolo 289 del Codice Penale, pena prevista fino a cinque anni di galera).

Per aver pubblicato una notizia, ripeto.

Ovviamente l’indagine fu archiviata prima di arrivare a dibattimento, ma insomma, B. ci provò.

Non è che abbia iniziato ieri sera, ecco.


In arrivo una leggina per tagliare la prescrizione del caso Mills

di Liana Milella - La Repubblica - 9 Ottobre 2009

Al tappeto dopo il micidiale knock out della Consulta sul lodo Alfano il team giuridico del Cavaliere sbanda, si divide, ma già è al lavoro su nuove sorprese ad personam. Una su tutte: intervenire di nuovo sui tempi di prescrizione, dopo il pesante intervento della Cirielli, nel disperato tentativo di far "morire" subito il processo Mills. Niccolò Ghedini e Angelino Alfano escono azzoppati dalla partita sullo scudo congela-processi, ma ancora a loro due si è rivolto il Cavaliere per esigere, in tempi brevi, una legge che spunti le armi dei magistrati milanesi.

"Non voglio governare con l'incubo delle udienze, datevi da fare" gli ha detto liquidandoli. Tacchi indietro, i due si sono messi al lavoro. E adesso, in queste ore, nello studio di Ghedini e nelle stanze di via Arenula, comincia a prendere forma un disegno di legge "leggero" in cui mettere al primo posto i nuovi limiti della prescrizione e poi altre tre "creature" ghediniane, poteri potenziati delle difese a scapito dei giudici, ricusazione più facile delle toghe, stretta nell'utilizzo delle sentenze passate in giudicato.

Tutto questo ha un solo norme: una nuova legge tagliata su misura per Berlusconi. Smilza, pochi articoli, di facile gestione parlamentare, con una corsia preferenziale garantita tra Camera e Senato. Da approvare per febbraio, marzo. In grado di chiudere subito il processo Mills, quello più pericoloso per Berlusconi, che con le regole di oggi è prescritto a metà del 2012.

Avrebbe voluto un decreto il premier. Ma, assai contriti, sono stati costretti a dirgli che sarebbe difficile spiegare a Napolitano quali sono le ragioni di necessità e urgenza per cambiare le regole della prescrizione e costringere i giudici ad ancorarla in modo meccanico.

Un nuovo braccio di ferro con il Colle è meglio evitarlo. Dunque si vada a un ddl che anticipa, da quello sul processo penale in sonno al Senato, le norme già scritte da Ghedini per Berlusconi a febbraio. Lungimirante il Ghedini: alla fine del 2008, con il lodo Alfano appena applicato al processo Mills, l'avvocato di Padova era consapevole della sua inconsistenza e sfornava nuove norme per proteggere Berlusconi. Vediamole.

La prescrizione in primis. Che hanno fatto i pm di Milano? Hanno ancorato la decorrenza alla data in cui, era febbraio 2000, l'avvocato di Londra entrò in possesso dei 600mila dollari, regalo del premier per la sua versione addomesticata sui fondi neri, e non al 1998 quando quei soldi furono versati. Una scelta che Ghedini, da avvocato, ha sempre criticato. Adesso appresta lo strumento legislativo per togliere ai pm questa libertà mettendo dei paletti rigidi.

Il reato fu commesso quando i soldi partirono e non quando furono utilizzati. Quindi la data è il '98. La norma, più favorevole all'imputato rispetto a quella attuale, dovrà essere applicata anche al processo Mills che, a quel punto, dovrà subito chiudere i battenti perché i dieci anni in cui si prescrive il reato risulteranno scaduti. Non basta. Per garantirsi che comunque, nel processo contro Berlusconi, non possa essere utilizzata la sentenza del troncone Mills, quando sarà definitiva, Ghedini cambia le regole e cancella la possibilità di usarla in un altro processo come invece avviene oggi.

Messo a posto il caso Mills restano gli altri processi, come quello sui diritti tv che si prescrive nel 2012. E lì non rimane che guadagnare la prescrizione allungando a dismisura i tempi del processo e scandagliando nella vita dei giudici con l'obiettivo di trovare una pecca e ricusarli. Per questo Ghedini ha già scritto da mesi due norme ad hoc: la prima stabilisce che "l'imputato ha diritto, nelle stesse condizioni del pm, di ottenere l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore. Il giudice, a pena di nullità, le ammette".

Diventa un esecutore in mano alle difese. Quanto alle toghe si potranno ricusare "anche se esprimono giudizi fuori dall'esercizio della funzione giudiziaria" tanto da compromettere la loro imparzialità. Per capirci, basta che un magistrato intervenga in un'assemblea dell'Anm e esprima un giudizio negativo su una legge ed è fuori dal processo. Il lodo Alfano congelava i processi, queste norme li cancellano.